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  • Martedì 29 settembre 2015

Il formidabile libro di Dave Eggers

È tutto dialoghi, ed è quasi un film, sulle ragioni folli e sensatissime di un sequestratore che vuole delle risposte

La copertina di "I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?"
La copertina di "I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?"

È uscito in Italia per Mondadori l’ultimo romanzo dello scrittore statunitense Dave Eggers, tradotto da Marco Rossari, dal lungo titolo in citazione biblica “I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?” (pubblicato negli Stati Uniti a ottobre del 2014). La storia ha un formato originale tutto in conversazioni dirette tra i protagonisti, una sorta di testo teatrale senza essere costruito per il teatro e anzi capace di rendere molto efficacemente situazioni e contesti. Per essere più precisi, si tratta delle conversazioni successive tra il protagonista e alcuni suoi ostaggi, in cui Eggers affronta con grande brillantezza diversi temi contemporanei come le responsabilità pubbliche, l’etica personale, i ruoli di chi acquisisce notorietà e i rapporti con i propri lettori, fans, followers, ma anche il diritto all’oblìo e le conseguenze più estese delle proprie azioni. E si legge con progressivo coinvolgimento, come se fosse un film, o una serie (l’inventiva narrativa di Eggers era nota dal suo primo romanzo “L’opera struggente di un formidabile genio”, poi l’aveva ricondotta su formati più tradizionali). Queste sono le prime pagine.

