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  • Mercoledì 20 luglio 2016

L’omicidio di Carlo Giuliani, 15 anni fa

Cosa sappiamo e cosa no del pomeriggio del 20 luglio del 2001, quando un manifestante che protestava contro il G8 di Genova fu ucciso da un carabiniere

Un fotogramma del 20 luglio 2001
Un fotogramma del 20 luglio 2001

Quindici anni fa, durante una manifestazione contro il G8 in piazza Alimonda, a Genova, il carabiniere Mario Placanica uccise il manifestante 23enne Carlo Giuliani con un colpo sparato dalla sua pistola d’ordinanza. Le scene dell’uccisione di Giuliani furono mostrate da tutte le televisioni del mondo e diventarono per molti un simbolo delle proteste contro il G8 e della violenza della polizia, pochi giorni prima dei tragici fatti della scuola Diaz. I giudici stabilirono poi che Placanica aveva sparato per legittima difesa e il carabiniere fu prosciolto dall’accusa di omicidio colposo. Furono però contestate alcune lacune dell’inchiesta e la mancanza di chiarezza su quello che avvenne esattamente quel giorno a Genova; ci furono anche molte discussioni sulle presunte responsabilità di chi creò la situazione che portò alla morte di Giuliani. Oggi i processi e le commissioni di inchiesta parlamentare sono tutti chiusi ed è difficile che nel prossimo futuro si potranno chiarire ulteriormente altri aspetti di questa vicenda.

A woman passes by a giant wall painting

I fatti
Venerdì 20 luglio 2001 iniziò a Genova la riunione dei capi di governo del G8, organizzata dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Era un incontro particolarmente atteso da parte del movimento “no-global”, un gruppo molto vasto ed eterogeneo composto soprattutto da ambientalisti, anarchici ed esponenti della sinistra radicale. Il movimento si era rafforzato due anni prima durante il G8 di Seattle, quando migliaia di manifestanti si erano scontrati con la polizia (quel movimento prese il nome di “popolo di Seattle”). Tra il 19 e il 22 luglio erano attesi a Genova decine di migliaia di manifestanti da tutto il mondo e governo e forze di sicurezza italiane decisero di prendere imponenti misure di sicurezza. Prima dell’inizio della manifestazione, il clima era molto teso: c’era il timore di attacchi terroristici e la paura che le manifestazioni diventassero violente. Pochi giorni prima, la questura di Genova aveva diffuso tra le forze dell’ordine un’informativa che parlava di possibili azioni dei manifestanti contro la polizia, come ad esempio l’uso di “catapulte” e il lancio di frutta con all’interno lamette da barba o palloncini pieni di sangue infetto.

La mattina del 20 luglio ci furono i primi cortei della giornata, che cominciarono senza violenze. Poi la situazione cambiò in fretta: iniziarono a verificarsi degli incidenti e gli scontri tra manifestanti e polizia si fecero molto duri. Le immagini riprese in quei momenti, e in generale nei giorni del G8, furono trasmesse da molte televisioni in giro per il mondo, anche perché mostravano episodi di reazioni molto dure della polizia contro i manifestanti. Furono trasmesse scene che mostravano persone sanguinanti allontanarsi dagli scontri e che si curavano le ferite in strada con mezzi di fortuna. Parte dei manifestanti affrontò duramente la polizia, con il lancio di sassi e pietre, e in alcuni casi bottiglie incendiarie. Gruppi ancora più piccoli e organizzati, quelli che i giornali definirono i “black bloc” compirono atti di vandalismo, attaccando banche e supermercati.

Dalle ricostruzioni di quei giorni emerse che le forze di sicurezza si trovarono in grande difficoltà nel gestire la situazione, sia causa della disorganizzazione che della conformazione della città di Genova, intersecata da strade spesso strette e ripide. Poliziotti e carabinieri furono anche accusati di aver lasciato liberi i vandali e di aver attaccato i grossi cortei più pacifici. Nel corso di uno di questi scontri, un gruppo di carabinieri si ritrovò in piazza Alimonda da dove, non è chiaro perché, si mosse attraverso una via laterale verso il fianco di uno dei cortei più grandi, il cui percorso era stato autorizzato dalle autorità.

