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  • Domenica 15 marzo 2015

I soldi della CIA finiti ad al Qaida, per sbaglio

Nel 2010 il governo afghano pagò un riscatto per la liberazione di un suo diplomatico finito nelle mani di al Qaida: un milione di dollari fu preso da un fondo segreto versato dalla CIA

FILE--Exiled Saudi dissident Osama bin Laden is shown in Afghanistan in this April 1998 file photo. Four followers of bin Laden were convicted Tuesday, May 29, 2001, in New York, of charges in the nearly simultaneous 1998 bombings of two U.S. embassies in Africa that killed 224 people and buried thousands of others under piles of tangled metal and concrete. (AP Photo/File)
FILE--Exiled Saudi dissident Osama bin Laden is shown in Afghanistan in this April 1998 file photo. Four followers of bin Laden were convicted Tuesday, May 29, 2001, in New York, of charges in the nearly simultaneous 1998 bombings of two U.S. embassies in Africa that killed 224 people and buried thousands of others under piles of tangled metal and concrete. (AP Photo/File)

Il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta in cui racconta come alcuni anni fa la CIA – l’agenzia di spionaggio per l’estero degli Stati Uniti – abbia involontariamente finanziato al Qaida e Osama bin Laden con un milione di dollari. La storia – emersa da alcuni documenti privati di bin Laden ritrovati nel 2011 nel rifugio di Abbottabad, in Pakistan, e confermata da diversi funzionari americani – è cominciata nel 2010, quando il governo dell’Afghanistan stava cercando di mettere insieme cinque milioni di dollari per pagare il riscatto di un suo diplomatico rapito due anni prima da un gruppo di ribelli pakistani, e poi consegnato ad al Qaida. Quattro dei cinque milioni richiesti furono raccolti dalle donazioni fatte da alcuni paesi alleati dell’Afghanistan, come Iran ed Emirati Arabi Uniti. Il milione che mancava fu prelevato dal fondo segreto che la CIA alimentava ogni mese portando borse piene di soldi – da 100 mila fino a un milione di dollari – direttamente al palazzo del presidente afghano Hamid Karzai, che ha terminato il suo ultimo mandato lo scorso anno.

Il governo non aveva legami diretti con al Qaida: i negoziati per la liberazione dell’ostaggio rimasero bloccati per diverso tempo, finché non si inserì nella trattativa la rete Haqqani, uno dei gruppi terroristici più pericolosi del Pakistan e vicino ad al Qaida. Il governo consegnò il denaro della CIA ai mediatori della rete Haqqani, che lo consegnarono a loro volta ad al Qaida. Nel giugno 2010 Atiyah Abd al-Rahman, uno dei miliziani di al Qaida incaricato delle trattative, scrisse a Osama bin Laden, l’allora capo dell’organizzazione: «Questo mese siamo stati benedetti da una buona quantità di soldi».

Bin Laden, racconta il New York Times, reagì in maniera molto sospettosa. Scrisse a Rahman di cambiare le banconote del riscatto per timore che fossero avvelenate con qualche sostanza o che fossero seguite per via aerea. Dalle lettere, ritrovate insieme agli altri documenti privati di bin Laden, si capisce che il denaro consegnato dal governo afghano per il riscatto fu destinato all’acquisto di armi e a fornire un sussidio alle famiglie dei combattenti che si trovavano nelle prigioni afghane e americane. Dalle lettere sono emerse anche altri particolari su come funzionavano le cose tra i vari gruppi che combattevano in Afghanistan. Per esempio, quando altri comandanti vennero a sapere del pagamento del riscatto, Rahman scrisse a bin Laden: «Come sai non si possono nascondere le notizie. Ci stanno chiedendo di dargli una parte del denaro, che Dio ci aiuti». Rahman fu ucciso l’anno dopo in un attacco dei droni della CIA.

Le lettere su cui si basa l’articolo del New York Times facevano parte del materiale utilizzato dal procuratore per chiedere la condanna di Abid Naseer, un pakistano membro di al Qaida condannato pochi giorni fa per la sua complicità nell’organizzazione di un attentato nel Regno Unito. Le informazioni sul contributo della CIA al riscatto pagato dal governo afghano sono invece emerse da alcune interviste a funzionari afghani e americani che hanno preferito rimanere anonimi. La CIA, che è stata contattata dal New York Times, ha preferito non commentare la vicenda. Il New York Times è stato piuttosto critico nel riassumere il caso e lo ha definito «soltanto un altro in una lunga lista di esempi di come gli Stati Uniti, principalmente a causa di mancanza di supervisione e scarsità di controllo, finiscono spesso con il finanziare gli stessi gruppi di militanti che vogliono combattere».