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  • Mercoledì 25 marzo 2015

La biografia di una statua

Le vicende che portarono alla costruzione del monumento a Giordano Bruno a Campo dei Fiori, nel nuovo libro di Massimo Bucciantini

Einaudi ha pubblicato il libro Campo dei Fiori. Storia di un monumento maledetto, di Massimo Bucciantini. Il libro racconta gli avvenimenti, durati tredici anni, che hanno portato ad erigere il monumento a Giordano Bruno a Roma, in Campo dei Fiori, ed è una ricostruzione dettagliata degli aspri conflitti fra i favorevoli e i contrari alla sua costruzione, e delle trattative e alleanze che i due schieramenti misero in campo per arrivare al successo.

La coalizione laica e radicale dei sostenitori dell’iniziativa, nata per la spinta iniziale di un comitato studentesco costituitosi nel 1876, comprendeva anche la massoneria e ebbe l’appoggio decisivo del governo Crispi: si opponeva alla resistenza della Chiesa e dei suoi alleati, che naturalmente non vedevano di buon occhio la costruzione della statua di un eretico così vicina al Vaticano. Ma questo episodio è anche un passo del processo di emancipazione dell’Italia dal suo passato, pochi anni dopo l’unificazione.

In questo estratto, il racconto della giornata decisiva: quella della manifestazione per l’inaugurazione della statua in ricordo di Giordano Bruno, nella stessa piazza in cui fu eseguita la sua condanna al rogo, il 9 giugno 1889.

***

In Campo dei Fiori le finestre chiuse in segno di protesta erano poche. L’osteria che si affacciava sulla piazza era aperta e così la friggitoria, con la loggia parata a festa, e la caffetteria. Dappertutto spuntavano bandiere e fasce tricolori. Come annotavano gli uomini di Rampolla, «dalla casa n. 34 al n. 50 bandiere e parate in tutte le finestre». «Palazzo Righetti, 2° piano, bandiere e finestre aperte con gente». «Al n° 11 sopra il caffè (1° piano) bandiere e parate alle finestre, tutte le altre finestre chiuse. Al n° 19, Proprietà Langeli, tutte le finestre chiuse».

Era una fotografia-schedatura della piazza, un controllo a tappeto, casa per casa, famiglia per famiglia: uno scrupolosissimo censimento delle coscienze per sapere chi stava con il papa e chi era schierato a favore dell’apostata. Ma non sempre questa mappatura andava interpretata in modo univoco. Infatti, e gli agenti pontifici lo mettevano in evidenza nei loro rapporti, «si sa che molti inquilini poveri di Campo dei Fiori furono invitati da persone alto-locate ad affittare le finestre delle loro case a prezzi altissimi, e infatti furono viste anche persone appartenenti alla Corte del Quirinale assistere alla cerimonia dalla finestra di povera abitazione».

La Segreteria di Stato non era l’unica a raccogliere informazioni sulle ‘vite degli altri’. Anche alcuni giornali radicali si comportarono allo stesso modo. Naturalmente, in questo caso, erano i proprietari che non partecipavano alla festa a essere segnalati ai lettori con un sottinteso senso di disprezzo. Così, sulle colonne della «Capitale» si leggeva che nelle strade adiacenti a Campo dei Fiori solo cinque case restarono chiuse: «Casa del farmacista Serafini; casa al numero 129 in via Baullari; la casa del canonico Pisani; la casa in via Baullari al numero 24; la casa dell’avvocato Picchiorri». Mentre «La Riforma» riportava la notizia che su 250 finestre affacciate sulla piazza una cinquantina erano rimaste chiuse, e tra queste «la casa di monsignor Folchi, quella del fornaio Lais e quella del notaio Ciccolini, che roga gli atti del Vaticano, fecero la piccola dimostrazione ostile».

Quando alle 11, con il sole che picchiava forte, i portabandiera e i rappresentanti delle associazioni fecero il loro ingresso nella piazza disponendosi a semicerchio attorno al monumento coperto da un lungo drappo bianco, gli invitati avevano già preso posto nelle tribune ornate di palmi e lauri. Oltre ai membri del Comitato, al sindaco Guiccioli e a numerosi assessori e consiglieri, erano presenti il rettore Valentino Cerruti e diversi professori della Sapienza, un folto gruppo di deputati capeggiati da Felice Cavallotti e Alfredo Baccarini, insieme al repubblicano e primo sindaco di Roma Luigi Pianciani, all’ex ministro dell’Istruzione pubblica Guido Baccelli, a Ricciotti Garibaldi e Baccio Emanuele Maineri, a Enrico Ferri e David Levi, mentre fra i senatori spiccavano i nomi di Pasquale Villari e del matematico Luigi Cremona, di Michele Amari, Gilberto Govi e Augusto Pierantoni. Naturalmente non poteva mancare Adriano Lemmi, con Jessie White Mario e il futuro sindaco di Roma e futuro Gran Maestro Ernesto Nathan.

