Fedez che ci è e ci fa

Antonio Dipollina lo ha intervistato su Repubblica, un po' fidandosi e un po' no

(ANSA/ VINCENZO PAGLIARULO)
(ANSA/ VINCENZO PAGLIARULO)

Su Repubblica di domenica c’è una lunga intervista di Antonio Dipollina a Fedez, il cantante rap di Milano famoso anche per essere un giudice del programma televisivo X-Factor. Dipollina e Fedez parlano di diverse questioni: i testi delle canzoni di Fedez, i suoi problemi con stampa e giornalisti, le liti con i politici su Twitter, quelle nelle discoteche che finiscono sempre su tutti i giornali – «Un incubo, io che tiro la bottiglia contro un vetro? Non c’è nemmeno il vetro in quel locale» –  ma anche la musica che ascolta Fedez – «il punk italiano, gli Statuto, gli Skiantos» – e le sue opinioni sul Movimento 5 Stelle: «in quel gruppo c’è il meglio della politica italiana». La cosa che emerge parlando di questi argomenti è quanto siano ormai centrali e definenti della figura di Fedez e di come sia impossibile dividere le due cose – Fedez e il gran casino che gli gira intorno – e pensare che tra le due non ci sia nessuna relazione di causalità: Fedez dice di no, Dipollina non ci crede fino in fondo.

Un giorno, forse, se ne potrà discutere bevendo cose e dicendo «Ti ricordi Voglio averti account”? E perché, quella che faceva “Un italiano su tre vive a casa coi genitori, peccato che gli altri due sono i genitori”? E allora la cosa del fidanzato di Trenitalia che compra i test di gravidanza per ogni suo ritardo? Beh sì, quella è terribile — peraltro lui per puro gusto oltranzista la rivendica come la sua preferita: ma in un solo disco (Pop-Hoolista , già il titolo, svariati dischi di platino) lui ha infilato almeno duecento, effettivi, mica per dire un numero alto, giochi di parole, calembours, gag demenziali da tramortirti e li ha cantati tutti, ed è ovvio che su duecento dieci sono terribili e poi via via a salire, fino a quelli che hai ascoltato per la prima volta quarant’anni fa (segno orribile di età avanzata: rimproverare a un giovane un gioco di parole che tu hai sentito negli anni Settanta, che colpa ne ha lui?). E infine, nella quantità, sparlando nel mucchio, anche una decina niente male e soprattutto la voglia di farli, i giochi di parole in canzoni che poi la tua gente canta a memoria ai concerti. Che c’è di male, un giorno ne parleremo sereni bevendo cose, forse, un giorno.

Oggi no, oggi Fedez e l’odore di polvere da sparo non possono andare ognuno per i fatti loro. Primo, non lo vuole lui. Secondo, ormai è in un loop da cui non si esce, e se provi a uscirne arrivano nell’ordine Gasparri, Salvini, Libero, il Giornale e anche gente più raccomandabile a ricacciarlo dentro, lui, nel loop. Attenti al loop. E lui non ci sta attento nemmeno un po’. Va e si butta, risponde con la stessa pervicacia con cui conia la rima collagene/voragine («I testi sono tutti miei, l’ho fatto solo in questo disco di giocare a mille con le parole, è stato divertente»).

Fedez, ovvero Federico Lucia (bella combinazione manzoniana, volendo), 25 anni da Buccinasco, periferia Milano, o lo ami o lo detesti. Balle. Qui si aspetta sempre il giorno in cui si potrà ricordare e riparlarne con serenità. O qualcosa del genere. Ma intanto, fuoco alle polveri. «Guardate che siete voi, i giornalisti, a non essere più abituati. Come a cosa? Agli artisti che le cantano chiare, che si schierano e che attaccano pure voi. Ha presente Guccini?».

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