Il cancelliere che trafugò i documenti del “caso Boffo” è stato condannato

Un dipendente del tribunale di Santa Maria Capua Vetere prese illegalmente il certificato penale dell'allora direttore di "Avvenire"

©lapresse
archivio storico
varie
anni '90
Dino Boffo
nella foto: il giornalista e direttore di Avvenire Dino Boffo
©lapresse archivio storico varie anni '90 Dino Boffo nella foto: il giornalista e direttore di Avvenire Dino Boffo

Nell’estate del 2009 – il centrodestra era al governo, Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio – iniziarono a circolare racconti e testimonianze riguardo le frequentazioni dell’allora presidente del Consiglio con alcune prostitute, e Avvenire fu uno dei quotidiani che più criticò il suo stile di vita. Il direttore di Avvenire era allora Dino Boffo, che scrisse alcuni editoriali molto pesanti contro Berlusconi. Il 28 agosto del 2009 Vittorio Feltri sul Giornale accusò Boffo di essere “incoerente” pubblicando un documento – presentato come certo, poiché proveniva «dal casellario giudiziale» del tribunale di Terni – nel quale si diceva che Boffo era stato condannato nel 2004 a pagare 516 euro per la contravvenzione di «molestie alle persone» relativa ad alcune telefonate del 2001.

Da quel documento (vero) nacque un gran caso poiché, come scrive Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi, il Giornale costruì una serie di articoli pieni di falsità. Il 3 settembre del 2009 Boffo si dimise dalla direzione di Avvenire. Lunedì 13 aprile il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, al termine di un processo durato oltre due anni, ha condannato il cancelliere di quello stesso tribunale per «accesso abusivo a sistema informatico» in concorso con un mandante «allo stato ignoto». L’accusa, confermata dalla sentenza, è aver preso illegalmente dalla banca dati nazionale la copia del certificato penale di Boffo, poi stampato sul Giornale. Il cancelliere è stato condannato a due anni di carcere e a un risarcimento economico per danni in favore di Boffo.

A quasi 5 anni dal falso scoop dell’allora neodirettore de Il Giornale Vittorio Feltri contro il direttore di Avvenire Di Boffo, inviso al centrodestra per tre editoriali critici dei comportamenti del premier Berlusconi, ieri una inattesa sentenza di condanna di primo grado svela a sorpresa che il killeraggio giornalistico utilizzò in maniera avvelenata i frutti di una «talpa» giudiziaria in una Procura della Repubblica, quella di Santa Maria Capua Vetere. Dove ora si scopre che fu un cancelliere in servizio lì al Casellario Giudiziario – condannato appunto ieri a 2 anni dalla giudice Paola Lombardi per «accesso abusivo a sistema informatico» in concorso con un mandante «allo stato ignoto» – a estrarre illegalmente il 12 marzo 2009 dalla banca dati nazionale la copia del certificato penale di Boffo, poi stampato sul quotidiano il 28 agosto 2009 con qualche cancellatura, e attestante il decreto penale di condanna a Terni di Boffo nel 2004 a 516 euro di sanzione pecuniaria per la contravvenzione di «molestie alle persone» relativa ad alcune telefonate del 2001 (notizia che già Panorama aveva normalmente pubblicato).

Su questo documento, non ottenibile in quella modalità da alcun estraneo e nemmeno su richiesta di un ente pubblico o persino dell’interessato, a partire dal 28 agosto gli articoli de Il Giornale trapiantarono una clamorosamente falsa informativa di polizia ammiccante a inesistenti moventi sessuali. Quella che rendeva Feltri sicuro di possedere «documenti al sicuro nei nostri cassetti» e quindi «prove chiare e inequivocabili» che «Boffo è privo dei requisiti morali per fare il moralista», e «non lo affermiamo noi in base alle chiacchiere raccolte in portineria, ma il Tribunale di Terni. Ecco che cosa risulta dal casellario giudiziale (riportiamo letteralmente)»: invece, di letteralmente inventato nell’editoriale e nelle cronache c’erano tutte le falsità – inesistenti nel procedimento vero di Terni – sul giornalista «attenzionato dalla Polizia come noto omosessuale», su «telefonate sconce», su «intercettazioni telefoniche», su «pedinamenti volti a intimidire» una donna «onde lasciasse libero il marito».

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Foto: Dino Boffo (©lapresse)