Nessun esponente del governo era presente. A differenza di quanto aveva espressamente chiesto Cavallotti nel suo intervento alla Camera, Crispi e i suoi ministri non parteciparono. Ma questo non bastò a disinnescare la violenta polemica che Leone XIII e Rampolla mossero nei confronti di chi era ritenuto «l’autore principale dell’insulto che l’erezione di quel monumento è venuto a fare alla Religione Cattolica». Di colui, cioè, che nella seduta della Camera dei Deputati del 1° giugno aveva affermato che l’inaugurazione in Campo dei Fiori «può sembrare una risposta» ai Congressi cattolici che si organizzavano in diversi paesi europei (Spagna, Francia, Austria). Né si poteva dimenticare che l’attuale capo del governo era stato uno dei firmatari del manifesto del 1885 a favore del monumento. Del resto, nella sua risposta alla Camera Crispi non fece nulla per far passare sotto silenzio quanto il suo governo aveva fatto perché questa iniziativa si realizzasse: «Non solo [il mio governo] non vi si oppose, ma fece tutto quanto era in esso, perché l’iniziativa privata liberamente si svolgesse, e perché, anche in questo, la libertà dei cittadini fosse rispettata». Non sorprende dunque che l’attacco al massone Crispi, considerato il «regista» dell’oltraggiosa dimostrazione nel giorno di Pentecoste, fosse uno dei temi più ricorrenti nella pubblicistica cattolica:

Il governo per bocca del Presidente dei Ministri diceva alla Camera dei Deputati il 1° giugno, «l’inaugurazione di questo monumento può ritenersi come una risposta ai Congressi Cattolici»; il Ministro della Pubblica Istruzione elargiva prima mille lire per le spese del monumento e poi mandava cento esemplari delle opere latine del Bruno all’associazione Universitaria per premiare i giovani che si sono meglio adoperati a vincere le insorte difficoltà; oltre di che i giornali che sono accreditati come organi del signor Crispi, pochi giorni prima dell’erezione del monumento dicevano che questa sarebbe stata «una grande manifestazione anticlericale» («Capitan Fracassa» del 5 giugno).

Bastava aprire i giornali di area radicale e di sinistra per raccogliere prove di questo genere. Per capire che l’inaugurazione di una statua si era trasformata in una festa nazionale dai forti contorni anticlericali: «parve il funerale di un’epoca che si volle incarnata in un uomo solo», fu in estrema sintesi il giudizio che si leggeva sulle colonne della «Lombardia» – il giornale diretto da Alfredo Comandini – all’indomani di quel 9 giugno, quando il volto di Campo dei Fiori, nel momento culminante, si presentava così:

campo_dei_fiori

La piazza era addobbata con iscrizioni e cartelli in omaggio al martire italiano. Intorno erano stati posti dei pennoni, ognuno dei quali riportava in alto uno stemma con il nome di una città italiana, e subito sotto uno scudo dorato con il titolo di una delle opere di Bruno. Sui tetti e sulle terrazze un numero impressionante di persone si godeva lo spettacolo, con gli ombrelli aperti per ripararsi dal sole cocente. A uno dei lati della piazza, verso via dei Giubbonari, sventolava un enorme stendardo bianco dove, a lettere cubitali, erano riportate le parole con cui il 19 febbraio 1600, due giorni dopo il supplizio, si dette la notizia dello «scellerato frate domenicano da Nola»: «abbrugiato vivo».

«Quando tutte le rappresentanze furono giunte, si tolsero i drappi, si calarono le tende che coprivano il monumento e salutata da molte grida e applausi apparve la statua di bronzo dell’apostata di Nola rappresentato in abito di domenicano». Con queste parole prive di ogni enfasi, come si usa per gli eventi luttuosi, veniva descritto da parte vaticana il momento saliente dell’inaugurazione. Ben diverso, ovviamente, era il tono usato dai giornali radicali. Scriveva il «Messaggero»:

Lo spettacolo è superiore a qualsiasi speranza, a qualsiasi aspettativa, a qualsiasi immaginazione, è addirittura sublime. Sono tre minuti di entusiasmo, di frenesia in cui si compendiano tre secoli di lotte, di speranze, di martirii, di apostolati, di ribellioni. In quel grido potente si compendia il grido della coscienza umana che ha ottenuta la sua rivendicazione. Abbiamo veduti antichi, onorandi patrioti piangere di commozione, cittadini abbracciarsi in un entusiasmo fraterno.

Frasi retoriche che oggi fanno sorridere, lontani come siamo da quella temperie. Sintomi però non di una «gazzarra» – come semplicisticamente venne definita la manifestazione – ma di una battaglia combattuta da due Italie che sulla scuola, sulla famiglia, sulla religione, e più in generale sull’idea di umanità e di libertà, la pensavano in maniera molto diversa.

© 2015 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino