(Da "Friends")

Chi sono i neonati dei film?

Come vengono scelti? Cosa si fa quando serve che piangano? E soprattutto: cosa diavolo è quella cosa collosa che li ricopre?

Kathleen Hale è una scrittrice statunitense che vive a Los Angeles, in California, e qualche giorno fa si è fatta qualche domanda di quelle che sono piuttosto comuni tra gli appassionati di cinema: chi sono quei bambini che vengono usati quando nei film si vede nascere un bambino? Quanti sono? Chi li sceglie? Come si fa a farli recitare? Se non stanno piangendo e serve che piangano, cosa si fa? E soprattutto: cos’è quella cosa viscida che si usa per ricoprirli?

Hale si è messa a cercare gente del settore che sapesse darle queste risposte, e l’ha trovata. Per cominciare: in base alle regole del SAG, il sindacato degli attori che recitano negli Stati Uniti, nei film possono essere mostrati solo bambini che siano nati da almeno 15 giorni. I neonati dei film sono quindi già nati altrove, più o meno per i fatti loro e da almeno un paio di settimane. Ci sono casi, quasi sempre nei documentari, in cui un parto è ripreso dal vivo, ma sono eccezioni che richiedono appositi permessi: successe per esempio nel 2007 per il film francese Il primo respiro, che racconta e mostra dieci nascite in altrettanti paesi del mondo.

In generale, ovunque nel mondo si faccia un film non documentario di un certo livello – e quindi recitato da attori veri –  i neonati che si vedono non sono appena nati. La stessa cosa succede per le serie tv: è pieno, scrive Hale, «di neonati professionisti il cui talento consiste nel piangere, fare la faccia corrucciata e farsi tenere in braccio». Per ovvie ragioni questi professionisti della recitazione non dicono nulla, e nei titoli di coda dei film fanno la fine di quasi tutti gli attori senza battute e finiscono tra i cosiddetti “extra”, insieme ai vari “ragazzo che consegna la pizza”, “tassista numero 2” e “cassiera del supermercato”. Hale scrive: «Nessuno sa i loro nomi, vengono ricoperti di una misteriosa sostanza per delle libertine scene di nudo, e poi vengono dimenticati».

La prima persona intervistata da Hale è stata Evan Goldberg, produttore della commedia Molto incinta, diretta nel 2007 da Judd Apatow: «All’inizio volevamo riprendere una vera nascita, ma abbiamo scoperto che non potevamo perché il bambino, non ancora nato, non poteva essere un membro del SAG. Così abbiamo creato una finta parte inferiore del corpo di una donna e abbiamo fatto uscire da lì una testa».

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Avendo a che fare con un film su un parto, Goldberg ha anche scoperto alcune delle tante e precise regole che deve rispettare chi a Hollywood vuole fare un film con un neonato. I bambini non possono lavorare per più di quattro ore al giorno, per esempio, e all’interno di queste quattro ore possono passare al massimo venti minuti davanti a una cinepresa.

Venti minuti sono pochi per riuscire a fare una scena e farla bene. Chris Riddle ha spiegato cosa si fa per ovviare a questo problema: «Prendi quattro neonati, più o meno nati lo stesso giorno, con lo stesso colore di capelli e che si assomiglino un po’. Ne usi uno per i primi venti minuti, poi un altro, e così via. E se devi fare una scena in cui il neonato non è in primissimo piano, magari in una culla sullo sfondo, usi una bambola». Non sempre però tutto va così liscio, e capita che anche in importanti film da Oscar qualcosa vada storto. È successo a Clint Eastwood con American Sniper. Nessun neonato si è fatto male, eh; il problema è proprio che per il film non è stato usato nessun neonato, nemmeno per le scene piuttosto in primo piano e molti spettatori se ne sono accorti. Scrive Hale: «Niente ti distrae dalla trama più di Sienna Miller [l’attrice della scena] che sembra mettere il suo capezzolo nella rigida bocca di uno di quei bambolotti di plastica che bevono da un biberon e fanno cacca e pipì».

Secondo Hale il problema del bambolotto di American Sniper ha a che fare con la cosiddetta teoria dell’uncanny valley, “valle perturbante” in italiano. È una teoria che riguarda la robotica e dice, in sintesi, che più un robot assomiglia a un umano, più gli umani ne sono contenti. Fino a un certo punto. C’è un limite oltre al quale l’eccessiva somiglianza di un robot (o un bambolotto) con un umano inizia a turbare, a diventare troppo realistica e quindi a essere respingente per gli umani. Goldberg, che per alcune scene del suo film ha usato bambole, ha detto: «Le bambole-controfigure erano così realistiche che deprimevano la troupe, perché sembrava fossero morte. Quando non le stavamo usando, chiedevamo al responsabile degli oggetti usati sul set di portarle via e non farcele vedere».

Hale scrive che, tra l’altro, «non sembrare morto è un aspetto determinante per un attore bambino» e, per rispondere a una delle prime domande di questo articolo, scrive: «Se un bambino si addormenta è vietato svegliarlo perché sarebbe crudele. Al contrario, si cerca un neonato-di-scorta [uno che non ha ancora fatto i suoi 20 minuti] e lo si sostituisce».

Hale ha anche intervistato alcuni dei genitori che scelgono di far recitare i loro figli nati da poco. Uno di loro ha spiegato che «stare svegli è gran parte del lavoro» e che un neonato che dorme poco parte in vantaggio rispetto agli altri, perché già alle audizioni può farsi notare di più. Un altro ha spiegato che in base alla legge californiana – e quindi di Hollywood – tutti i soldi guadagnati da un bambino attore vanno in un apposito fondo che il bambino potrà controllare dal compimento dei 18 anni. Come tutti i campi in cui ci sono genitori che fanno fare cose ai figli, ogni tanto qualcuno esagera: il produttore Hartley Gorenstein ha però spiegato che in questo caso la competizione è bassa, perché basse sono le aspettative di chi ha bisogno di attori bambini: «Quello che si chiede a un neonato è non fare nulla, di solito».

Gorenstein ha anche saputo spiegare cos’è quella cosa viscida che si usa per ricoprirli quando nascono per finta: «Si chiama vernix caseosa ed è uno sciroppo di mais con alto contenuto di fruttosio». Gorenstein ha anche spiegato che, colore a parte, è più o meno la stessa cosa che si usa per fare il sangue finto. Hale ha capito anche che, da set a set, la “cosa viscida” cambia: per il film Molto incinta sono stati usati gelatina d’uva e formaggio cremoso (sempre roba commestibile e non tossica, ovviamente).

Le risposte date da Hale alla domanda «come si fa a farli piangere» sono invece più semplici: «Gli si toglie un giocattolo, si chiede alla madre di uscire dalla stanza, “succede e basta”». Hale spiega che, nel cinema come nella vita, la cosa difficile è far smettere di piangere un bambino, non farlo iniziare. Goldberg ha detto: «Con gli attori adulti devi gestire il loro ego, le loro forze e le loro debolezze. Con i neonati la preoccupazione è solo una: “fa’ che non pianga ancora”». «Quando ci sono neonati sul set tutti fanno del loro meglio, perché se si mette a piangere siamo fottuti. È divertente vedere un centinaio di persone che cercano di fare i bravi genitori, tutti insieme».

Insomma, scrive Hale: «Quei minuscoli attori non vengono ben pagati e raramente raggiungono una grande fama, ma in quei 20 minuti davanti alle cineprese sono piccole star». E visto quanto il pubblico è sensibile all’uncanny valley phenomenon, fanno parte di una di quelle categorie professionali che non temono l’arrivo dei robot.

Bonus: non tutti gli attori bambini vengono dimenticati. Michael Francis Rizzi, il bambino (non neonato) battezzato nella famosissima scena di Il Padrino, è in realtà una bambina, e si chiama Sofia Coppola.

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