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  • Mercoledì 15 luglio 2015

I dati ISTAT sulla povertà in Italia nel 2014

E cosa vuol dire, da un punto di vista economico e statistico, povertà assoluta e relativa

(AP Photo/Emilio Morenatti)
(AP Photo/Emilio Morenatti)

Mercoledì 15 luglio l’ISTAT ha pubblicato un rapporto sulla povertà in Italia relativa al 2014. Dai dati risulta che il 5,7 per cento delle famiglie residenti in Italia si trova in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone: il 6,8 per cento della popolazione residente. Dopo due anni di aumento, l’incidenza della povertà assoluta si è mantenuta sostanzialmente stabile rispetto al 2013. Anche la povertà relativa risulta stabile e coinvolge, nel 2014, il 10,3 per cento delle famiglie e il 12,9 per cento delle persone residenti, per un totale di 7 milioni e 815 mila persone. Le persone più povere sono donne, minori, anziani e residenti al sud.

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Cosa significano povertà assoluta e povertà relativa
Le stime diffuse dall’ISTAT provengono dall’Indagine sulle spese delle famiglie, che ha l’obiettivo di rilevare «la struttura e il livello della spesa per consumi secondo le principali caratteristiche sociali, economiche e territoriali delle famiglie residenti». In pratica vengono rilevate tutte le spese sostenute dalle famiglie residenti per acquistare beni e servizi destinati al consumo familiare: generi alimentari, utenze, arredamenti, elettrodomestici, abbigliamento e calzature, medicinali e altri servizi sanitari, trasporti, comunicazioni, spettacoli, istruzione, vacanze, e così via. Ogni altra spesa effettuata per scopo diverso dal consumo è invece esclusa dalla rilevazione (per esempio le spese legate al lavoro).

La povertà assoluta classifica quindi le famiglie in base all’incapacità di acquisire determinati beni e servizi che vengono considerati essenziali per vivere in modo minimamente accettabile. Viene misurata in base alla valutazione monetaria di quei beni e servizi che vengono considerati essenziali. L’ipotesi di partenza è che i bisogni primari e i beni e i servizi che hanno a che fare con i bisogni primari siano omogenei su tutto il territorio nazionale, tenendo però conto del fatto che i costi sono variabili tra le varie zone del paese. L’unità di riferimento è la famiglia, considerata in base alle caratteristiche dei singoli componenti. I bisogni primari sono divisi in tre aree: alimentare, abitazione, residuale. Hanno cioè a che fare con un’alimentazione adeguata, un’abitazione che deve corrispondere alla dimensione della famiglia, che deve essere riscaldata e fornita dei principali servizi, e una serie di altri parametri che hanno a che fare con il minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute.

Il valore monetario dell’insieme dei bisogni primari corrisponde alla soglia di povertà assoluta: la spesa minima necessaria per acquisire i beni e i servizi essenziali. La soglia di povertà assoluta varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza.

La misura di povertà relativa dà invece una valutazione «della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio (peggiore) rispetto alle altre. Viene definita povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa media per consumi pro-capite». La soglia di povertà, per una famiglia di due componenti, è pari alla spesa media per persona nel paese e si ottiene dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero totale dei componenti. Nel 2014 questa spesa è risultata pari a 1.041,91 euro mensili. Per le famiglie formate da più di due persone viene utilizzata una scala di equivalenza.

Per entrambe le misure di povertà (assoluta e relativa), si ipotizza che le risorse familiari vengano condivise in modo equo tra tutti i componenti: «Di conseguenza gli individui appartenenti a una famiglia povera sono tutti ugualmente poveri».

Povertà assoluta
Nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente). Tra loro: 1 milione 866 mila risiedono nel Mezzogiorno (il 9 per cento), 2 milioni 44 mila sono donne (6,6 per cento), 1 milione 45 mila sono minori (10 per cento), 857 mila hanno un’età compresa tra 18 e 34 anni (8,1 per cento) e 590 mila sono anziani (4,5 per cento).

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Dopo due anni di aumento, l’incidenza è sostanzialmente stabile, anche sul territorio: 4,2 per cento al nord, 4,8 per cento al centro e 8,6 per cento al sud.

