Avremo sempre meno privacy, e va bene così

Alle prossime generazioni il nostro concetto di privacy sembrerà antiquato e medievale, dice il Washington Post: come oggi noi giudichiamo la cavalleria

di Dominic Basulto – Washington Post

Nell’era digitale, non sono solo le agenzie governative e la Silicon Valley a spiarci o a cercare di fare soldi con le nostre informazioni: sono anche le smart TV, o le automobili futuristiche. E una volta che la cosiddetta “Internet delle cose” prenderà piede, potrete finalmente dire addio al concetto di privacy: ogni dispositivo avrà infatti la capacità di ascoltare le nostre conversazioni e fare ricerca dati in tempo reale. La privacy, che un tempo era un diritto, ora non è più nemmeno una “norma sociale“.

In un certo senso, la fine dell’età della privacy ricorda la scomparsa di un altro importante valore: quello delle norme di comportamento cavalleresche. Tutti prima o poi ci siamo lamentati della morte della cavalleria, ma riflettete su questo: la cavalleria ci consegnò una società patriarcale, gerarchica e classista. Le norme cavalleresche ci hanno tramandato il senso dell’onore, della nobiltà e della grazia aulica: assieme alla disparità di genere e a un mondo comandato dai maschi. In breve, nel tempo la società è andata oltre la cavalleria, così come la società andrà oltre il concetto di privacy.

Il modo in cui oggi ci rapportiamo alla privacy è notevolmente influenzato da un saggio molto studiato scritto da Warren e Brandeis per la Harvard Law Review nel 1890. Il saggio si concentrava sui difetti dei media di allora – pieni di gossip, pettegolezzi e «fotografie di persone comuni pubblicate senza autorizzazione» – e cercava di porre rimedio a quei problemi definendo la privacy “il diritto ad essere lasciati in pace”.

Basta che stiate su Internet per qualche minuto, oggi, per rendersi conto che questa definizione vecchia di 125 anni è diventata anacronistica. I nostri account vengono violati, le nostre foto sono là fuori visibili da chiunque, le nostre informazioni sanitarie sono il segreto di Pulcinella e il contenuto delle nostre mail è come se fosse urlato dai tetti. Invece di volere essere “lasciati in pace”, oggi vogliamo sentirci parte di una comunità. Inoltre, come già spiegava bene un altro articolo del Washington Post, «parte delle proprie informazioni personali non serve solo come “merce di scambio” dei rapporti sociali, ma è alla base dell’intero business degli acquisti online».

Non c’è bisogno di piangere la morte della privacy. Prima di tutto, considerate che avere troppa privacy è un rischio come averne troppo poca. Il grado di privacy di una società si mantiene su uno spettro di due opposti: trasparenza e segretezza. In un articolo scritto nel 2013 per la MIT Technology Review, il sociologo Evgenij Morozov, spesso critico con la Silicon Valley, riconosceva che i meccanismi della democrazia sono tali per cui alcune informazioni sono vitali per il funzionamento del governo e della burocrazia. Dando eccessiva importanza alla privacy, la società finisce per tendere verso l’estremo della segretezza, cosa che non porta vantaggio a nessuno.

La ragione per cui nell’era digitale abbiamo assistito a una spettacolare erosione della privacy è che una società connessa e aperta tende a svilupparsi più rapidamente. Le società più chiuse non fanno innovazione e non espandono la propria economia (pensate alla Corea del Nord). E l’utilizzo dei cosiddetti “Big Data”, se possibile, sta accelerando il processo di come ci rapportiamo alla condivisione delle nostre informazioni personali, dato che sta erodendo la privacy di due cose finora sacre: le informazioni sulla nostra salute e quelle finanziarie.

Rinunciare a un pezzo della propria privacy può essere positivo. Prendete la salute: anche solo dieci anni fa i dati sanitari personali venivano considerati notevolmente confidenziali, qualcosa da condividere solo col proprio medico. Oggi quei dati possono essere raccolti e condivisi online grazie a sensori e sistemi che contribuiscono a tenerci in forma. Una nuova generazione di accessori per la salute che si possono indossare cambierà radicalmente il modo con cui faremo uso di questi dati, e specialmente il target di persone con cui decideremo di condividerli.

Per questi motivi, i tentativi di riottenere parte dei diritti alla privacy nell’era digitale appaiono come un’azione nostalgica, propria di un’epoca in cui la privacy aveva ancora un valore molto alto. Ieri le intrusioni erano rare; oggi sono comuni. Era proprio necessario istituire una “Giornata nazionale della Privacy”? Ma dai. Tanto vale rinominare San Valentino “Giornata nazionale della cavalleria” e aspettarsi che prendano piede di nuovo i codici di comportamento cavallereschi del Medioevo.

Non abbiamo ancora recepito il cambio di valori in atto: per questa ragione siamo tentati di considerare ogni intrusione nei nostri confronti come un’ «aberrazione», una cosa a cui si può porre rimedio solamente approvando una nuova legge. Ma approvare nuove leggi o istituire delle nuove giornate su un dato tema non funzionerà. Non siamo nemmeno d’accordo su come, quando o da chi dovremmo essere informati di una violazione nei nostri confronti. Senza una legislazione vasta e strutturale sulla privacy continueremo a ripensarla astrattamente.

La stramberia di discutere di come “proteggersi” dalle proprie automobili o televisioni è probabilmente la stessa provata da un “cavaliere” nei confronti del proprio vicino quando questo smise di comportarsi in modo stucchevole con le ragazze, in qualche momento del tardo Medioevo. Fu forse sconcertante constatare che non c’era più nessun cavaliere che si affrettava a cedere la propria sedia a una ragazza affaticata. I primi cavalieri che si rifiutarono di partecipare a una delle crociate per difendere la cristianità probabilmente furono giudicati degli eretici. Questa evoluzione, però, ci ha dato norme sociali che hanno condotto a una società meno patriarcale, gerarchica e discriminatoria.

Viviamo in un’epoca in cui capita a tutti di essere violati nella propria privacy: un post sui social network può finire ovunque, al nostro governo può capitare di doverci spiare (nonostante lo neghi) e tutti i nostri dati personali possono finire nelle mani sbagliate. La privacy potrebbe non essere morta nel 2014, ma perlomeno ha già un piede nella fossa. Alla generazione successiva alla nostra, il fatto che avessimo questo concetto di privacy sembrerà antiquato e medievale.

©Washington Post 2015

nella foto: il quadro “La Belle Dame sans Merci” delpittore John William Waterhouse (1893)