Come sopravvivere a un’umiliazione pubblica

Una docente statunitense di legge ha mandato per sbaglio un link di un video porno ai suoi studenti, e ha raccontato quello che è successo dopo con una lettera pubblicata sul Washington Post

di Lisa T. McElroy – Washington Post

Lisa T. McElroy insegna alla Drexel University Thomas R. Kline School of Law, una nota università privata di Philadelphia, negli Stati Uniti. Due settimane fa è circolata la notizia che McElroy aveva inavvertitamente mandato ad alcuni suoi studenti una mail che conteneva un link a un video porno. Lei ne ha scritto sabato una riflessione sul Washington Post.

Tre settimane fa, quando ho fatto sedere le mie figlie adolescenti per dare loro una cattiva notizia, ho detto: «Ragazze, devo dirvi una cosa molto grave». Mia figlia più piccola è sbiancata, ha fatto un gran respiro e poi mi ha chiesto se fossi malata. E in quel momento ho dovuto mentire: non sull’essere malata (grazie al cielo sono sana come un pesce) ma sullo stare bene sì. Eppure, avrei preferito annunciare un’imminente mastectomia piuttosto che spiegare quello che avevo da dire. «Tesoro, non sono malata. No, quello che ho da dirvi non è neanche lontanamente così grave».

Era una risposta da madre che ha il compito di proteggere i propri figli. Volevo che mia figlia comprendesse – sapesse – che essere umiliate in pubblico non è paragonabile ad avere un cancro. Volevo pensasse che tutto si sarebbe sistemato. Ma solo quando mi sono messa a scrivere ho realizzato che era davvero così. La mia probabilità di guarigione era del cento per cento.

Quando il 3 aprile un sito internet ha diffuso la notizia che al posto di mandare il link a un articolo sulla scrittura di documenti legali avevo inviato ai miei studenti il link a un video porno, pensavo di non potermi riprendere mai più (e se sperate di trovare in questo articolo la storia di come sia successo, beh, sarete delusi).
Stavo male ancora prima che la notizia circolasse: quando ho scoperto cosa avevo fatto, mi sono sentita mortificata. Da professoressa di legge tengo molto ai miei studenti e alla loro esperienza didattica. Come dipendente della mia università, ho a cuore il suo prestigio. Come madre, voglio essere un modello per le mie figlie adolescenti. Ed egoisticamente, tengo alla mia dignità.

Quando ho scoperto quello che era accaduto, ero sicura di aver perso la mia dignità per sempre. Tutti stavano parlando di me. Tutti si stavano chiedendo se guardassi dei porno, se usassi dei sex toys, o se mi piacesse il sesso “strano”. Altre persone mi chiedevano di lasciare il lavoro e la licenza da avvocato. Alcuni si sono semplicemente sentiti superiori: hanno tratto piacere dallo scandalo, dall’implicazione sessuale, dalla speculazione. La schadenfreude, il piacere provocato dalle disgrazie che capitano ad altri, è stato inevitabile, così come il gossip.

Alcuni hanno criticato la conclusione raggiunta dall’università per cui lavoro su quello che mi era successo: dopo una breve indagine interna, l’università ha appurato che non ho violato alcuna regola interna né commesso alcun reato. Eppure nessuno ha messo in discussione la dignità di quelli che hanno fatto circolare la mia mail. Nessuno ha chiesto perché, se era così offensiva, gli studenti abbiano comunque aperto il link e guardato il video quanto basta per sapere esattamente cosa conteneva.

Nessuno ha messo in discussione la dignità dei cosiddetti giornalisti che hanno scritto sulla vicenda articoli salaci, hanno mandato in onda dei servizi, hanno aspettato fuori dal mio ufficio per fare domande ai miei studenti, fatto chiamate sul mio cellulare privato. E nessuno ha messo in discussione la dignità della sopracitata gente che ha ripreso e discusso la storia. I tabloid l’hanno pubblicata perché sapevano che avrebbero ottenuto visite sul loro sito. Come facevano a saperlo? Perché conoscono i loro lettori, e sanno che una storia di scandalo, sesso e umiliazione è irresistibile per chi apprezza il genere.

Ma in questa storia la vera notizia è che non c’è alcuna notizia. Vista dall’esterno è una storia piuttosto sciocca. I miei studenti sono persone adulte. Il link è stato rimosso. Il video stesso non violava la legge. Negli stessi giorni, un film come “50 sfumature di grigio” incassava 570 milioni di dollari in tutto il mondo. Eppure, siccome si trattava di un porno e siccome insegno legge, i siti di news hanno diffuso la storia in tutto il mondo. Sembra che dei privati cittadini non abbiano diritto a una cosa chiamata privacy. In ogni momento, sebbene magari non lo desiderino, possono diventare figure pubbliche, umiliati sui giornali per un fatto avvenuto per caso, e che non ha danneggiato nessuno eccetto chi l’ha compiuto.

Come professoressa di legge insegno che lo scopo di avere a che fare con le leggi è chiarirne lo scopo, trovarne il vero significato. Ora, mi chiedo come mi sia sfuggito il fatto che la definizione di “dignità” sia così poco condivisa. Chi è la persona che manca di dignità: la persona umiliata in pubblico o quella che cerca di umiliarla? Se una persona è descritta come poco rispettabile, vuol dire che lo è davvero? Chi ha il potere di deciderlo?

Ecco cosa ho imparato: perdere la dignità non è come perdere la verginità (sì, mi rendo conto del peso delle parole). Puoi tornare indietro e riprendertela. Puoi riabilitare la tua reputazione e la tua immagine pubblica. Puoi arrivare a capire che ci sono cose peggiori che una pubblica umiliazione: c’è il cancro, o la solitudine.

Ci vediamo in classe.

foto: pagina pubblica di McElroy sul sito della Drexel

©Washington Post