• Moda
  • Venerdì 23 gennaio 2015

Fortune e sfortune di Abercrombie & Fitch

L'azienda di moda americana (con una sua grande popolarità italiana) esce da un periodo difficile, e sta provando a ripartire senza il suo ingombrante capo storico

In this Nov. 14, 2011 photo, a shopper carries her Abercrombie & Fitch purchase, in Phoenix. Abercrombie & Fitch said Wednesday, Nov. 16, 2011, its third-quarter net income edged up nearly 2 percent as higher costs for commodities such as cotton offset higher sales of its preppy t-shirts and jeans. (AP Photo/Ross D. Franklin)
In this Nov. 14, 2011 photo, a shopper carries her Abercrombie & Fitch purchase, in Phoenix. Abercrombie & Fitch said Wednesday, Nov. 16, 2011, its third-quarter net income edged up nearly 2 percent as higher costs for commodities such as cotton offset higher sales of its preppy t-shirts and jeans. (AP Photo/Ross D. Franklin)

Il 9 dicembre 2014, poco più di un mese fa, si è dimesso Michael Jeffries, lo storico amministratore delegato dell’azienda di abbigliamento statunitense Abercrombie & Fitch, famosa in tutto il mondo per la sua popolarità soprattutto presso i teenagers e per un’immagine di gioventù patinata e di frivoli pensieri (sono noti i suoi commessi-modelli, o il profumo che invade i suoi negozi). Jeffries, che ha 70 anni, già un anno fa era stato costretto a lasciare la carica di presidente del gruppo, cedendo alle pressioni degli investitori generate dalla cattiva situazione della società. Abercrombie & Fitch, infatti, negli ultimi due anni ha dimezzato i propri profitti, chiuso centinaia di negozi e cercato di cambiare la propria immagine: nel tempo era diventata famosa appunto per i suoi commessi avvenenti e seminudi, per le campagne pubblicitarie sessualmente allusive e per il rifiuto di produrre vestiti di taglie abbondanti (l’azienda ha cominciato a vendere indumenti femminili superiori alla taglia 44 nel 2014).

Gran parte di queste iniziative erano dovute a Jeffries, che si occupava con grande attenzione soprattutto dell’aspetto promozionale del marchio: Alisa Durando, una stilista che lavora per Abercrombie & Fitch dal 1996, ha detto che Jeffries «poteva essere influenzato per quel che riguardava i prodotti: ma non sulle pratiche di marketing. Era fenomenale: cercava sempre di creare un film, una storia che il prodotto dovesse ispirare». Alla fine del 2002, quando un analista chiese a Jeffries se vendere esclusivamente prodotti come magliette attillate e pantaloni a vita bassa potesse allontanare qualche cliente, Jeffries rispose: «Certo. Noi siamo il marchio figo».

A circa un mese dalle sue dimissioni da amministratore delegato e membro del CdA, Jeffries non è più tornato nella sede di Abercrombie & Fitch e non ha rilasciato interviste. L’azienda deve ancora scegliere il nuovo amministratore delegato. Questa settimana il magazine economico Businessweek ha cercato di ricostruire con un lungo articolo cosa sia andato storto e quali siano le prospettive dell’azienda.

I primi tempi e la gestione di Jeffries
Abercrombie & Fitch fu fondato nel 1892 a New York, come negozio di abbigliamento sportivo ed escursionistico per ricchi. Negli anni, ebbe come clienti fra gli altri l’ex presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt e il celebre scrittore Ernest Hemingway. Quasi un secolo dopo, nel 1988, dopo alcuni anni di cattivi risultati l’azienda fu venduta per 47 milioni di dollari alla Limited, un altro marchio di abbigliamento. Dopo un primo fallimentare tentativo di rilanciare il marchio Abercrombie & Fitch, nel 1992 Limited assunse l’allora 48enne Jeffries per un secondo esperimento.
Jeffries era reduce dal fallimento consecutivo di due aziende di abbigliamento femminile, la Alcott & Andrews e la Paul Harris, che chiuse nel 1991. All’epoca, era ancora sposato e aveva un figlio. Più tardi, ha divorziato, si è dichiarato pubblicamente omosessuale e ha cominciato ad apparire in pubblico con Matthew Smith, che ancora oggi è il suo compagno (e su cui ci sono state voci e polemiche per una sua presunta ingerenza nelle decisioni aziendali).

Nei primi anni, Jeffries rinnovò la linea rivolgendosi agli adolescenti, con vestiti attillati e spesso coperti di scritte col marchio di Abercrombie. Si concentrò molto sull’assunzione di nuovo personale per i negozi della catena e sull’aspetto che dovevano avere: magri, belli e caucasici, fondamentalmente. Jeffries scrisse un libro chiamato “Look Book”, indirizzato ai commessi dei negozi Abercrombie & Fitch, contenente indicazioni su cosa indossare al lavoro e come rivolgersi ai clienti. Il “Look Book”, fra le altre cose, vietava tatuaggi, orecchini e la possibilità di truccarsi, per le donne. Prevedeva un unico modo per salutare i clienti: «Hey, what’s going on?». I responsabili di ciascun negozio erano soliti passare un giorno nei campus delle università locali per reclutare nuovi commessi: contattarono i membri di confraternite maschili e femminili e gli atleti di squadre sportive. Le loro foto venivano spedite alla sede centrale, che sceglieva se approvare a meno l’assunzione.

Racconta inoltre Businessweek:

Jeffries mandava un documento contenente una timeline a ciascun negozio, che includeva anche le indicazioni per svolgere ciascuno dei compiti richiesti (come per esempio disporre in un certo modo i vestiti). Secondo le sue indicazioni, ad esempio, se una camicetta veniva esposta appesa doveva avere un solo bottone slacciato: due, invece, nel caso fosse esposta piegata. Alcuni dipendenti della sede centrale controllavano i negozi tramite delle ispezioni, per accertarsi che gli standard imposti da Jeffries venissero rispettati. Un apposito staff veniva inviato nel caso non lo fossero. Lo stesso Jeffries nel 1997 ha detto al Wall Street Journal che la pratica «assomiglia a un’operazione militare. È tutto molto disciplinato e controllato». Quando Jeffries visitava un negozio – racconta un ex dirigente di Abercrombie & Fitch – non discuteva coi responsabili di cose come gli stipendi o i furti: gli interessava solamente che l’ambiente fosse arredato come indicato e che i commessi avessero l’aspetto che desiderava.

Nel 1996, la società si quotò in borsa. All’epoca aveva 125 negozi: nei successivi dieci anni sono aumentati fino a circa 600. Anche i guadagni della società sono sempre cresciuti, per circa dieci anni, malgrado la crisi economica del 2001. Ancora nel 2005, Abercrombie & Fitch ha aperto un immenso negozio sulla Fifth Avenue di Manhattan, a New York, uno dei più famosi quartieri per la vendita di abbigliamento al mondo (dove, soprattutto prima che l’azienda aprisse un negozio a Milano, si formavano file soprattutto di ragazzi italiani in vacanza con le loro famiglie, per il passaparola che aveva reso di moda il brand da noi). Nel 2007, durante l’inaugurazione di un nuovo negozio a Londra, Jeffries si è presentato annunciando: «credo che staremo qui per i prossimi duecento anni, in armonia con questi  negozi».

I guai, il declino
Abercrombie & Fitch è stata spesso accusata di coltivare un’immagine diseducativa e inopportuna: «conformista, sexy ed esclusiva», come l’ha definita Businessweek. Due anni fa Robin Lewis, co-autore del libro The New Rules of Retail ha raccontato a Business Insider che Jeffries non gradiva la presenza di giovani in sovrappeso nei suoi negozi, ma solo ”persone magre e belle”. Molto del marketing dell’azienda ruotava attorno a questo concetto: che i suoi prodotti dovessero essere indossati da chi voleva essere percepito come ricco, “cool” e alla moda, speciale: è anche la ragione per cui Jeffries era contrario ad abbassare i prezzi dei suoi prodotti (tuttora piuttosto alti).

L’atteggiamento di Jeffries produsse diverse proteste già dai primi anni Duemila. Nel 2002, alcuni studenti asiatici organizzarono un boicottaggio contro l’azienda per via di una maglietta che prendeva in giro un’ipotetica lavanderia asiatica. La maglietta fu ritirata dal mercato. L’anno successivo, alcuni commessi asiatici, afroamericani e ispanici hanno fatto causa all’azienda accusandola di discriminazione: sostenevano che fossero relegati ai lavori di magazzino e che in generale venissero loro ridotte le ore di lavoro nel caso il responsabile del negozio ritenesse che i clienti non li percepissero come “abbastanza Abercrombie”. Abercrombie ha patteggiato la causa dietro il pagamento di circa 50 milioni di dollari.

