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  • Martedì 9 giugno 2015

Perché l’Oman è unico

L'Economist lo definisce un "paese a parte" nella penisola araba: ma le cose potrebbero complicarsi perché il sultano che governa da quarant'anni è malato

Muscat, Oman (AP Photo/ Sebastian Abbot)
Muscat, Oman (AP Photo/ Sebastian Abbot)

L’Oman è un sultanato di circa tre milioni di abitanti che si trova nella parte sudorientale della penisola araba; confina con gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita e lo Yemen e si affaccia sul mar Arabico e sul Golfo Persico. Il governo è retto dal Sultano, che ha 74 anni, detiene il potere assoluto dal 1970 e non permette l’esistenza di partiti politici. Pur trovandosi in una posizione piuttosto complicata, perché circondato da paesi in guerra o in guerra tra loro per difendere i reciproci interessi, l’Oman ha mantenuto una posizione particolare: la sua linea di politica estera è il non-intervento e quindi si aspetta che le proprie sovranità e indipendenza vengano rispettate.

Per descrivere la situazione in politica estera dell’Oman l’Economist ha citato il suo rapporto con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), di cui è membro insieme a altri cinque stati della zona del golfo Persico. L’Oman ha sempre fatto resistenza affinché l’organizzazione diventasse un’unione politica e economica temendo un dominio dei sauditi: ha scelto di non partecipare alle azioni militari comuni per fermare le proteste in Bahrain nel 2011, per esempio, né di prendere parte agli attacchi aerei in Siria o Yemen contro lo Stato Islamico.

Tuttavia, mantenere questa posizione di neutralità non è semplice. L’economia dell’Oman si basa infatti per circa l’80 per cento sull’estrazione e il commercio di petrolio. Nella recente crisi dei prezzi del petrolio, l’Oman si è distinto per aver criticato i sauditi e i loro alleati del Golfo per aver deciso di sostenere costi di estrazione molto bassi e per non aver voluto sacrificare la loro quota di mercato per ristabilire il livello dei prezzi. Dopo la cosiddetta “Primavera araba”, nel 2013, l’Oman ha inoltre appoggiato il Consiglio di Cooperazione del Golfo creando circa 50 mila nuovi posti di lavoro, aumentando i salari e dando l’equivalente di 386 dollari al mese ai cittadini in cerca di un impiego.

Più di recente l’Oman ha rafforzato inoltre la sua amicizia con l’Iran, paese con il quale il sultano Qaboos aveva già avuto dei rapporti per fermare una ribellione nella provincia di Dhofar a metà degli anni Settanta. Ora l’Oman ha dimostrato l’intenzione di fare affidamento sul gas iraniano, via via che le riserve del paese si stanno esaurendo: anche per questo ha cercato di mediare gli incontri sul nucleare tra i funzionari del governo di Teheran e i rappresentanti dei paesi del cosiddetto gruppo “5+1″, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania. Non solo: il sultano ha sostenuto l’accordo di pace tra Egitto e Israele alla fine degli anni Settanta, nonostante le obiezioni degli altri paesi arabi e attualmente sta lavorando per la fine dei conflitti nello Yemen con cui l’Oman condivide un confine lungo e ben sorvegliato.

Finora la posizione di equilibrata neutralità dell’Oman gli ha garantito un buon successo. L’Economist conclude però che la più grande minaccia per la stabilità del paese può derivare da problemi interni. A partire dallo scorso luglio il sultano Qaboos è stato curato in Germania per una “malattia” non meglio specificata sulla quale non sono state diffuse informazioni più precise. Ha governato per 45 anni, non ha eredi e detiene tutte le posizioni decisive del governo: è anche il principale responsabile della stabilità politica del paese degli ultimi decenni. Il prossimo sovrano potrebbe trovarsi di fronte a una situazione piuttosto complicata per guadagnarsi la legittimità del ruolo, e anche a richieste di riforma e innovazione che potrebbero provenire da parte della popolazione, formata da nuove generazioni: «La stabilità esterna potrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni del nuovo sultano».