Nove canzoni di Björk

Scelte dal peraltro direttore del Post, da riascoltare oggi che compie 50 anni

 (AP Photo/Gary He)
(AP Photo/Gary He)

Björk Guðmundsdóttir, conosciuta comprensibilmente solo come Björk, è nata a Reykjavík il 21 novembre 1965: è tra le personalità islandesi più conosciute e una delle più apprezzate e innovative cantanti degli ultimi vent’anni. Oggi compie 50 anni, e queste sono le nove canzoni che il peraltro direttore del Post Luca Sofri ha scelto per il suo libro Playlist.

Björk
(1965, Reykjavík, Islanda)

Quando Björk arrivò, fu quello che ci voleva. Quello che ci voleva per gli appassionati di musica in attesa di qualcosa che suonasse nuovo, e per i vanitosi in attesa di qualcosa che suonasse strano. Usciva da una band già apprezzata dagli addetti ai lavori, i Sugarcubes, e aprì la rotta a una serie di islandesi anche più strani di lei che arrivarono negli anni successivi. Capace di cacofonie intollerabili e melodie celestiali, ha sempre avuto voglia di provare cose nuove ma finora non ha mai fatto un duetto con Zucchero.

Like someone in love

(Debut, 1993)
Una cover – con arpa, dell’ottantenne Corky Hale – nel suo primo disco dopo aver lasciato gli Sugarcubes, uno standard jazz celebrato da tutti e che diede il titolo a un famoso disco di Ella Fitzgerald. L’avevano scritta Johnny Burke e Jimmy Van Heusen, gli autori di “Polkadots and Moonbeams”.

Venus as a boy

(Debut, 1993)
La canzone che chiunque di noi ragazzi vorrebbe che la sua ragazza gli avesse dedicato (magari non questa ragazza).
“His wicked sense of humour suggests exciting sex”.

It’s oh so quiet
(Post, 1995)
L’originale era una canzone del 1948 cantata da Betty Hutton e intitolata “Blow a fuse”. Björk racconta che la cantava il produttore Guy Sigsworth sul pullman quando erano in tournée, e che il formidabile successo della sua cover la seccò non poco. Possibile che la sua canzone più celebre fosse di qualcun altro? Possibile.

You’ve been flirting again
(Post, 1995)
«È come aver superato l’esame di matematica» disse dopo aver messo insieme il suo primo arrangiamento di archi, ciliegina centrale su questa torta.

It’s not up to you

(Vespertine, 2001)
È un vecchio trucco di maniera nel mondo dei compositori pop: costruire una strofa ardua, discontinua, poco melodica, che sia solo al servizio del senso di liberazione ottenuto con un ritornello che è tutto il contrario: “it’s not up to youuuuu…”.

Oceania

(Medùlla, 2004)
La cantò all’inaugurazione delle Olimpiadi di Atene. Gliel’avevano chiesta. A cantare è l’oceano, rivolto al resto del mondo, figlio suo. “Il vostro sudore è salato, il perché sono io.”

Vökurò

(Medùlla, 2004)
Bjork dice essere stata influenzata dall’ascolto di “Bohemian Rhapsody” dei Queen, ma lei si è spinta decisamente più avanti. O più indietro.

Who is it

(Medùlla, 2004)
Ritmo elettronico fornito da Rahzel dei Roots, e alleviato dal refrain contagiosissimo, “who is it’”.

Stone Milket
(Vulnicura, 2015)
Quelle cose che lei sa fare bene ancora nel 2015, melodie, suoni un po’ eterei e confusi ma confortevoli e commoventi, in opposizione alle volte in cui diventano dissonanti. Storie di amori finiti, o che finiranno.