Dietro ai carabinieri avanzavano anche due fuoristrada non blindati: una mossa sbagliata, come è stato poi confermato dagli stessi carabinieri, perché i due mezzi rischiavano di restare isolati dal resto del reparto e, a causa della mancanza di blindatura, i loro occupanti sarebbero stati in pericolo se fossero stati circondati. Dai filmati di quei minuti non sembra che il reparto fosse direttamente minacciato e infatti non compì una vera e propria carica. I carabinieri si mossero lentamente contro il fianco dei manifestanti, subendo – e poi rispondendo – a un lancio di sassi. Furono costretti prima a indietreggiare e poi scappare per interrompere il contatto: il comandante del reparto disse che i suoi uomini “persero lucidità” e “arretrarono in maniera impetuosa”.

Nella confusione di quegli attimi, il reparto in fuga si lasciò dietro i due fuoristrada che finirono per intralciarsi a vicenda restando bloccati nel mezzo della piazza. Uno dei due mezzi fu circondato da decine di manifestanti che iniziarono ad attaccare il veicolo con sassi e assi di legno, sfondando i finestrini e cercando di lanciare oggetti contro gli occupanti. Placanica si trovava all’interno del mezzo e raccontò che in quel momento fu preso dal panico. Estrasse la sua pistola d’ordinanza e minacciò i manifestanti che lo circondavano. Disse di aver ripetuto il grido più volte: quando si accorso che i manifestanti non si allontanavano, sparò due colpi. Il primo colpì alla testa Carlo Giuliani, che in quel momento si trovava a pochi metri dal fuoristrada e teneva sopra la testa un estintore. Giuliani cadde a terra e pochi istanti dopo l’autista riuscì a liberare il mezzo, che passò sopra il corpo di Giuliani per due volte, una prima in retromarcia, una seconda in direzione anteriore. Pochi minuti dopo, carabinieri e polizia occuparono nuovamente la piazza. Quando l’ambulanza arrivò sul posto, Giuliani era già morto.

Che cosa non torna
Fino a questo punto il resoconto dei fatti sembra chiaro: un’operazione mal pianificata mise alcuni carabinieri in una situazione estremamente complicata e nel panico uno di loro aprì il fuoco causando la morte di Giuliani. È una ricostruzione su cui le parti sembrano essere quasi tutte d’accordo, anche se alcuni membri del movimento no-global sostengono che quella di piazza Alimonda sia stata una “trappola”, cioè un’operazione pianificata dalla polizia. A 15 anni di distanza, rimangono però alcuni dettagli poco chiari, tra cui due particolarmente importanti: gli agenti sul posto tentarono un goffo depistaggio delle indagini? E come venne ferito esattamente Carlo Giuliani?

L’autopsia (PDF) rivelò una profonda ferita sulla fronte di Giuliani. Secondo la ricostruzione del sito Piazzacarlogiuliani.org, che raccoglie alcune delle molte inchieste indipendenti che sono state realizzate sugli eventi di Piazza Alimonda, quella ferita venne prodotta da un carabiniere che cercò di creare artificialmente una prova che Giuliani era stato ucciso da un sasso lanciato dai manifestanti. Secondo il sito, subito dopo la ripresa del controllo della piazza da parte delle forze dell’ordine, un carabiniere avrebbe sollevato il passamontagna di Giuliani e con un sasso lo avrebbe colpito sulla fronte, causando una grossa ferita irregolare. Dalle fotografie di quei momenti, sembra in effetti che un sasso che si trovava a una certa distanza da Giuliani fosse stato spostato vicino alla sua testa. Inoltre non c’erano tracce di danni sul passamontagna di Giuliani in corrispondenza della ferita, come se prima di essere inflitta qualcuno avesse scoperto la fronte del ragazzo. I medici, però, non hanno escluso che la ferita potesse essere stata causata dalla caduta di Giuliani oppure dall’auto che lo aveva investito. In un’intervista del 2006, Placanica disse che alcuni dei suoi colleghi avevano colpito Giuliani sulla fronte con un sasso (ma al momento in cui sarebbe avvenuto il fatto Placanica non si trovava sul posto).

Diversi degli agenti presenti, che quindi avevano probabilmente sentito gli spari, hanno ipotizzato fin da subito che la morte di Giuliani fosse stata causata proprio da un sasso lanciato dagli stessi manifestanti. Dopo pochi minuti dagli spari, non appena la polizia era tornata a occupare la piazza, un agente iniziò a gridare contro un manifestante, accusandolo di aver lanciato un sasso che aveva ucciso Giuliani. In una telefonata registrata con uno dei suoi comandanti e usata durante il processo sulla morte di Giuliani, uno dei carabinieri sul posto disse che Giuliani era stato investito, che forse era stato colpito da un sasso o forse da un proiettile. Il generale con cui il carabiniere era al telefono si stupì molto per queste contraddizione e gli chiese come potesse avere dei dubbi sulle cause della morte di Giuliani: «Ma non lo hai mai visto un morto ammazzato?». Alle 18, nella prima conferenza stampa tenuta dopo la morte di Giuliani, la polizia parlò di un manifestante spagnolo probabilmente ucciso da un sasso, ma pochi minuti dopo le agenzie cominciarono a diffondere le prime dichiarazioni dei medici che parlavano invece di uno sparo. L’unico fotografò che riuscì ad avvicinarsi al corpo di Giuliani in quei primi istanti venne picchiato e le sue due macchine fotografiche furono distrutte dagli agenti presenti.

L’altro principale punto di contrasto sulle versioni è in quale direzione sparò Placanica. Secondo i PM, Placanica non stava prendendo la mira esplicitamente su Giuliani, anche perché, da una serie di esami autoptici e balistici, sembra che nel cranio di Giuliani si entrato un oggetto più piccolo di un’ogiva di proiettile, come se il proiettile sparato si fosse frantumato su un ostacolo prima di colpire Giuliani (il frammento di proiettile ha attraversato il cranio di giuliani ed è uscito dall’altra parte, e non è stato mai recuperato). I magistrati hanno lasciato aperte due ipotesi: la prima, che Placanica abbia cercato di sparare in aria; la seconda, che abbia sparato senza prendere di mira nessuno in particolare, accettando il rischio di colpire qualcuno. In entrambe le circostanze Giuliani sarebbe stato colpito per una coincidenza incredibilmente sfortunata: il proiettile sparato dal carabiniere avrebbe colpito un sasso che si trovava in aria (e che si può vedere esplodere nel filmato di quei momenti) e un suo frammento avrebbe colpito poi Giuliani.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bC-dy_gp17c#t=2414

Secondo gli esperti di parte della famiglia, invece, il sasso che si vede nel filmato sarebbe esploso dopo aver colpito lo spigolo della camionetta, mentre il colpo sparato da Placanica sarebbe stato esplicitamente mirato contro Giuliani. Per spiegare come mai nel cranio non siano state trovate tracce del passaggio di un’ogiva intera, il sito Piazzagiuliani.org ha formulato una teoria secondo cui Placanica aveva in dotazione una pistola con proiettili di gomma non autorizzati all’utilizzo in Italia. I magistrati hanno ritenuto che, in ogni caso, Placanica si trovava in una situazione di pericolo, chiuso all’interno di un’auto bloccata e circondata di manifestanti ostili. Indipendente dalla direzione nella quale ha esploso i colpi, dicono i magistrati, Placanica ha agito per legittima difesa. Nel 2003 il GIP accolse la loro richieste di archiviazione (PDF). Nessun ufficiale è stato indagato o processato per la conduzione dell’azione in piazza Alimonda o per il presunto depistaggio delle indagini. Nel 2011 la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha assolto completamente il governo da tutte le accuse di aver contribuito indirettamente alla morte di Giuliani.