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  • Venerdì 12 dicembre 2014

La tortura e le serie tv

Il Washington Post si chiede se gli stereotipi sulla tortura in televisione, da "24" a "Homeland", ne abbiano progressivamente legittimato l'uso nell'opinione pubblica

di Catherine Rampell – Washington Post @crampell

Secondo il rivoltante rapporto della commissione del Senato sull’intelligence, la CIA ha ripetutamente compiuto trattamenti raccapriccianti su esseri umani. Le pratiche più mostruose includevano l’“alimentazione rettale” e i bagni di ghiaccio, nonché la brutale detenzione di decine di persone che si è poi scoperto essere detenute per sbaglio. Ma anche tra quelli detenuti perché erano davvero i “Cattivi” – contro i quali un rigoroso utilitarista potrebbe ritenere giustificato qualsiasi interrogatorio – la tortura generalmente non ha prodotto neppure informazioni utili. Quelle principali sono state ottenute tramite altre fonti o provenivano da detenuti che hanno collaborato prima che le loro torture cominciassero; le informazioni ottenute sotto tortura spesso si sono rivelate false. La conclusione principale del rapporto è: l’utilizzo da parte della CIA “delle tecniche di interrogatorio rafforzate non è stato un mezzo efficace per ottenere informazioni o collaborazione dai detenuti”.

Abbiamo a che fare da tempo con l’idea che la tortura sia qualcosa di terribile e, contemporaneamente, di terribilmente efficace nel produrre informazioni rilevanti – da secoli, direbbe qualcuno. Ma a un certo punto è successa una cosa curiosa nelle narrazioni di fiction. Guardate un qualsiasi popolare prodotto televisivo americano con spie, detective o altri affiliati ai bracci (violenti) della legge e noterete che la tortura è macabra e terribile. Ma non capirete quanto sia così spesso inutile.

Non sono il primo a notare questa particolarità. Un decennio fa la serie televisiva 24, prodotta dopo l’11 settembre, ha generato tutto un sottogenere di critica riguardo il fatto se il programma stesse “normalizzando” la tortura. Il Parents Television Council ha contato 67 scene di tortura nelle prime cinque stagioni della serie. Ma 24 non è affatto l’unica serie tv a mostrare ripetutamente i Buoni – per quanto moralmente in conflitto – mentre usano violenza e coercizione per “salvare il bambino”, impedire un assassinio o disinnescare la bomba a orologeria – sempre perché la tortura era l’unico mezzo efficace disponibile.

Suscitando relativamente pochi commenti, un sacco di serie televisive in onda – come Homeland, The Blacklist, Chicago P.D. – continuano ad appoggiarsi pesantemente sulla coercizione violenta sia per ragioni stilistiche che narrative. È un modo facile per aggiungere un po’ di vivacità (soprattutto in un dialogo smorto). Ancora più importante: è un espediente utilizzato per far crescere la suspense e poi per dissiparla in tempo per i titoli di coda. Ma raramente i risvolti narrativi includono i casi di depistaggi e di persone innocenti che le “interrogazioni rafforzate” provocano nella vita vera: perché porterebbe a conclusioni disordinate. Praticamente le uniche volte che la tortura non funziona in TV – e cioè le volte in cui quello o quella torturato/torturata custodisce coraggiosamente i suoi segreti nonostante indicibili dolori – è quando sono torturati i buoni.

Sì, lo so che questo genere di critica culturale – “Quello che X ci dice di sbagliato riguardo Y” – può essere noioso. Gli sceneggiati di Hollywood sono pensati per essere prodotti di intrattenimento e non complicati articoli scientifici peer-reviewed. Però in questo caso non è come Interstellar, che ti sta dando una lezione di fisica imperfetta, o come Grey’s Anatomy che ti offre una percezione distorta ed esagerata di quanto possa essere frequente cogliere i medici in flagrante rinchiusi in uno sgabuzzino. In quei casi le inesattezze fattuali possono dar fastidio a qualcuno, ma è inverosimile che riescano ad alterare le decisioni politiche dell’opinione pubblica.

Certamente meno innocuo è invece l’uso ripetuto della tortura in TV, quasi sempre compiuta da protagonisti il cui insindacabile giudizio li porta a ricorrere alla misure “rafforzate” soltanto quando è assolutamente necessario e soltanto quando hanno a che fare con chiari colpevoli. Non stupisce che secondo numerosi sondaggi un gran numero di americani ritenga la tortura giustificabile, almeno qualche volta. E non stupisce che i tribunali concedano spesso il beneficio del dubbio quando i poliziotti picchiano o uccidono qualcuno; la precedente esposizione degli americani a programmi del genere insegna loro che gli agenti non userebbero mai la forza letale a meno che non sia realmente necessaria.

L’esposizione continua a queste storie può influire non soltanto sull’atteggiamento dell’opinione pubblica ma anche sul comportamento di persone che ogni giorno prendono decisioni riguardo l’uso della forza. Come riportato dal New Yorker nel 2007, il generale di brigata Patrick Finnegan, allora decano dell’Accademia militare statunitense a West Point, incontrò il team creativo di 24 perché sentiva che il programma “aveva influito negativamente sulla formazione e sulle prestazioni dei veri soldati americani”. Come disse al giornalista: “I ragazzi lo hanno visto, e hanno detto ‘Se la tortura è sbagliata, allora che dire di 24?’”.

Mi rendo conto che i programmi televisivi hanno già abbastanza problemi da affrontare – senza risolvere tutti i mali del mondo – per sopravvivere e rinnovarsi. Pretendere che ricerchino scopi diversi e altri tipi di obiettivi morali probabilmente sarebbe ingiusto – e spesso infattibile. Ma raramente un cliché televisivo viene così spesso invocato ed è anche così fortemente contro l’interesse collettivo. Le figure retoriche sulla tortura, allo stesso modo di tutte quelle bombe a orologeria finte, riguardano davvero questioni di vita o di morte.

© Washington Post