***

Edificio 52

«Ce l’ho fatta. Sei davvero qui. Un astronauta. Cristo.»
«Chi è?»
«Avrai mal di testa. Per colpa del cloroformio.»
«Cosa? Dove sono? Dove siamo? Tu chi cazzo sei?»
«Non mi riconosci?»
«Cosa? No. Cos’è questa?»
«Quella? È una catena. È attaccata a quel palo. Non tirare.»
«Porca troia. Porca troia.»
«Ti ho detto di non tirare. Voglio anche dirti subito quanto mi dispiace che tu sia finito qui in questo modo.»
«Chi sei?»
«Ci conosciamo, Kev. Da tempo. E proprio non volevo trascinarti qui così. Insomma, avrei preferito bermi una birretta con te una volta o l’altra, ma tu non rispondevi mai alle mie lettere e poi ho visto che passavi in città e allora… Davvero, non tirare. Ti farai male alla gamba.»
«Che cazzo ci faccio qui?»
«Sei qui perché ti ci ho portato io.»
«Sei stato tu? Sei stato tu a incatenarmi a un palo?»
«Non è grandioso quell’affare? Non so se il termine palo è corretto. Qualsiasi cosa sia, è incredibilmente solido. Questo posto è pieno. Era una base militare, quindi in giro ci sono tutte queste attrezzature strane. Quella roba a cui sei incatenato può reggere più di quattro tonnellate e ce n’è una in quasi tutti i fabbricati qui. Piantala di tirare.»
«Aiuto!»
«Non gridare. Non c’è anima viva per chilometri. E appena al di là della collina c’è l’oceano, quindi tra le onde e il vento si sentirebbe a stento una cannonata. Comunque qui i cannoni non sparano più.»
«Aiuto!»
«Oh, Cristo. Smettila. Fai solo casino. Questo è tutto cemento, vecchio mio. Non senti che eco?»
«Aiuto! Aiuto!»
«Immaginavo che avresti gridato, quindi se devi farlo ora, dimmelo e basta. Io non ci resto qui mentre urli.»
«Aiuto!»
«Mi sei veramente scaduto.»
«Aiuto! Aiuto! Aiuto! C’è nessuno…»
«E va bene, Cristo santo. Tornerò quando avrai finito.»
«Hai finito?»
«Vaffanculo.»
«Non ti avevo mai sentito dire le parolacce. È una delle cose che ricordo di te, che non dicevi mai una parolaccia. Eri un tipo così serioso, così preciso e attento e corretto. E con quel taglio a spazzola e quelle camicie a maniche corte, sembravi un personaggio d’altri tempi. Ma forse è normale, se vuoi fare l’astronauta… Bisogna essere dei precisini. Avere quel tipo di purezza.»
«Io non so chi sei.»
«Cosa? Oh, sì invece. Non te lo ricordi?»
«No. Io non ne conosco di gente come te.»
«Alt. Pensaci su. Chi sono?»
«No.»
«Sei incatenato a un palo. Tanto vale tirare a indovinare. Com’è che ci conosciamo?»
«Vaffanculo.»
«No.»
«Aiuto!»
«Smettila. Non lo senti il casino che fai qui dentro? La senti l’eco?»
«Aiuto! Aiuto!»
«Mi hai molto deluso, Kev.»
«Aiuto! Aiuto! Aiuto!»
«Ok, me ne vado finché non ti dai una calmata.»
«Allora, hai finito? Di notte fa un freddo, là fuori. Il vento sale dal promontorio e dal Pacifico… Che ne so. Diventa tagliente. Se c’è il sole l’aria è quasi tiepida, ma non appena tramonta in un attimo si gela. Avrai la gola secca. Vuoi dell’acqua?»
«…»
«Ti lascio la bottiglia qui. Bevi quando ti va. È per questo che ti ho lasciato la mano sinistra libera. Ci resteremo un po’ qui, quindi mettiti in testa che voglio farti mangiare e darti tutto quello di cui hai bisogno. Nel furgone ho anche delle coperte.»
«Come hai fatto a portarmi qui? Eri il tizio che stava spostando quel divano?»
«Ero io. Ho visto quel trucchetto in un film. Non riesco a credere che ha funzionato. Mi hai aiutato a caricare il divano sul furgone e io ti ho stordito con il taser, poi ho usato il cloroformio e ti ho portato qui. Vuoi sentire tutta la storia? È abbastanza incredibile.»
«No.»
«Parcheggiare accanto a questo posto è impossibile, quindi ti ho trascinato fuori dal furgone e ti ho caricato su quel carrello… È là fuori, si vede. Era già qui e funziona ancora benissimo. Con quell’affare si potrebbe trasportare un elefante. Quindi, ti ho caricato su quel carrello, poi ti ho spinto per mezzo chilometro dal parcheggio fino a questo edificio. A essere sincero, se penso a come è andata liscia mi gira quasi la testa. Pesi una decina di chili più di me e poco ma sicuro sei molto più in forma di quanto il sottoscritto potrà mai essere. Eppure ha funzionato. Sei un cazzo di astronauta e ora sei qui. Che giornata fantastica.»
«Tu sei pazzo.»
«No, no. Per nulla. Tanto per cominciare, mi dispiace. Non avrei mai creduto di arrivare a fare una cosa simile, ma negli ultimi tempi non mi restava altra scelta. Non ho mai fatto male a nessuno in tutta la mia vita, e non farò del male a te. Non ti farei mai del male, Kev. Questo te lo devi piantare bene in testa. Quindi non c’è bisogno di lottare o cose del genere. Domani ti lascerò andare, ma prima voglio fare una chiacchierata.»
«Cazzo quanto sei fuori di testa.»
«Invece no. Davvero. Smettila di dirlo, ti prego, perché non è così.
Ho una mia morale e sono un uomo di sani princìpi.»
«Vaffanculo.»
«Piantala anche di rispondermi così. Non mi piaci quando dici parolacce. Torniamo a noi: ti ricordi di me?»
«No.»
«Kev, piantala. Guardami e basta. Prima la finiamo e prima ti lascio andare.»
