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  • Giovedì 10 marzo 2016

In Polonia continuano i guai

Una controversa riforma della Corte Costituzionale è stata bocciata dalla Corte stessa: il governo ha detto che non riconosce la sentenza

Andrzej Rzeplinski, giudice della Corte Costituzionale della Polonia, Varsavia, 8 marzo 2016 (JANEK SKARZYNSKI/AFP/Getty Images)
Andrzej Rzeplinski, giudice della Corte Costituzionale della Polonia, Varsavia, 8 marzo 2016 (JANEK SKARZYNSKI/AFP/Getty Images)

La Corte Costituzionale della Polonia ha detto che molti cambiamenti introdotti con una riforma dal nuovo governo conservatore guidato da Beata Szydlo, e che riguardano il funzionamento della Corte stessa, sono incostituzionali. Il governo ha detto che non riconoscerà la sentenza di incostituzionalità della Corte. In Polonia ci sono da mesi diversi problemi e manifestazioni di protesta: la Commissione Europea ha anche avviato un’indagine.

La riforma della Corte Costituzionale prevede, tra le altre cose, l’innalzamento del numero dei giudici che servono per approvare un provvedimento e renderlo valido: una maggioranza di due terzi dei 15 giudici che compongono la Corte con un quorum di almeno 13 giudici presenti. Secondo il giudice Stanislaw Biernat, che ha letto la sentenza alla fine di una sessione durata due giorni, le nuove regole «limitano enormemente la possibilità e la capacità della Corte costituzionale di funzionare come istituzione indipendente, e quindi violano in modo essenziale principi e valori del sistema democratico nato in Polonia dopo il 1989: non possono essere tollerate». Il leader del partito di governo Jaroslaw Kaczynski ha detto che la sentenza è «nulla, irrilevante e legalmente assurda», così come l’attuale ministro della Giustizia a cui qualche giorno fa, con una decisione piuttosto contestata, il governo ha affidato anche l’incarico di procuratore generale dello Stato.

Dallo scorso ottobre il partito di maggioranza in Polonia è Diritto e Giustizia (Pis), un partito molto di destra di cui fa parte Beata Szydło, la prima ministra. Diritto e Giustizia aveva vinto le elezioni grazie all’appoggio di un elettorato composto soprattutto da persone anziane, molto religiose e poco istruite, e aveva ottenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento grazie al premio di maggioranza, battendo i partiti di centrodestra che sostenevano il precedente governo. Nei primi mesi del suo insediamento il governo ha approvato una serie di misure molto controverse, in particolare in merito alla Corte Costituzionale polacca e al controllo dei mezzi di informazione. Le opposizioni avevano accusato Beata Szydło di voler limitare l’indipendenza del sistema giudiziario e della stampa, e di volere portare avanti anche diverse politiche contro i diritti delle donne e dei gay.

Le modifiche alla legge che disciplina la Corte, così come altre riforme introdotte di recente, sono attualmente oggetto di un’indagine da parte della Commissione europea per stabilire se ci sia stata una possibile violazione dello stato di diritto e se non sia in corso nel paese una «minaccia sistemica» ai valori dell’Unione Europea. Il governo polacco ha minimizzato parlando di «procedura standard» e dicendo che la democrazia nel paese «è viva e vegeta». L’indagine preliminare della Commissione è stata avviata lo scorso gennaio e si basa su un regolamento approvato nel marzo del 2014 per «contrastare le minacce sistemiche allo stato di diritto in tutti e 28 i paesi UE». Il nuovo regolamento è complementare rispetto alle procedure di infrazione (violazione delle leggi dell’UE) e alla cosiddetta «procedura dell’articolo 7 del TUE», il Trattato sull’Unione Europea, che, nei casi più gravi, prevede la sospensione del diritto di voto in presenza di una «violazione grave e persistente» dei valori dell’UE da parte di un paese dell’Unione.

Questo regolamento consente alla Commissione europea di avviare un dialogo con il paese UE coinvolto per prevenire l’aggravarsi di «minacce sistemiche allo stato di diritto». Se il dialogo non dovesse andare a buon fine, la Commissione potrebbe ricorrere all’articolo 7 del TUE che prevede di sospendere determinati diritti derivanti dall’applicazione dei trattati per il paese UE in questione, compreso il diritto di voto di quel paese nel Consiglio. Perché questo accada, la «violazione grave» deve essersi protratta per un certo periodo di tempo: finora in nessun paese dell’UE sono state applicate le sanzioni di quell’articolo.