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  • Mercoledì 24 dicembre 2014

Gli infortuni sul lavoro in 10 numeri

Aumentano o diminuiscono? Quale categoria di lavoratori denuncia più mal di schiena e quale più depressione? Un po' di informazioni dai nuovi dati ISTAT

di Marco Surace

© Mauro Scrobogna / LaPresse
17-11-2009 Roma
Interni
ANAS - cantieri stradali
Nella foto: cantieri di costruzione della strada statale SS 675 umbro laziale, caschi protettivi
© Mauro Scrobogna / LaPresse 17-11-2009 Roma Interni ANAS - cantieri stradali Nella foto: cantieri di costruzione della strada statale SS 675 umbro laziale, caschi protettivi

Qualche giorno fa l’ISTAT, l’Istituto nazionale di Statistica, ha presentato i risultati dell’approfondimento tematico “Salute e sicurezza sul lavoro” sulla base dei dati ufficiali del 2013. All’interno del rapporto, che si può leggere integralmente qui, i principali fenomeni indagati sono gli infortuni sul lavoro, la presenza di problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa, la percezione dell’esposizione sul luogo di lavoro a fattori di rischio per la salute fisica e psicologica. Di seguito alcune delle conclusioni più importanti, in 10 numeri.

714mila
Sono le persone che hanno denunciato un infortunio sul lavoro o durante il tragitto casa-lavoro (quelli che tecnicamente vengono indicati come infortuni in itinere) nel corso del 2013. Si tratta del 2,9 per cento di coloro che hanno lavorato nei 12 mesi presi in esame. Il dato è in costante calo ormai da diversi anni, erano 740mila nel 2012 e oltre 870mila nel 2008: un calo del 18,3 per cento a fronte di una riduzione complessiva delle ore lavorate poco superiore al 4 per cento. Tra queste, ci sono 53mila persone che durante il 2013 hanno subito più di un infortunio.

12,7
È la percentuale di stranieri che hanno subito un infortunio rispetto al totale, a fronte di una occupazione pari a circa il 10 per cento dei lavoratori totali in Italia e a una popolazione straniera residente pari nel 2013 al 7,3 per cento del totale. I lavoratori stranieri si infortunano proporzionalmente di più – e qui parliamo solo di infortuni regolarmente dichiarati – perché sono in media più giovani e più mobili, e quindi ci sono anche molti meno stranieri in pensione o disoccupati. Gli infortuni nel 2013 hanno riguardato il 3,3 per cento dei lavoratori stranieri e il 2,8 per cento di quelli italiani, in parte anche perché gli stranieri sono spesso impiegati in settori a più elevato rischio di infortunio, come nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni.

55-64
È la fascia di età percentualmente più soggetta a infortuni, pari al 3,3 per cento degli occupati. Sempre in proporzione, si infortunano più lavoratori al Centro (il 3,1 per cento del totale) e più spesso gli uomini che le donne, 3,3 contro il 2,2 per cento.

50
È la percentuale degli infortuni legati ai tre settori più interessati in termini assoluti: industria in senso stretto (27,2 per cento), commercio (12,4 per cento), costruzioni (11,1 per cento). Se invece consideriamo gli infortuni in funzione degli occupati, risulta più rischiosa l’attività in agricoltura col 3,5 per cento degli occupati che ha denunciato un infortunio, seguita dal settore trasporto e magazzinaggio e da quello delle costruzioni, entrambi col 3,4 per cento degli occupati. Rispetto al 2007, precedente anno di riferimento del rapporto ISTAT, risulta in netto calo l’incidenza degli infortuni nel settore sanità e costruzioni.

193mila
Sono gli infortuni in itinere, quelli cioè occorsi al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, oppure durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro. Solo con l’introduzione del DLgs. 38/2000 tali infortuni sono stati inseriti nella tutela assicurativa INAIL: risultano pari al 27 per cento del totale.