Migliora la situazione delle coppie con figli (tra quelle che ne hanno due l’incidenza di povertà assoluta è passata dall’8,6 al 5,9 per cento), e delle famiglie con a capo una persona tra i 45 e i 54 anni (dal 7,4 al 6 per cento); la povertà assoluta è diminuita anche tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (dal 23,7 al 16,2 per cento), e questo perché sempre più spesso, rispetto al 2013, queste famiglie hanno al proprio interno occupati o ritirati dal lavoro.

Nonostante il calo (dal 12,1 al 9,2 per cento), la povertà assoluta rimane quasi doppia nei piccoli comuni del sud rispetto a quella rilevata nelle aree metropolitane sempre del sud (5,8 per cento). Al nord, invece, si è verificato un movimento contrario: la povertà assoluta è più elevata nelle aree metropolitane (7,4 per cento) rispetto ai comuni (3,2 per cento tra i grandi, 3,9 per cento tra i piccoli).

Tra le famiglie con stranieri la povertà assoluta è più diffusa che nelle famiglie composte solamente da italiani: 4,3 per cento nelle famiglie composta da italiani, 12,9 per cento per le famiglie miste, 23,4 per cento per quelle composte da soli stranieri. Al nord e al centro la povertà tra le famiglie di stranieri è più di sei volte superiore a quella delle famiglie di soli italiani, al sud è di circa il triplo.

L’incidenza di povertà assoluta scende all’aumentare del titolo di studio: se la persona di riferimento è almeno diplomata, l’incidenza (3,2 per cento) è quasi un terzo di quella rilevata per chi ha la licenza elementare (8,4 per cento). Infine: la povertà assoluta riguarda in misura marginale le famiglie con a capo imprenditori, liberi professionisti o dirigenti (l’incidenza è inferiore al 2 per cento), è al di sotto della media tra le famiglie di ritirati dal lavoro (4,4 per cento), sale al 9,7 per cento tra le famiglie di operai e raggiunge il valore massimo tra quelle con la persona di riferimento in cerca di occupazione (16,2 per cento).

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Povertà relativa
Come quella assoluta, la povertà relativa risulta stabile e riguarda, nel 2014, il 10,3% delle famiglie e il 12,9% delle persone residenti, per un totale di 2 milioni 654 mila famiglie e di 7 milioni 815 mila persone. Tra loro: 3 milioni 879 mila sono donne (l’incidenza è del 12,5 per cento), 1 milione e 986 mila sono minori (19 per cento) e 1 milione 281 mila sono anziani (9,8 per cento).

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Il Trentino Alto Adige (3,8 per cento), la Lombardia (4 per cento) e l’EmiliaRomagna (4,2 per cento) presentano i valori più bassi dell’incidenza di povertà relativa. A eccezione dell’Abruzzo (12,7 per cento), dove il valore dell’incidenza non è statisticamente diverso dalla media nazionale, in tutte le regioni del sud la povertà è più diffusa rispetto al resto del paese. Le situazioni più gravi sono in Calabria (26,9 per cento), Basilicata (25,5 per cento) e Sicilia (25,2 per cento).

La diffusione della povertà relativa tra le famiglie con a capo un operaio o simili (15,5 per cento) è decisamente superiore a quella osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi (8,1 per cento), in particolare di imprenditori e liberi professionisti (3,7 per cento). I valori più elevati si trovano tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione (23,9 per cento).

Tra le famiglie con stranieri l’incidenza di povertà relativa è decisamente più elevata rispetto a quella delle famiglie composte da soli italiani: dall’8,9 per cento di queste ultime si passa al 19,1 per cento tra le miste e si arriva al 28,6 per cento tra le famiglie composte da soli stranieri. Le differenze tra italiani e stranieri sono molto più marcate nel Centro-Nord, anche se i livelli di povertà sono comunque più contenuti rispetto al Sud.

I quasi poveri
La classificazione delle famiglie in povere e non povere, ottenuta attraverso la soglia, è stata articolata utilizzando soglie aggiuntive. Risulta che il 5,6 per cento delle famiglie residenti in Italia è “appena” povero (cioè ha una spesa inferiore alla soglia di non oltre il 20 per cento). È “quasi povero” il 6,8 per cento delle famiglie (cioè ha una spesa superiore alla soglia di non oltre il 20 per cento) e il 3,3 per cento ha valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10 per cento. Le famiglie “sicuramente” non povere, infine, sono l’82,9 per cento del totale, con valori pari al 90,7 per cento del Nord, all’88,2 per cento del Centro e al 67,6 per cento del Mezzogiorno.