La storia di una delle persone morte dentro un camion in Austria

Il Guardian ha ricostruito la vicenda esemplare di Saeed Othman Mohammed, uno dei 71 migranti soffocati lo scorso agosto

(AFP PHOTO / DIETER NAGL)
(AFP PHOTO / DIETER NAGL)

Lo scorso 27 agosto i corpi di 71 persone sono stati trovati dentro al cassone di un camion parcheggiato in un’autostrada nel Burgenland, circa 50 chilometri a sud di Vienna e vicino al confine con l’Ungheria. Erano migranti che cercavano di raggiungere l’Europa nordoccidentale, molti dei corpi erano in stato di decomposizione. Il Guardian ha raccontato la storia di uno di loro, Saeed Othman Mohammed, ricostruendola attraverso le parole della famiglia, quelle di alcuni compagni di viaggio e dei trafficanti che hanno organizzato il suo viaggio.

Saeed Othman Mohammed aveva telefonato per l’ultima volta alla sua famiglia nella tarda serata di lunedì 24 agosto: si trovava in Ungheria e sperava che quella stessa notte i trafficanti lo avrebbero portato in Germania. Era partito un mese prima dal Kurdistan iracheno e dava notizie ai suoi a intervalli frequenti e regolari durante il viaggio. Quattro giorni dopo la sua ultima telefonata, il fratello aveva chiamato l’uomo che aveva organizzato il viaggio, Jamal Qamishi. Si era sentito dire che non c’erano notizie, ma che se ce ne fossero state lo avrebbe saputo: «Ti farò sapere, al 100 per cento». Notizie di Saeed Othman Mohammed sono però arrivate solo a metà settembre e da parte dalla polizia austriaca. Saeed Othman Mohammed era tra le 71 persone trovate morte nel camion. Alcuni dei corpi erano già in stato di decomposizione e c’erano voluti diversi giorni per riuscire a identificarli.

Saeed Othman Mohammed era originario di Sulaimaniya, città del Kurdistan iracheno al confine con l’Iraq, sotto attacco da mesi dalle milizie dello Stato Islamico. Migliaia di persone sono fuggite dall’Iraq quest’anno per scappare dalla guerra e dalla repressione politica. Sulaimaniya era stata risparmiata dallo Stato Islamico, ma Saeed Othman Mohammed – che aveva già tentato di partire nel 2006 ma che era stato arrestato in Turchia e rimandato a casa – aveva ora un motivo in più: aveva gravi problemi di salute all’unico rene che gli era rimasto e voleva essere curato. Aveva 35 anni, anche se sembrava molto più vecchio, e faceva il meccanico.

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(Saeed Othman Mohammed in una fotografia pubblicata sul Guardian)

Il suo “contatto” è stato Jamal Qamishi, un uomo di 46 anni che gestisce una società che si occupa di turismo. Qamishi, scrive il Guardian, «sostiene di concentrarsi esclusivamente sul turismo» ma si dice di lui che organizzi viaggi illegali verso l’Europa. Saeed faceva parte di un gruppo di altre 14 persone: insieme avevano scelto di pagare a Qamishi un grosso forfait in cambio dell’organizzazione dell’intero viaggio verso la Germania. Qamishi ha raccontato al Guardian che era «fuori dal giro da cinque anni» ma che aveva deciso di aiutare questo gruppo solo perché era legato a tre di loro: «Le loro famiglie mi hanno chiamato e mi hanno detto di organizzare. Ho detto loro che avevo smesso, ma hanno insistito». Il viaggio sarebbe durato dieci giorni e salvo circa 22 ore di cammino in Bulgaria, si sarebbe svolto con dei mezzi di trasporto.

Saeed aveva i soldi, che aveva messo da parte durante gli anni di lavoro. Li aveva depositati presso una terza persona di cui il trafficante si fidava: una volta concluso il viaggio e raggiunta la Germania, Saeed avrebbe dovuto chiamarlo dicendogli di pagare il trafficante e i suoi complici. La data della partenza era stata fissata per mercoledì 22 luglio. Alle 10 del mattino i fratelli, le sorelle e il migliore amico di Saeed si sono riuniti nella casa di famiglia per salutarlo e hanno scattato una fotografia. «Stavamo soffrendo», ha detto il fratello maggiore di Saeed, «ma abbiamo dovuto fingere di essere felici per lui».

