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  • Venerdì 7 novembre 2014

La Corte Suprema si esprimerà sui matrimoni gay?

Una corte in Ohio ha stabilito che vietarli non è illegittimo di per sé: per legalizzarli per tutti serve un voto del Congresso o una sentenza della Corte Suprema

Giovedì una corte d’appello federale a Cincinnati, in Ohio, ha confermato per quattro stati americani – Kentucky, Michigan, Ohio e Tennessee – il diritto di vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in contrasto quindi con alcune recenti sentenze favorevoli emesse da tribunali minori. La decisione è stata presa grazie al parere favorevole di due giudici su tre entrambi nominati dall’ex presidente George W. Bush, tra cui Jeffrey S. Sutton, il quale ha detto di ritenere “inevitabile” che la legge americana permetterà i matrimoni gay ma che un simile cambiamento profondo nell’istituzione del matrimonio non dovrebbe essere deciso da una “corte intermedia” come quella che lui rappresenta, ma dal “solitamente affidabile lavoro dei processi democratici di stato”. In realtà la principale conseguenza della sentenza sarà probabilmente l’arrivo del contenzioso davanti alla Corte Suprema.

Sutton, scrive il New York Times, ha quindi respinto il ragionamento seguito nel corso dell’ultimo anno da numerose altre corti federali che hanno definito incostituzionale e privo di una logica “convincente” il divieto dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Un docente della scuola di Legge della Cornell University, Michael C. Dorf, ha spiegato che l’essenza di opinioni come quella di Sutton è che la questione dei matrimoni gay dovrebbe essere affidata al processo democratico o alla Corte Suprema, non a un giudice di una corte d’appello. Sutton ha detto:

In appena 11 anni, 19 stati americani e Washington D.C., pari a circa il 45 per cento della popolazione americana, hanno esercitato il loro potere sovrano per ampliare una definizione di matrimonio che fino a tempi recenti era universalmente seguita fin dai primi giorni della storia dell’umanità. Che è una linea temporale difficile da criticare come non meritevole di ulteriori dibattito e votazione. Quando i tribunali non lasciano che siano le persone a risolvere nuovi problemi sociali come questo, perpetuano l’idea che gli eroi di questi cambiamenti siano giudici e avvocati.

Il giudice Martha Craig Daughtrey, in forte contrasto con Sutton, ha definito questa diffusa opinione “un discorso ampiamente irrilevante su questioni di democrazia e federalismo” che considerano le coppie coinvolte in questi casi come delle “mere astrazioni” piuttosto che come persone reali a cui è negato uno status di uguaglianza.

Secondo diversi commentatori, la decisione del giudice Sutton non è stata del tutto sorprendente, dato che già a agosto durante l’udienza dei casi aveva espresso opinioni simili. Ma il fatto che la Corte Suprema non sia intervenuta ha di fatto permesso che sentenze locali favorevoli ai matrimoni gay diventassero effettive. Il mese scorso il numero di stati americani che permettono i matrimoni gay è salito a 32, oltre al District of Columbia. Scrive il New York Times che non intervenendo, in pratica, la Corte Suprema ha creato una “nuova realtà sociale” in molti stati, rendendo estremamente improbabile che il divieto dei matrimoni gay possa ora essere invece considerato costituzionale dalla Corte, a questo punto, e quindi alterare la realtà sociale che si è venuta a creare.

Nel giugno del 2013 la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva stabilito che i matrimoni gay contratti negli stati americani in cui sono permessi per il governo federale dovessero aver valore in tutti gli stati americani, anche in quelli in cui non sono previsti dalle leggi.

Foto: AP Photo/Al Behrman