Le proposte di riforma delle pensioni di Tito Boeri

Il nuovo presidente dell'INPS ne ha presentato cinque: non «per esigenze di cassa» ma «per una maggiore equità» del sistema

(GIOVANNI FRANCO/ANSA)
(GIOVANNI FRANCO/ANSA)

Mercoledì 8 luglio il presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha presentato alla Camera la relazione annuale sullo stato delle pensioni nel 2014 alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Durante la sua relazione – che si può leggere per intero qui – Boeri ha fatto cinque proposte di riforma che, ha spiegato, «possono permetterci di non dover più intervenire in futuro, dando finalmente stabilità normativa, sicurezze ai contribuenti e ai pensionati». Boeri ha definito i suoi «aggiustamenti» una «bozza di riforma» che l’INPS ha sottoposto al governo. Ha inoltre spiegato che non sono proposte formulate «per esigenza di cassa» ma «per una maggiore equità» del sistema.

1. Verso l’introduzione di un reddito minimo garantito per proteggere chi ha più di 55 anni
Boeri ha spiegato che «al di sopra dei 55 anni è molto difficile trovare un impiego alternativo (solo un disoccupato su dieci ci riesce secondo le nostre stime)» e che proprio a causa «della lunghissima durata della disoccupazione fra gli over 55, la povertà in questa fascia di età è aumentata così tanto durante la recessione. Le persone povere disoccupate con più di 55 anni sono più che triplicate nell’arco di sei anni». Boeri propone di separare assistenza e previdenza nei conti previdenziali. L’INPS gestisce infatti quasi completamente il sistema previdenziale, le prestazioni di sostegno al reddito e diverse prestazioni a carattere assistenziale, mentre in altri paesi europei queste funzioni sono suddivise tra vari istituti.

Secondo Boeri, «l’assistenza deve essere finanziata dalla fiscalità generale mentre la previdenza è una prestazione assicurativa, che prevede trasferimenti tra generazioni diverse, e che garantisce diritti proporzionati ai contributi versati durante l’intero arco della vita lavorativa». Inoltre, ha spiegato il presidente dell’INPS, «si potrà superare un vizio d’origine del sistema contributivo introdotto nel nostro ordinamento a partire dalla seconda metà degli anni ’90: quello di non prevedere prestazioni minime per chi non ha altri redditi e ha accumulato un montante contributivo troppo basso per garantirsi una pensione al di sopra della soglia di povertà».

2. Unificazione
Boeri ha proposto di «unificare la pensione tra regimi diversi, compresa la cosiddetta gestione separata, senza oneri aggiuntivi». Questo porterebbe a una maggiore semplificazione del sistema e eviterebbe le cosiddette “ricongiunzioni onerose” che hanno penalizzato soprattutto i lavoratori e le lavoratrici più mobili. Le ricongiunzioni onerose riguardano infatti coloro che hanno cambiato lavoro e anche ente di previdenza versando i contributi a soggetti diversi: il ricongiungimento con INPS non è automatico e ha un costo.

3. Armonizzazione
Il terzo punto riguarda le «forti asimmetrie» nei trattamenti previdenziali di diverse categorie di pensionati. Queste differenze non si basano su quanto ciascuno ha versato ma sui tassi di rendimento garantiti ai contributi versati da certe categorie specifiche di lavoratori. Boeri ha parlato esplicitamente di «trattamenti di favore» che hanno «gravato pesantemente sul bilancio» dell’INPS.

Boeri ha citato a questo proposito i vitalizi dei parlamentari, che devono essere «chiamati con il proprio vero nome», cioè «pensioni». Come tali devono essere resi trasparenti nelle proprie regole di concessione. E questo «servirà a valutare i tassi di rendimento implicitamente offerti a deputati e senatori, comparandoli col trattamento riservato agli altri lavoratori» e a «cementare il patto transgenerazionale» con una prova di trasparenza. Boeri ha anche parlato della possibilità «di un contributo di solidarietà sulle pensioni più ricche, per finanziare la flessibilità» (vedi punto 4).

4. Flessibilità sostenibile
Il presidente dell’INPS ha parlato della possibilità di lasciare il lavoro in anticipo di qualche anno spalmando su più anni il montante dei contributi, in modo da non peggiorare il “debito” previdenziale. Chi va in pensione prima dovrebbe diluire la cifra che ha accumulato in contributi su molte più mensilità di chi va in pensione dopo, a condizione che si rispettino gli standard di una vita dignitosa. Spiega il Sole 24 Ore: «In altre parole, chi vuole dedicare meno tempo al proprio lavoro negli ultimi anni di carriera può farlo senza contraccolpi sul destino previdenziale (e non solo) della forza lavoro di età più giovane».

Per Boeri, inoltre, «questa flessibilità può essere molto utile in fase di recessione perché permette che parte dell’aggiustamento del mercato del lavoro agli shock macroeconomici avvenga attraverso riduzione dell’offerta di lavoro anziché generando disoccupazione, come avvenuto negli ultimi sette anni».

5. Non si va in pensione, ma si prende la pensione
La premessa di Boeri è che «il rapporto fra contribuenti e pensionati – che nel 2014 era meno di 130 iscritti su 100 pensioni in pagamento – è destinato ulteriormente a peggiorare» e che di questa «necessità vada fatta virtù». L’ultimo punto riguarda dunque la possibilità di versare contributi aggiuntivi in base al principio che “non si va in pensione ma la pensione si prende”, permettendo anche ai pensionati di contribuire al finanziamento della previdenza di chi non si è del tutto ritirato dalla vita attiva. In particolare, Boeri parla di «offrire nuove opportunità di versare e farsi versare contributi, che poi diventeranno un supplemento alla pensione, per chi sta già percependo un trattamento previdenziale», con ulteriori «contributi aggiuntivi da parte dell’azienda ai propri lavoratori».