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(Saeed Othman Mohammed e la sua famiglia in una fotografia pubblicata sul Guardian)

Il gruppo di Saeed Othman Mohammed era partito per la Turchia su due diversi veicoli. La sera era arrivato al confine e tre ore dopo nella città meridionale di Diyarbakir. Il giorno dopo li aspettava un volo per portarli a Istanbul, nel nord-ovest del paese. A quel punto Qamishi aveva chiamato due complici dicendo che i loro passeggeri erano pronti e che i soldi c’erano. Dopo aver verificato che il denaro fosse stato effettivamente depositato, i due avevano recuperato il gruppo e la sera del 23 luglio lo avevano accompagnato vicino al confine bulgaro. Venerdì 24 luglio Saeed Othman Mohammed e i tredici compagni avevano cominciato il loro cammino attraverso il paese. Dopo circa quattro ore erano stati fermati da nove poliziotti, che li avevano picchiati rubando loro i telefoni e i soldi e spingendoli a tornare in Turchia.

Qualche giorno dopo il gruppo aveva fatto un nuovo tentativo. La seconda volta la maggior parte del gruppo era riuscita a passare il confine inosservata (uno di loro ora si trova in Finlandia, un altro in Austria). Saeed con altri tre era stato invece intercettato dalla polizia bulgara e portato prima a Svilengrad (c’è una sua foto segnaletica datata 28 luglio) e poi in un campo di detenzione per rifugiati. Era rimasto lì per quasi un mese fino a quando era stato rilasciato. Siamo al 21 agosto.

Migranti

Finalmente libero, Saeed aveva contattato un uomo chiamato Barzan, complice di Qamishi, che aveva portato lui e i suoi tre compagni rimasti oltre il confine con la Serbia consegnandoli a un altro trafficante. Quest’ultimo li aveva portati in Ungheria. In Ungheria, Saeed e i suoi tre compagni erano stati affidati a un altro trafficante curdo chiamato Karwan Hussein. Doveva essere il quinto e ultimo collegamento della rete prima di arrivare in Germania. In realtà Qamishi ha detto di non aver mai incontrato Hussein.

Siamo al 24 agosto e all’ultima telefonata di Saeed Othman Mohammed. La famiglia di Saeed era già stata contattata da uno dei suoi primi compagni di viaggio, che era riuscito ad arrivare in Austria e che aveva raccontato di avere rischiato nell’ultimo tratto di viaggio dall’Ungheria di morire soffocato in un camion. Durante quella telefonata viene deciso di consegnare un supplemento alla famiglia di Hussein a Sulaimaniya, per assicurare un viaggio a Saaed in macchina e non nel cassone di un camion. «Nessuno sa perché Saeed sia finito nel retro di un camion, nemmeno Qamishi. Il trafficante è stata l’ultima persona a parlare con Saeed per telefono, alle 3 del mattino del 25 agosto, poco prima che salisse a bordo del furgone», scrive il Guardian. L’uomo che potrebbe avere una risposta è Hussein. Ma quando il fratello di Saaed lo ha chiamato, il 25 agosto, chiedendogli notizie, Hussein ha risposto che Saeed era stato arrestato. Dopodiché si è reso irreperibile.

Due giorni dopo è stato ritrovato il camion. La polizia inizialmente ha parlato di 20 corpi, poi di 50, infine di 71 (59 uomini, otto donne e quattro bambini). Non è ancora chiaro quanto tempo fossero rimasti nel cassone. La giornata particolarmente calda e il fatto che il furgone fosse stato lasciato al sole ha probabilmente accelerato il processo di decomposizione dei corpi. La prima notizia arrivata a Sulaimaniya riguardava un amico di Saeed: era tra i morti ed era stato identificato. Poi è arrivata la notizia che anche Saeed era su quel furgone. Infine, tre settimane dopo, la famiglia di Saeed ha ricevuto il suo certificato di morte. Conclude il Guardian:

«La notizia è stata tenuta nascosta alla madre e alla sorella di Saeed il più a lungo possibile. Ma quando sono arrivati tutti in aeroporto per accogliere la bara, era impossibile nascondere ancora la sua morte. “Chi è venuto a ritirare il cadavere?”, ha gridato un funzionario dell’aeroporto. Poi la madre ha cominciato a urlare».

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(I funerali di Saeed Othman Mohammed a Sulaimaniya in una fotografia pubblicata sul Guardian)