La questione degli studenti scomparsi in Messico si complica di nuovo
Una commissione indipendente ha pubblicato un rapporto che nega la versione che sembrava aver chiarito cosa successe un anno fa
Lunedì 7 settembre sono stati pubblicati i risultati di un’inchiesta indipendente sull’uccisione dei 43 studenti scomparsi lo scorso anno a Iguala, nello stato messicano di Guerrero: la storia era stata al centro delle cronache e delle polemiche nazionali ma anche fuori dal Messico per molti mesi. Secondo gli esperti della Commissione inter-americana per i diritti umani con sede a Washington «non c’è alcuna prova a sostegno» delle conclusioni dell’indagine condotta dal governo, che sembrava avere dato una risposta al mistero su quel che era avvenuto e secondo la quale gli studenti furono uccisi dalla banda criminale dei “Guerreros Unidos” e i loro corpi bruciati e buttati in una discarica. Lo scorso gennaio il procuratore generale del Messico, Jesús Murillo, aveva anche detto che gli investigatori che si stavano occupando del caso avevano ottenuto 39 confessioni da membri della banda criminale e poliziotti, considerati anch’essi coinvolti nel caso, sostanzialmente dichiarando il caso chiuso.
Nel rapporto della commissione indipendente (lungo 500 pagine e condotto in circa sei mesi) si dice però che ci sono diverse incongruenze tra le prove raccolte e la versione data dal governo. Innanzitutto non ci sono riscontri che indichino la presenza di un incendio delle dimensioni necessarie per la cremazione di 43 corpi: l’incendio avrebbe causato infatti alla vegetazione circostante e ai rifiuti della discarica danni molto vasti, ma sono state ritrovate le tracce solo di piccoli fuochi. Poi, ci sarebbe stato bisogno di almeno 60 ore per portare a termine la cremazione e non di sole 14 come risulta dalla versione ufficiale. Gli esami del DNA realizzati in un laboratorio in Austria hanno portato infine all’identificazione di un solo studente.
Gli esperti della commissione hanno fatto anche notare che durante la loro indagine non sono stati in grado di intervistare il personale militare che avrebbe potuto assistere alle uccisioni e hanno invitato il governo a proseguire nelle indagini. La stessa richiesta viene fatta da mesi dai familiari degli studenti che sostengono che i ragazzi non siano morti e che chiedono alla polizia, anche attraverso l’organizzazione di manifestazioni, di continuare le ricerche.
La scomparsa degli studenti messicani risale al 26 settembre del 2014: la polizia li aveva fermati su una strada di Iguala, c’era stata una sparatoria, alcuni erano stati uccisi sul posto, altri erano riusciti a fuggire. In 43 erano stati arrestati dalla polizia e da allora di loro non si era più saputo nulla. Fin dalle prime fasi delle indagini era emerso il coinvolgimento di una banda criminale locale molto potente, i Guerreros Unidos. Lo scorso 8 novembre tre membri della banda hanno confessato di averli uccisi: hanno detto che i 43 studenti erano stati consegnati loro dalla polizia locale, che a sua volta li aveva fermati mentre su alcuni autobus erano diretti verso un evento organizzato dal sindaco di Iguala José Luis Abarca, e sua moglie, María de los Ángeles Pineda, per contestarli. Entrambi sono stati arrestati il 5 novembre dopo un breve periodo di latitanza: sono accusati di essere i mandanti del sequestro degli studenti e di avere legami stretti con Guerreros Unidos.