2.282.000
Sono le persone che dichiarano di aver sofferto di malattie o problemi di salute ritenuti causati o aggravati dall’attività lavorativa, escludendo gli infortuni, cioè il 5,5 per cento del totale degli occupati e dei non occupati con precedente esperienza di lavoro. A soffrire di problemi di salute connessi con la propria attività lavorativa sono in misura maggiore gli uomini (5,7 per cento) rispetto alle donne (5,1 per cento), e i cittadini italiani (5,5 per cento) rispetto agli stranieri (4,7 per cento). La prevalenza delle malattie connesse con l’attività lavorativa aumenta al crescere dell’età, per entrambi i sessi.

0,6
È la percentuale di occupati o ex-occupati che hanno dichiarato problemi di salute legati a infezioni da virus o batteri. Le motivazioni principali sono invece legate a mal di schiena e problemi osteo-articolari (complessivamente il 59 per cento), stress, depressione e ansia (16,2 per cento) e problemi all’apparato respiratorio (9,9 per cento). È particolarmente evidente la sproporzione tra italiani e stranieri relativa al mal di schiena – 28,5 per cento rispetto al 42,1 – e tra donne e uomini nei problemi osteo-articolari – 35,2 contro il 25 per cento. I giovani – fascia di età 25-34 – soffrono di più per stress, depressione e ansietà: uno su quattro.

52,9
È la percentuale di lavoratori che, pur dichiarando problemi di salute legati all’attività lavorativa, non ha fatto alcun giorno di assenza per tale ragione. Oltre il 18 per cento si è assentato per meno di 2 settimane, il 12,6 tra 2 settimane e 3 mesi, il 10,6 per cento non è più in grado di lavorare.

6,6
È la percentuale di lavoratori che occupa la posizione con più problemi di salute causati o aggravati dal proprio lavoro, in proporzione al numero di lavoratori: i dirigenti e i quadri. Seguono i lavoratori in proprio (5,8 per cento) e gli operai (5,1 per cento). Complessivamente però il 66,6 per cento degli occupati che soffrono di problemi di salute sono operai e impiegati. Tra i settori di attività economica, l’industria in senso stretto è quello con il maggior numero di individui che soffrono di problemi di salute (191 mila, il 16,7 per cento del totale degli occupati che hanno sofferto di problemi di salute), seguito dal commercio (142 mila individui, 12,5 per cento). È invece la sanità il settore che rappresenta il settore con la maggiore prevalenza del fenomeno (l’8,2 per cento degli occupati dichiara problemi di salute associati alla professione), seguito dall’istruzione (7,3 per cento).

17 milioni
Pari al 76,6 per cento del totale, sono gli occupati che nel 2013 percepiscono la presenza di almeno un fattore di rischio per la salute, fisica o psicologica, sui luoghi di lavoro. In particolare, 16 milioni 784 mila (74,7 per cento) avvertono la presenza di almeno un fattore di rischio fisico, mentre 6 milioni 55 mila lavoratori (27,0 per cento) percepiscono almeno uno dei fattori di rischio psicologico. A essere esposti a fattori di rischio per la salute fisica sono soprattutto gli uomini (77,6 per cento contro il 70,6 delle donne) in tutte le classi di età, mentre per il rischio psicologico non si osservano particolari differenze di genere. Gli occupati stranieri, rispetto a quelli italiani, riportano una minore esposizione a fattori di rischio per la salute sia fisica (69,6 per cento contro 75,3) che psicologica (19,2 per cento contro 27,9). A determinare la distanza nei livelli di percezione del rischio di italiani e stranieri è principalmente la componente femminile dell’occupazione straniera, che mostra valori nettamente inferiori a quelli osservati per le donne italiane: rispettivamente -11,2 per cento per la salute fisica e -12,1 per cento per la salute psicologica.

Non sono in vista modifiche legislative di rilievo in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a eccezione di due commi del Jobs Act che prevedono l’approvazione di uno o più decreti legislativi che semplifichino le procedure e gli adempimenti a carico di cittadini e imprese in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e una razionalizzazione dell’attività ispettiva attraverso l’istituzione di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione dei servizi ispettivi del ministero del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL.