I due giornalisti dell’Espresso sono indagati per il caso Crocetta

Gli autori dell’articolo sulla presunta intercettazione su Lucia Borsellino sono indagati per notizie false: uno di loro anche per calunnia

Il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, durante una conferenza stampa a Palermo, 23 luglio 2015 (LaPresse - Guglielmo Mangiapane)
Il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, durante una conferenza stampa a Palermo, 23 luglio 2015 (LaPresse - Guglielmo Mangiapane)

I due giornalisti del settimanale l’Espresso autori dell’articolo in cui viene riportata una presunta intercettazione tra il presidente della Sicilia Rosario Crocetta e il suo medico Matteo Tutino, e in cui viene nominata Lucia Borsellino, sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla procura di Palermo. Si tratta di Piero Messina e Maurizio Zoppi: entrambi hanno ricevuto un avviso di garanzia in cui si ipotizza il reato di diffusione di notizie false. Per Messina c’è anche la contestazione più grave, quella di calunnia: secondo l’ANSA, per aver indicato come fonte della notizia un investigatore che avrebbe però smentito. Messina fino a tre anni fa lavorava nell’ufficio stampa della regione Sicilia: fu licenziato proprio da Crocetta. Convocati dai pubblici ministeri, in presenza del loro avvocato Fabio Bognanni, i due giornalisti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Entrambi inoltre dovranno rendere conto all’Ordine dei giornalisti della Sicilia che ha detto di averli convocati per avere dei chiarimenti.

La Procura di Palermo che ha iscritto nel registro degli indagati gli autori dell’articolo è la stessa Procura che ha più volte smentito l’esistenza della telefonata. La storia è cominciata giovedì 16 luglio, quando l’Espresso aveva pubblicato l’anticipazione di un articolo in cui veniva riportata tra virgolette una frase che, secondo l’Espresso, era contenuta in un’intercettazione tra Matteo Tutino e Rosario Crocetta. Nell’intercettazione, Tutino dice che Lucia Borsellino «va fermata, fatta fuori. Come suo padre». Nell’articolo si dice anche, facendo riferimento a Crocetta: «Non si indigna, non replica: nessuna reazione di fronte a quel commento macabro nei confronti dell’assessore della sua giunta, scelto come simbolo di legalità in un settore da sempre culla di interessi mafiosi». E si dice infine che «gli stralci di queste intercettazioni sono confermate dai magistrati e dagli investigatori che lavorano all’inchiesta».

L’esistenza della telefonata è stata smentita per due volte dalla Procura di Palermo e altre procure siciliane che avevano fatto sapere come la frase non risultasse agli atti, mentre l’Espresso aveva riconfermato la sua versione aggiungendo che la conversazione esiste, che avvenne nel 2013 e che sarebbe contenuta in un fascicolo secretato. Il giorno seguente l’Espresso aveva aggiunto che «la telefonata non è trascritta negli atti depositati, ma omette che sia fra gli atti non depositati di un’inchiesta collegata». Il procuratore di Palermo Lo Voi aveva smentito nuovamente ribadendo che «l’intercettazione tra il dottor Tutino e il presidente Crocetta, di cui riferisce la stampa, non è agli atti di alcun procedimento di questo ufficio e neanche quelle registrate dal NAS».

Nei giorni successivi sia un commento del direttore del Post che poi un articolo del sito Fanpage avevano scritto che a far convivere le due versioni – della Procura e dell’Espresso – potrebbe essere l’ipotesi di un’iniziativa autonoma e illegittima di chi ha compiuto l’intercettazione, senza autorizzazione dei magistrati. Lo scorso 22 luglio, il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, aveva chiesto al procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, di preparare una relazione sulla presunta intercettazione per capire se Ciccolo potesse avere un qualche tipo di competenza nel valutare la vicenda, e valutare se sanzionare i magistrati coinvolti. Nel frattempo Crocetta, che in un primo momento aveva parlato di dimissioni, ha detto che non si dimetterà aggiungendo anche che avrebbe chiesto a l’Espresso dieci milioni di euro di danni per la pubblicazione dell’articolo sull’intercettazione.