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  • Giovedì 19 marzo 2015

I numeri delle esecuzioni capitali negli Stati Uniti

Dal 1973 a oggi sono state condannate a morte più di 8000 persone, ma le esecuzioni sono state solo 1359: e non è una buona notizia, spiega il Washington Post

di Frank R. Baumgartner e Anna W. Dietrich - Washington Post

(Photo by Joe Raedle/Newsmakers)
(Photo by Joe Raedle/Newsmakers)

Quante sono negli Stati Uniti le probabilità di essere effettivamente uccisi dopo una condanna a morte? Analizzando i dati relativi a tutte le sentenze di condanna a morte emesse dal 1973 – l’inizio dell’era moderna per la pena capitale (dopo una sentenza della Corte Suprema che pose delle limitazioni, ndr) – a oggi, risulta che l’esito più probabile non è l’esecuzione della pena, e nemmeno una vita nel braccio della morte aspettando una sentenza d’appello. La cosa più probabile che può capitare è, al contrario, che la condanna a morte venga annullata.

Dal 1973 al 2013, 8.466 condanne a morte sono state decise dai tribunali statunitensi. Le persone che sono state uccise sono state però 1.359, il 16 per cento. Anche escludendo i condannati che nel 2013 si trovavano nel braccio della morte, solo il 24 per cento dei detenuti condannati a morte ha avuto eseguita la condanna. I condannati a morte hanno tre volte più possibilità di vedere la loro condanna rovesciata in appello e di subire una minore pena, rispetto alla possibilità di essere uccisi. Questi i dati:

– 8.466 sentenze capitali sono state emesse negli Stati Uniti dal 1973 al 2013.

– 3.194 sentenze sono state ribaltate in appello. Queste le motivazioni: in 523 casi la prima sentenza è stata dichiarata incostituzionale, in 890 casi la condanna è stata annullata, in 1.781 casi è stata annullata la condanna capitale, benché la colpevolezza sia stata mantenuta.

– 2.979 detenuti erano nel braccio della morte al 31 dicembre 2013

– 1.359 condannati sono stati uccisi

– 509 condannati sono morti per cause naturali o si sono suicidati nel braccio della morte

– 392 condannati hanno avuto la loro sentenza ridotta a un ergastolo

– 33 condannati a morte hanno avuto, per vari motivi, destini diversi da un’esecuzione capitale

L’uccisione è, quindi, la terza cosa più probabile che possa capitare a un condannato a morte. Ci sono molte più possibilità di vedere la propria sentenza annullata o modificata; ma anche di rimanere per decenni nel braccio della morte.

I numeri delle esecuzioni capitali negli Stati Uniti

L’esecuzione capitale non è mai stata la più probabile conseguenza di una condanna a morte. Negli anni Settanta molti condannati sono stati rimossi dal braccio della morte per l’incostituzionalità delle loro sentenze di condanna (sentenze emesse prima del 1973). Su 721 persone condannate a morte tra il 1973 e il 1976, solo 33 sono state uccise.

In assoluto, la più probabile conseguenza di una condanna a morte è il rovesciamento della sentenza oppure una situazione in cui il detenuto resterà in carcere con una diversa forma di condanna a morte: un ergastolo senza possibilità di libertà condizionata.

Ma perché il ribaltamento di una condanna a morte è la più probabile conseguenza di una condanna a morte? Perché i tribunali in cui si decidono le pene capitali hanno diverse peculiarità: ma una rilevante è che dopo ogni condanna a morte c’è un automatico ricorso alla corte d’appello statale. E, nel caso questa corte non ribalti la prima condanna, la sentenza viene esaminata da un giudice federale.

Le corti statali e quelle federali presso le quali si ricorre in appello non decidono di annullare condanne a morte con leggerezza, e i loro giudici non sono impulsivi oppositori della pena capitale: sono, anzi, parte di un sistema che condanna con regolarità. Ma sia i giudici di nomina Democratica che Repubblicana hanno spesso votato per annullare sentenze di condanna a morte perché ci sono state carenze, lacune e illeciti nei processi.

Tra gli stati americani ci sono grandi differenze nel reale utilizzo delle leggi che consentono la pena capitale, ma nella maggior parte dei casi, il trend esposto sopra è rispettato: ogni stato – tranne uno – condanna molti più detenuti di quanti non ne uccida. Il grafico qui sotto mostra le percentuali relative a ognuno dei 40 stati in cui esiste – o è esistita – la condanna a morte, dal 1977 al 2013. Tra gli stati c’è anche – seppur non sia uno stato – il governo federale, che ha in questi anni condannato 71 persone, applicando la sentenza solo in 3 casi.

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Facendo una media tra i 40 stati, c’è il 13 per cento di possibilità che una condanna a morte venga eseguita. Alcuni stati – Texas, Dakota del Sud, Missouri, Oklahoma – hanno percentuali più alte ma, comunque, in nessuno di loro il valore è sopra al 50 per cento.
Un solo stato, la Virginia, ha ucciso più della metà dei detenuti condannati. Texas, Florida e California hanno condannato più di mille persone dal 1973 al 2013, praticando l’esecuzione capitale in, rispettivamente, 508, 81 e 13 casi. Molti degli stati in cima alla lista invece non hanno ucciso nemmeno un condannato dal 1977 a oggi. Il New Jersey, ad esempio, ha condannato 52 persone, senza poi far seguire nessuna esecuzione capitale. La Pennyslvania e la California condannano a morte molte persone, ma sono poi molto poche quelle che vengono uccise.

A prescindere dalle singole opinioni sulla pena di morte, questi dati offrono molti spunti per discutere su come la pena di molte venga applicata nella pratica. Le grandi differenze da stato a stato nella probabilità di essere uccisi dopo una condanna fanno nascere domande su quello che dovrebbe essere la garanzia di una pari protezione (e di un’equità di giudizio). David Garland scrive in un suo libro che se non fosse stato appunto per il federalismo e per alcune forti reazione degli stati del Sud a una serie di decisioni della Corte Suprema, la pena di morte si sarebbe potuta eliminare negli anni ’70.

Un potenziale problema è anche il semplice fatto che la maggior parte delle sentenze non trovino la conseguente esecuzione. Un giudice federale ha recentemente scritto in una sentenza che in California la pena di morte è incostituzionale perché è, in realtà, una condanna a “una vita in prigione con una remota possibilità di morte”.
Il sistema americano per le condanne a morte produce, inoltre, una sofferenza non necessaria sia per i condannati che per i familiari delle vittime dei crimini per cui qualcuno è stato condannato. Un sistema che garantisce lunghi tempi processuali, appelli automatici – molti dei quali risultanti in un rovesciamento della  condanna – e solo una piccola parte di effettive esecuzioni è un sistema costruito su delle false promesse, e quindi un sistema che sembra sconfinare nella tortura.

@Washington Post 2015

Foto: (Photo by Joe Raedle/Newsmakers)