Il primo volo dell’Aquila di Facebook

Cioè del drone che Mark Zuckerberg vuole usare per portare Internet a tutta la popolazione mondiale

(Facebook)
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Facebook ha ottenuto il primo importante progresso per il suo progetto di portare le connessioni a Internet nelle aree rurali e difficili da raggiungere attraverso una flotta di droni automatici che irradiano il segnale verso terra. Mark Zuckerberg, il CEO della società, ha da poco annunciato che Aquila, il drone sperimentale cui il social network lavora da più di un anno, ha compiuto con successo il suo volo inaugurale, rimanendo in volo per 92 minuti, circa tre volte il tempo programmato dai progettisti per il test. Zuckerberg punta molto su questo tipo di tecnologia per portare Internet a tutti gli abitanti del pianeta, in parte per motivi filantropici, ma anche perché dalle connessioni passa il futuro di Facebook e di tutti i servizi cui sta lavorando, dall’intelligenza artificiale alla realtà virtuale, passando per i video in diretta e le nuove funzioni che progressivamente aggiunge al suo social network.

Aquila è stato testato nelle vicinanze di Yuma, in Arizona, un’area desertica e tra i posti abitati più caldi ed esposti al Sole di tutta la Terra. Facendo i conti con le alte temperature e il clima molto arido, per mesi una ventina di tecnici e progettisti ha lavorato per perfezionare il drone e prepararlo al suo volo inaugurale, la prima di una lunga sere di tappe piuttosto complicate e ambiziose per costruire una flotta di aerei automatici che diffondano Internet in giro per il mondo. Il 28 giugno scorso, a Yuma è arrivato anche Mark Zuckerberg per assistere di persona al volo sperimentale.

Com’è fatto Aquila
A differenza dei droni utilizzati in ambito militare e per ricognizioni, generalmente di dimensioni contenute, Aquila è gigantesco e al tempo stesso leggerissimo. Ha un’apertura alare di quasi 43 metri, maggiore di quella di un Boeing 737 pari a 34 metri, e pesa 400 chilogrammi, la metà di una Smart. Almeno queste sono le caratteristiche del modello sperimentale utilizzato per il primo volo, molto cambierà nei prossimi mesi man mano che saranno aggiunte altre strumentazioni al drone. Il test di Yuma è servito per verificare l’aerodinamica, la tenuta della fibra di carbonio con cui è costruito il drone, le sue prestazioni e le velocità che è in grado di raggiungere.

Il primo volo
Per fare decollare il modello sperimentale, quelli di Facebook si sono inventati un carrello motorizzato, che ha trasportato Aquila lungo la pista di decollo fino a fargli raggiungere la velocità necessaria per staccarsi dal suolo. Al momento opportuno, alcune piccole cariche hanno fatto saltare i cavi che tenevano il drone ancorato al carrello, lasciando che prendesse quota spinto dai suoi quattro motori elettrici. Il drone può essere pilotato a distanza e gli si possono inviare comandi per modificare la rotta e la quota di volo, ma il sistema di decollo è automatico e sono i suoi sistemi a rilevare quando è il momento di staccarsi dal carrello.

Dopo il decollo, Aquila ha volato per 92 minuti invece della mezz’ora inizialmente prevista dai progettisti. I motori sono stati alimentati a batteria, ma in futuro il sistema dovrà funzionare alimentandosi con pannelli solari posti sulle ali del drone. L’obiettivo è fare in modo che l’energia solare raccolta sia sufficiente per mantenere in volo Aquila per almeno tre mesi consecutivi, accumulando energia nelle batterie di bordo per continuare a volare di notte, quando i pannelli solari non possono funzionare. Nei piani, i motori e gli altri sistemi sul drone non dovranno consumare più di 5mila watt, più o meno l’energia assorbita da tre asciugacapelli.

Diffusione di Internet
Nei progetti di Facebook, i suoi droni voleranno a una quota tra i 18mila e i 27mila metri, quindi al di sopra delle rotte dei voli di linea, e a una velocità relativamente bassa per un aereo e non superiore a 130 chilometri orari. In ogni stormo di droni è previsto che ce ne sia almeno uno di riferimento, che riceve dati da terra attraverso un segnale laser, che viene poi rimbalzato verso gli altri droni che stanno volando con lui. I droni comunicano poi a terra con punti di ricezione che trasformano il segnale e lo rendono utilizzabile per la normale navigazione online. Ogni drone può coprire un’area di 50 chilometri di diametro e offrire “decine di gigabit al secondo”, banda che viene poi distribuita tra gli utilizzatori finali.

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Il volo di fine giugno è stato fondamentale per verificare la tenuta e l’affidabilità della struttura che costituisce il drone, ma ci sono ancora moltissime cose da sistemare prima che si possa diffondere Internet con questo sistema. I progettisti devono trovare il modo di ottenere luce solare a sufficienza per alimentare Aquila 24 ore su 24, quindi sviluppare batterie affidabili per le ore notturne, trovare la migliore velocità del drone per garantire la giusta copertura del territorio e arrivare rapidamente a una soluzione per rendere sostenibile l’iniziativa dal punto di vista economico.

Perché i droni
Secondo molti osservatori i droni sono la soluzione ideale per diffondere Internet perché offrono un segnale più stabile e costano meno rispetto ai satelliti, inoltre se ne possono mettere al lavoro molte unità con spese di molto inferiori a quelle per il lancio di un satellite. Installare ripetitori in tutto il mondo per Internet sarebbe impensabile e molto costoso, persino per una grande azienda globale come Facebook. Google sta sperimentando da tempo una soluzione alternativa basata su palloni che stazionano nella stratosfera, ma di recente ha anche iniziato a lavorare a un piano alternativo simile a quello di Facebook per l’utilizzo dei droni. Le due aziende sono in concorrenza, ma hanno comunque deciso di collaborare per quanto riguarda le parti burocratiche, chiedendo all’ente che regola il volo negli Stati Uniti, la Federal Aviation Administration (FAA), di fornire permessi per sperimentare i loro sistemi. Hanno anche iniziato a muoversi per ottenere la possibilità di usare parte dello spettro radio per i loro progetti.

Almeno per il momento, Facebook non ha interesse a produrre una propria flotta di droni da utilizzare a livello commerciale per diffondere Internet: il suo obiettivo è trovare il sistema per farlo in modo economico, e offrirlo poi ad aziende e a organizzazioni di vario tipo per metterlo in pratica. Non è comunque escluso che in futuro possa disporre di una serie di droni da usare in casi di emergenza, inviandoli per esempio dove si verifica una crisi, per esempio un disastro naturale, e offrire la possibilità alla popolazione di avere lo stesso accesso a Internet per coordinare le operazioni di soccorso.

Lo scetticismo di alcuni sulla possibilità di rendere tecnicamente funzionante il progetto di Facebook è superato, di gran lunga, da quello degli osservatori che ritengono improbabile che l’azienda ottenga i permessi dai governi per una soluzione di questo tipo. Dalla vendita delle frequenze radio, di solito con apposite aste, i paesi ottengono grandi quantità di denaro dalle compagnie di telecomunicazioni. Le flotte di droni per diffondere Internet potrebbero mettere in discussione questo modello e trovare qualche ostilità a livello governativo. Facebook ha avuto inoltre difficoltà in alcuni paesi già con altre iniziative tese a estendere la connettività a Internet: in India un suo progetto è stato sostanzialmente fermato dal governo con il timore che l’azienda volesse di fatto sostituire il Web con il suo social network. Questa preoccupazione è condivisa dalle autorità di controllo in diversi paesi e Zuckerberg si è impegnato a lavorare in modo più trasparente, spiegando meglio gli obiettivi della sua azienda per portare Internet in tutto il mondo, con o senza droni.