• Sport
  • Sabato 11 aprile 2015

Il dittatore Louis van Gaal

La storia di uno degli allenatori di calcio più famosi, carismatici e vincenti del mondo, raccontata dalla rivista online Ultimo Uomo

AP Photo/Scott Heppell)
AP Photo/Scott Heppell)

C’è il cosiddetto “calcio totale”, quel modo di giocare diventato famoso grazie all’Olanda dei primi anni Settanta, quella di Johan Cruijff; e poi c’è il “calcio totalitario“, scrive la rivista online Ultimo Uomo, e anche in questo caso c’entra un olandese: Louis van Gaal, l’allenatore nato nel 1951 che nella sua carriera ha vinto sette campionati, una Coppa UEFA, una Champions League e una Coppa Intercontinentale. Il calcio di van Gaal – che, scrive Valentino Tola, “ha vinto tutto, e anche quando non vince va avanti a modo suo” – è un modo di concepire e gestire una squadra in cui, come diceva una scritta sulla porta dell’ufficio di van Gaal quando allenava l’Ajax, “la qualità è l’esclusione della coincidenza”.

L’articolo di Tola racconta scelte, aneddoti, tattiche, approcci, successi e insuccessi di uno degli allenatori più famosi, apprezzati e vincenti del mondo – che in carriera ha allenato Ajax, Barcellona, Bayern Monaco e, per due volte, la nazionale olandese – arrivando ad analizzare l’attuale stagione del Manchester United, la squadra che van Gaal allena dalla scorsa estate. Una stagione in cui, scrive Tola, “non si può dire che van Gaal abbia deluso le aspettative. Anzi, forse è andato persino oltre”.

Se il fascino del calcio in un certo senso risiede anche nell’assomigliare a una guerra giocata, in cui hai sempre la possibilità di rifarti e non ci sono vittime, il fascino delle squadre di van Gaal, per alcuni il loro aspetto inquietante, e in particolare il fascino del suo capolavoro, l’Ajax di metà anni ’90, risiede nell’illusione di controllo assoluto fornita nei suoi momenti migliori. Un meccanismo perfetto, dove tutto ciò che avveniva sul campo era previsto e puntualmente risolto. Anche qui, una versione giocosa del fascino che nella realtà possono esercitare quelle ideologie che pretendono di offrire una soluzione a qualsiasi problema. Insomma, più che Calcio Totale, Calcio Totalitario.

Volendo proseguire con quest’analogia maligna, il totalitarismo di van Gaal si manifesta anche nella sua storica predilezione per i giocatori giovani. In fondo, chi sono i giovani? Sono quelli che sanno meno, e che per questo possono essere meglio plasmati. Nei regimi totalitari i primi ad essere fatti fuori sono proprio quelli che sanno troppo. E van Gaal in tutta la carriera ha sempre avuto la predisposizione a sbarazzarsi dei giocatori che, vuoi per una questione di motivazioni, vuoi per aver consolidato una propria identità ormai refrattaria a modifiche radicali, non sono disposti a seguirlo con l’entusiasmo e la fiducia cieca tipica del giovane alle prime armi. Se vogliamo, una delle cause della mancata qualificazione dell’Olanda al Mondiale 2002 (il più clamoroso fallimento di tutta la carriera di van Gaal), fu proprio questa: quegli stessi giocatori che una decina di anni prima, appena promossi dal vivaio dell’Ajax, erano “pagine bianche su cui scrivere le più belle poesie” (citando un altro cinese, meno bravo di van Gaal come tecnico ma più abile come dittatore), ora semplicemente sapevano troppo, e van Gaal, poco propenso di suo all’autocritica, si è lamentato a posteriori di non aver trovato la stessa disponibilità e motivazione degli inizi nei vari Davids, Seedorf, de Boer etc…

Prima di approfondire ulteriormente quest’analogia fino a sprofondare nel ridicolo, dobbiamo dire, però, che la vocazione di educatore in van Gaal è assolutamente sincera. Gli effetti di questa sua vocazione sono innegabili: ha lanciato e formato giocatori fondamentali del più grande Barcellona della storia: Xavi, Iniesta, Valdés e Puyol, quest’ultimo “salvato” all’ultimo da una cessione in prestito al Málaga; anche la Germania campione del mondo gli deve qualcosa: il lancio di Thomas Müller, il cambio di ruolo che ha consacrato Schweinsteiger, ad esempio. Oltre a questo van Gaal, che in passato ha effettivamente alternato il lavoro di insegnante di educazione fisica a quello di calciatore, ha sempre manifestato intenzioni coerenti con questa vocazione.

(Continua a leggere su Ultimo Uomo)