«Appena mi liberi, ti ammazzo.»
«Ehi. Ehi. Ma che senso ha dire una cosa del genere? Nessuno. Così torniamo indietro di ore. Forse anche di più. Stavo pensando di liberarti già stasera. O domani al più tardi. Ma adesso mi hai messo paura. Non ti facevo così violento. Cristo, Kev, sei un astronauta! Non dovresti metterti a minacciare la gente.»
«Sei tu che mi hai incatenato a un palo.»
«Già. Ma quello che ho fatto è stato metodico e non violento. Il fine giustifica i mezzi. Volevo solo parlare con te, e tu non rispondevi alle mie lettere, così ho pensato che non c’era altra scelta. Ti chiedo scusa di cuore per averlo fatto in questo modo, ho dovuto. Ultimamente non ci stavo molto con la testa. Avevo tutte ’ste emicranie, non riuscivo a dormire. Porca troia, lo stress! Le domande mi affollavano la mente e di notte mi sentivo soffocare. Ti è mai capitato che sei sdraiato lì, e le domande sono come aspidi che ti si avvinghiano attorno alla gola?»
«Cazzo se sei fuori di testa.»
«Sai che ti dico, Kev? Non è vero. Ma devo ammettere che nel momento esatto in cui ho detto aspidi ho capito di aver fatto un errore. Uno come te sente quella parola, la specificità di quella parola, e pensa subito che sono una specie di pazzoide ossessivo.»
«E invece non è così.»
«Anche il sarcasmo, ora. Questa è una novità. Eri così autentico, un tempo. In cuor mio ammiravo quella cosa. Non mi piace questo nuovo tono tagliente. Apri bene le orecchie adesso: secondo me te ne rendi conto anche tu che sono in grado di intendere e di volere.»
«Anche se mi hai rapito e portato qui.»
«Proprio perché ti ho portato qui… Perché ci sono riuscito. Ho elaborato un piano, l’ho eseguito e ho portato un astronauta in una base militare abbandonata a duecento chilometri di distanza dal posto dove ti ho rapito. Questo mi rende una persona abbastanza in gamba, dico bene?»
«…»
«Kev. Tu lavori per il governo, giusto?»
«Lavoro per la nasa.»
«Che è un’agenzia governativa. E ogni giorno il governo porta qualche nemico in una località supersegreta per interrogarlo, no?
Allora che c’è di male se a farlo sono io?»
«Quindi io sarei un nemico.»
«No. Forse era un paragone poco azzeccato.»
«Senti bello, finirai in prigione per il resto dei tuoi giorni.»
«Non penso proprio. Solo gli stupidi si fanno beccare.»
«Invece tu saresti una straordinaria mente criminale.»
«No. No, Kev. Non ho mai fatto nulla di illegale in tutta la mia vita. Non è incredibile? Sul serio. I grandi crimini vengono commessi da principianti. Vedo che ti stai guardando intorno. Non è grandioso questo posto? È pazzesco che ci troviamo proprio in una base militare, no? La riconosci questa roba? Guardati intorno. Questo edificio era una specie di santa barbara. Secondo me fissavano i cannoni o quello che era a questi pali così potevano muoversi avanti e indietro per assorbire il rinculo. Non ne sono sicuro, ma altrimenti che senso avrebbero questi pali?»
«Ti ammazzo, cazzo. Anzi, ti ammazza prima la polizia.»
«Kev, questo non accadrà mai.»
«Avranno scatenato un’enorme caccia all’uomo per scoprire che cosa mi è successo…»
«Non essere presuntuoso. Non lo sei mai stato. Tu eri uno di quei tipi che sanno di essere svegli e tosti e destinati a fare grandi cose, ma sapevi anche che dirlo ai quattro venti non ti sarebbe stato d’aiuto. Quindi avevi un tipo d’umiltà in pubblico che era molto carina. E funzionava. A me piaceva. Capivo che c’era un piano dietro, ma mi piaceva e lo rispettavo. Quindi non rovinare tutto facendo quello che “sono un astronauta, io”.»
«Come vuoi. Però sei morto lo stesso. Mi troveranno nel giro di ventiquattr’ore.»
«No che non ti troveranno. Ho mandato messaggi a tre persone con il tuo telefono, dicendo a ognuna di loro che eri in un posto diverso. A uno dei tuoi colleghi alla nasa ho detto che ti era morto un parente. Ai tuoi genitori ho detto che avevi un corso di addestramento. Dio, grazie per i messaggini: così posso spacciarmi per te come niente. Poi ho spento il telefono e l’ho buttato.»
«Ci sono centinaia di cose a cui non avrai pensato.»
«Forse. Forse no. Ti starai chiedendo dove ti trovi. Questa è una base smantellata, cade a pezzi. Nessuno sa più che farsene, quindi la lasciano qua, a marcire su un terreno che vale miliardi di dollari. Da qui non lo vedi, ma l’oceano è tipo a mezzo chilometro dietro la collina. Il panorama è spettacolare. Però qui intorno ci sono solo questi vecchi edifici in rovina. Centinaia di edifici, e altri venti uguali identici a questo, tutti uno di fila all’altro. Secondo me questo qua veniva usato per testare le armi chimiche. Ce n’è uno vicino dove insegnavano i metodi per gli interrogatori. Invece questi qui hanno ’sti pali a cui puoi agganciare qualcosa. Perché mi guardi in quel modo? Mi hai riconosciuto?»

Copyright © 2014, Dave Eggers
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© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano

– Luca Sofri sull’ultimo libro di Dave Eggers