Che fine ha fatto l’esperanto
La lingua inventata un secolo fa da un polacco con ambizioni pacifiste e internazionaliste ha avuto alterne fortune: non è diventata la lingua di tutti, ma resiste
L’esperanto è una lingua artificiale, creata a tavolino partendo dalle parole e dalle regole grammaticali di altre lingue. La elaborò tra il 1882 e il 1887 Ludwik Lejzer Zamenhof, un medico e linguista polacco, e ha avuto nel tempo una popolarità intermittente. Zamenhof aveva studiato molte lingue e decise di proporne una sintesi: una versione semplificata che potesse ambire a diventare quello che si definisce una lingua ausiliaria internazionale, una lingua che persone di diversi paesi possono usare per comunicare tra loro. Zamenhof voleva che l’esperanto diventasse una lingua capace di favorire le relazioni interpersonali e la pace nel mondo. “Esperanto” significa infatti “colui che spera” e deriva a sua volta dallo pseudonimo Doktoro Esperanto, che Zamenhof scelse di usare per alcune sue pubblicazioni.
Saluton! Ĉu vi parolas Esperanton? (Ciao, parli esperanto?)
Nelle ambizioni di Zamenhof e di chi dopo di lui ha parlato, insegnato e promosso l’esperanto, la lingua sarebbe dovuta diventare quello che oggi è l’inglese. Non è successo. Nonostante questo l’esperanto resta la lingua artificiale più diffusa al mondo: si stima che la conoscano tra 200mila e 2 milioni di persone e la sezione di Wikipedia in esperanto comprende 186mila voci, più di quelle della lingua ebraica o della lingua hindi. Seppur con risultati peggiori rispetto a quelli sperati più di cento anni fa, l’esperanto è ancora una lingua viva: scritta, parlata e discussa.
Le regole dell’esperanto
Nel 1887 Zamenhof pubblicò Unua Libro (“primo libro”, in lingua esperanto) in cui spiegò i principi della lingua che sarebbe poi diventata l’esperanto, alcuni suoi vocaboli e alcuni esempi di testi in esperanto, per esempio alcuni versi della Bibbia. Le regole dell’esperanto furono perfezionate nel 1905 quando – poco prima del primo congresso mondiale di esperanto – Zamenhof pubblicò Fundamento de Esperanto, un libro diviso in quattro parti: una prefazione (Antaŭparolo), una grammatica (Gramatiko), una collezione di esercizi (Ekzercaro) e un dizionario universale (Universala Vortaro).
L’Economist spiega che la principale qualità dell’esperanto è la sua semplicità: «Zamenhof l’ha concepita affinché si diffondesse. Le sue radici sono nelle principali lingue europee. La sua grammatica è sempre regolare [non ci sono eccezioni]: i nomi finiscono in -o, gli aggettivi in -a, gli avverbi in -e, i plurali con una -j». La maggior parte delle parole alla base della lingua esperanto derivano dal latino, altre da italiano, francese, tedesco, inglese, russo e polacco. Ci sono poi parole derivate dall’arabo, dal giapponese e da molte altre lingue. Alcune delle parole dell’esperanto sono invece idiomismi nativi, idiomi inventati dal nulla, da Zamenhof o, più avanti, dai membri della comunità esperantista: “marito”, per esempio, si dice “edzo”. L’esperanto si basa su 16 regole principali. La numero nove dice che “ogni parola si legge così come è scritta”: l’esperanto è infatti una lingua in cui ogni lettera corrisponde a un solo suono.
L’evoluzione dell’esperanto
L’esperanto non è riuscito a imporsi come avrebbe voluto il suo ideatore. La diffusione della lingua è stata resa difficoltosa anche dalle due guerre mondiali: una lingua internazionale e con ambizioni pacifiste andava infatti contro i nazionalismi che si affermarono nella prima metà del Novecento. Gli esperantisti furono perseguitati sia da Stalin che da Hitler, che parlò dell’esperanto nel suo Mein Kampf. Hitler riteneva che Zamenhof – che era ebreo – volesse fornire una lingua comune alla diaspora ebraica, mentre successivamente Stalin definì l’esperanto “la lingua delle spie”. Terminata la guerra mondiale, l’affermazione degli Stati Uniti e la crescita della lingua inglese frenarono molto i tentativi di sviluppo dell’esperanto.
Nel 1954 l’UNESCO – l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura – riconobbe ufficialmente i “risultati ottenuti per mezzo dell’esperanto nel campo degli scambi internazionali e dell’avvicinamento dei popoli”. L’UNESCO decise di collaborare con la UEA – l’Associazione Universale Esperanto – per promuovere la diffusione della lingua. Nel 1985 – due anni prima del centenario dell’esperanto – l’UNESCO invitò ufficialmente i suoi stati membri e altre associazioni non governative a celebrare e promuovere l’esperanto. In anni più recenti ci sono state anche alcune proposte per utilizzare l’esperanto come lingua franca dell’Unione Europea, per esempio durante i lavori del suo parlamento: le proposte sono sempre state rifiutate.
Negli anni Sessanta l’esperanto fu anche scelto come lingua ufficiale della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose, che l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa fondò nel mare di fronte all’Emilia-Romagna: l’isola – come prevedibile – non fu riconosciuta dallo stato italiano e l’avventurosa iniziativa di Rosa terminò dopo poco tempo. Alle vicende dell’isola che scelse l’esperanto come sua lingua ufficiale si è ispirato Walter Veltroni per scrivere, nel 2012, L’isola e le rose, edito da Rizzoli.
L’esperanto oggi
È difficile quantificare il numero di esperantisti ed è difficile avere informazioni precise sul livello di conoscenza della lingua da parte delle persone che dicono di conoscerla. Soprattutto grazie a internet l’esperanto è però riuscito a sopravvivere. Oltre alle numerose pagine Wikipedia (la prima esiste dal 2001) c’è anche un sito – Pasporta Servo – che offre agli esperantisti un servizio gratuito di couchsurfing: gli utenti possono viaggiare in tutto il mondo richiedendo ad altre persone che parlano l’esperanto di ospitarli per alcuni giorni. Il sito è gestito da TEJO, l’associazione mondiale che riunisce i giovani esperantisti. Tra le lingue che Google Translate permette di tradurre c’è l’esperanto; Duolingo – una delle più famose app per imparare le lingue – offre corsi sull’esperanto.
La definizione di “esperanto” su Wikipedia, in esperanto.
Oltre alle persone che scoprono e decidono di imparare l’esperanto grazie a internet, ci sono nel mondo circa mille persone che possono definirsi esperantisti madrelingua: sono quelle persone che hanno imparato la lingua da piccoli, sentendola parlare dai loro genitori, e non studiandola una volta cresciute. Uno di loro è Linken Kay, un ragazzo di 10 anni che vive a Tucson, in Arizona: suo padre, Greg Kay, racconta di aver imparato l’esperanto molti anni fa, mentre studiava in Giappone, uno dei paesi in cui la lingua è più diffusa. È un madrelingua esperantista anche George Soros, ricchissimo imprenditore ed economista ungherese. The Verge scrive però che Soros non ha fatto molto per promuovere l’esperanto nel mondo: si è limitato a far tradurre in inglese le memorie di suo padre, scritte in esperanto.
Dal 1929 all’esperanto è dedicato anche un museo: si trova a Vienna e raccoglie 35mila volumi e molte altre migliaia di oggetti, lettere e fotografie che documentano la storia dell’esperanto. Non tutti i documenti del museo sono però in esperanto: il museo celebra e racconta anche la storia di altre lingue artificiali che, come l’esperanto, sono state “pianificate” e inventate da zero, e non attraverso un’evoluzione nel tempo. Una delle più famose è la lingua Klingon, la lingua parlata da una delle razze aliene della serie televisiva Star Trek. La lingua è stata codificata nel 1984 da Marc Okrand ed è stata imparata, scritta e parlata dai più accaniti fan di Star Trek: la lingua klingon è per esempio spesso citata – e parlata – da Sheldon Cooper, il protagonista della serie televisiva Big Bang Theory. Altre lingue artificiali nate da opere di fiction sono quelle parlate nella saga Il Signore degli anelli, scritta da J.R.R. Tolkien, che è anche stato uno dei più famosi studenti e ammiratori dell’esperanto.
Se si pensa alle ambizioni iniziali dopo centotrent’anni l’esperanto si è rivelato un fallimento, scrive il New Yorker. È però anche vero che al mondo esistono seimila lingue non artificiali che sono parlate da meno persone rispetto all’esperanto. L’esperanto riuscirà a sopravvivere e lo farà grazie a internet, ad alcuni madrelingua, ai molti appassionati e, secondo l’Economist, grazie agli “ideali di armonia internazionale che promuove”.