Ancora nel 2003, l’azienda aveva chiuso A&F Quarterly, una rivista a metà fra un magazine e un catalogo avviata nel 1997 sulla quale erano comparsi anche gli attori Jennifer Lawrence e Channing Tatum e la cantante Taylor Swift. Riporta Businessweek che A&F Quarterly conteneva cose come «guide al sesso di gruppo, istruzioni per fare sesso al cinema e giochi da eseguire con bevande alcoliche».

E poi ci fu il guaio delle taglie, noto almeno dal 2006. Ancora nel 2013, il 18enne Benjamin O’Keefe avviò una petizione per chiedere ad Abercrombie & Fitch di produrre vestiti con taglie più larghe: la società lo invitò nella sede centrale, e O’Keefe ci andò, raccontando poi: «credo che si siano resi conto di cosa sta succedendo, che A&F non si sta rivolgendo nel modo giusto ai suoi clienti. Ma avevano paura di Mike [Jeffries]. La mia sensazione è che mi stessero comunicando una cosa tipo “apprezziamo il fatto che tu sia qui. Ti ascoltiamo. Vorremmo poter fare di più”» (Jeffries, nonostante avesse 70 anni, era solito indossare i vestiti di A&F: in molti hanno raccontato che aveva subito diversi interventi di chirurgia plastica e che frequentava ogni giorno la palestra della sede centrale di Abercrombie & Fitch).

Negli ultimi anni, però, il marchio Abercrombie è lentamente passato di moda. All’inizio del 2014, quando Jeffries fu costretto a dimettersi dalla presidenza della società, Abercrombie stava per chiudere l’ottavo trimestre consecutivo in cui le vendite erano calate. Entro il 2015, nei soli Stati Uniti, è previsto un piano per chiudere 120 negozi. Almeno 220 negozi presenti in grandi magazzini avevano già chiuso per il 2013. La società però fa ancora profitti: per il 2014 si stima che il guadagno sia stato di circa 106 milioni di dollari, la metà di quanto ottenuto nel 2012.

In molti attribuiscono la complicata situazione di Abercrombie & Fitch a un cambio nei gusti degli adolescenti in fatto di moda e in generale alla poca elasticità di Jeffries, che per anni ha deciso di vendere un prodotto simile e che stava diventando poco redditizio: solo negli ultimi tempi, infatti, Jeffries aveva deciso di togliere il logo della società da alcune magliette, di non utilizzare più modelli seminudi all’ingresso e di arredare più sobriamente i propri negozi. Secondo il Wall Street Journal Abercrombie & Fitch si è però trovata «dal lato sbagliato della moda: i ragazzi che una volta cercavano vestiti firmati sono passati a comprare abiti più economici e senza loghi o scritte, che possono utilizzare per creare un loro stile personale». E a volte le cose, semplicemente, passano di moda, soprattutto quelle con un’identità molto definita.

E adesso?
Arthur Martinez, il presidente della società da quando Jeffries si è dimesso nel gennaio del 2014, ha definito l’uscita di Jeffries «la fine di un’era», ma che si è resa necessaria in quanto «sarebbe stato difficile, anche per via dei rapporti personali, scegliere un nuovo amministratore delegato con Mike ancora nel consiglio di amministrazione. Ha investito tutta la sua vita nella società, ma era arrivato il momento di farsi da parte».

Fra le prime novità proposte da Martinez, a suo dire, sarà introdotta una mentalità secondo cui «il cliente verrà prima del resto». I commessi seminudi sono quasi spariti. Il logo, però, è stato conservato in alcune collezioni, dato che vestiti del genere continuano ad andare molto bene al di fuori degli Stati Uniti. La chiusura dei negozi avverrà come da precedenti programmi: Martinez dice che il 40 per cento delle entrate, oggi, Abercrombie & Fitch le ottiene dalle vendite online. La società ha detto di non sapere se continuerà ad applicare il “Look Book”.

foto: AP Photo/Ross D. Franklin