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  • Giovedì 5 marzo 2015

L’India ha vietato un documentario sullo stupro di Delhi

Il governo vuole impedire l'uscita di un documentario sul caso di cui si parlò in tutto il mondo nel 2012: sostiene che sia «una cospirazione internazionale per diffamare l'India»

Indian women participate in a candle light vigil at a bus stop where the victim of a deadly gang rape in a moving bus had boarded the bus two years ago, in New Delhi, India, Tuesday, Dec. 16, 2014. The case sparked public outrage and helped make women’s safety a common topic of conversation in a country where rape is often viewed as a woman’s personal shame to bear. (AP Photo/Tsering Topgyal)
Indian women participate in a candle light vigil at a bus stop where the victim of a deadly gang rape in a moving bus had boarded the bus two years ago, in New Delhi, India, Tuesday, Dec. 16, 2014. The case sparked public outrage and helped make women’s safety a common topic of conversation in a country where rape is often viewed as a woman’s personal shame to bear. (AP Photo/Tsering Topgyal)

Il governo indiano ha deciso di vietare la distribuzione del documentario della regista inglese Leslee Udwin India’s Daughter, che racconta il caso del brutale stupro e assassinio di Jyoti Singh, una studentessa di 23 anni, avvenuto a Delhi nel dicembre del 2012. E cercherà anche di fermare la diffusione del documentario nel mondo, come spiegato dal ministro degli Affari parlamentari Muppavarapu Venkaiah Naidu: «Noi possiamo vietare il film in India. Ma questa è una cospirazione internazionale per diffamare l’India: vedremo di trovare un modo per fermarne la diffusione anche all’estero».

Il 16 dicembre del 2012 una ragazza fu stuprata da quattro uomini su un autobus a Delhi e morì alcuni giorni dopo a causa delle ferite; i quattro responsabili sono stati condannati a morte nel settembre 2013 da un tribunale speciale dell’India. Il giudice Yogesh Khanna, leggendo la condanna, aveva detto: «l’aggressione è stata commessa in modo estremamente brutale, mostruoso, diabolico, rivoltante e ignobile, tanto da suscitare viva ed estrema indignazione della società. Di questi tempi, in cui i reati ai danni delle donne sono aumentati, la corte non può chiudere un occhio su eventi così orribili». Il giudice aveva anche detto che la ragazza «è stata torturata fino alla fine con una brutalità e depravazione eccezionali». La vicenda aveva provocato manifestazioni di protesta in tutto il paese e aveva portato all’approvazione di nuove norme per garantire maggiore sicurezza e protezione per le donne, oltre a leggi più dure contro la violenza di genere, con l’introduzione nell’aprile 2013 della pena di morte in due casi: quando la donna stuprata muore o viene ridotta allo stato vegetativo e per i recidivi. L’India ha da anni un grosso problema di violenza sulle donne e di tolleranza di queste violenze da parte di un pezzo della popolazione.

La regista Udwin ha chiesto al primo ministro indiano, Narendra Modi, di intervenire direttamente per “non silenziare il documentario”. India’s Daughter, che verrà diffuso a livello internazionale domenica 8 marzo, la giornata mondiale della donna, non sarà quindi per ora trasmesso nel paese in cui è stato girato. Nel suo appello a Modi, Udwin ha detto: «L’India dovrebbe accogliere a braccia aperte questo film: non bloccarlo con un’isteria istintiva senza nemmeno averlo visto. Questa poteva essere una grande opportunità per l’India di continuare a mostrare al mondo quanto è cambiata la situazione da quel tremendo crimine. Vietarne la distribuzione, invece, la isola tristemente agli occhi di tutto il mondo. È una mossa controproducente».

Il documentario contiene anche un’intervista a uno dei quattro uomini condannati per lo stupro, che è attualmente in una prigione di Delhi e sta aspettando che la Corte suprema prenda in considerazione il suo ricorso per evitare la condanna di morte. Intervistato in prigione dietro consenso delle autorità – che avevano richiesto di vedere il girato prima di approvarlo, ma hanno poi dato l’ok avendone visto soltanto una parte – non ha mostrato nessun rimorso per l’atto commesso, anzi avrebbe dato la colpa alla donna per aver reagito e per non essersi comportata come “una ragazza per bene”.

Il ministro degli interni indiano, Rajnath Singh, ha detto al Parlamento che il governo si assicurerà che in nessun caso il documentario venga trasmesso in patria e che bloccherà la diffusione del film anche su altre piattaforme, non solo quella televisiva. Le discussioni sul documentario hanno dimostrato una volta di più quanto sia divisa l’India sul come affrontare un argomento come la violenza sulle donne. Anu Aga, una deputata indiana, ha detto: «Quello che ha detto Mukesh Singh sullo stupro riflette il pensiero di molti uomini in India. Perché ci voltiamo dall’altra parte senza vedere? Affrontiamo la cosa, invece di far finta che vada tutto bene».