Nella sua column sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini attacca giovedì la promozione pubblicitaria del gioco d’azzardo, in tv e sui giornali (anche il suo ne ospita spesso: di recente accompagnate da messaggi sui rischi, in un evidente tentativo di attenuare critiche di questo genere). I suoi argomenti sono che le ludopatie e le vite rovinate dal gioco sono ogni giorno stigmatizzate, ma questi allarmi convivono con la promozione di attività che favoriscono le ludopatie stesse; e che esistono altri casi in cui le regole pubbliche – pur non intervenendo con indebiti proibizionismi – disincentivano la pubblicità di attività giudicate potenzialmente pericolose.
Domanda semplice. Perché è permessa la pubblicità del gioco d’azzardo? Sono un abbonato Sky Calcio, soddisfatto e fedele: ma qualcuno deve spiegarmi perché, dopo aver sottoscritto un sostanzioso abbonamento, devo beccarmi pubblicità e telepromozioni di puntate e scommesse. Mi sembra che perfino i colleghi sportivi si trovino in imbarazzo quando devono annunciare “Chi segnerà il prossimo gol? Le quote dicono…”.
Qualcuno dirà: lei sta scherzando? Perché le televisioni, i giornali e i media in genere dovrebbero lasciare una fonte di reddito, in questi tempi magri? Perché lo Stato dovrebbe rinunciare ai relativi vantaggi fiscali? Risposta: perché, in un Paese civile, la legge non può vietare tutte le cose nocive; ma almeno può evitare di favorirle.
Uno Stato pedagogico è inopportuno (per capirlo, basta guardare la faccia di alcuni eventuali pedagoghi). Ma qualche regola, le democrazie, se la impongono. In Olanda, dove il consumo di cannabis è stato depenalizzato, è vietata la pubblicità degli stupefacenti. In Italia, che io sappia, è vietato pubblicizzare armi, pornografia e superalcolici. La pubblicità delle scommesse, invece, è libera. “Coraggio, rovinatevi! E’ bellissimo”.
(continua a leggere sul Corriere della Sera)