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  • Venerdì 4 luglio 2014

La gran storia di Tim Howard

Il carismatico portiere della nazionale statunitense – che ha appena ottenuto il record di maggior numero di parate in una partita dei Mondiali – ha la sindrome di Tourette

di Terrence McCoy – Washington Post

Howard durante la partita contro il Belgio, martedì 1 luglio 2014. (Getty/Jamie McDonald)
Howard durante la partita contro il Belgio, martedì 1 luglio 2014. (Getty/Jamie McDonald)

I portieri sono notoriamente un po’ strani. Si vestono come dei coni gelato, con colori accesi. Indossano guanti che sembrano fatti più per gli astronauti che per lo sport. Le loro acconciature variano dalle creste ai dreadlock alle trecce bionde. Ma anche in mezzo a standard così bizzarri, la storia del portiere americano Tim Howard è veramente unica.

Howard – che martedì ha consolidato la sua fama di più grande portiere della storia della nazionale americana – ha la sindrome di Tourette. Sebbene abbiano perso per 2-1 la partita contro il Belgio, gli Stati Uniti avrebbero perso con ancora più gol di scarto se non fosse stato per lui. In quella partita Howard ha fatto 16 parate, che è il maggior numero di parate in una sola partita nella storia dei Mondiali (il precedente record era 13).

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«Tra quattro anni avrò giocato sì e no duecento partite in più, con la mia squadra di club e con la nazionale», ha detto Howard al termine della partita. «Avrò più esperienza. Non mi monto la testa né mi abbatto. Credo che quando affronti un grande torneo del genere, questo sia la cosa più importante: controllare le emozioni».

È sempre stato così, per Howard. Ha sempre avuto a che fare col dover controllare le emozioni. Più grande è il torneo, più importante è il momento, e più i suoi tic e i suoi sintomi aumentano. «Non ho mai contato quanti tic ho in una partita», disse una volta in un’intervista allo Spiegel, nel 2013. «Succede di continuo, senza alcun segno in anticipo, e aumenta con l’aumentare dell’importanza della partita», disse. «Succede ancora di più quando sono particolarmente nervoso».

Quando la palla è lontana, dice che si abbandona alle sue contrazioni. «Non le reprimo», raccontò allo Spiegel. Ma quando un attaccante avversario si avvicina e si prepara a calciare – una cosa che martedì scorso è successo continuamente – i muscoli di Howard miracolosamente si rilassano. «Non ho idea di come io ci riesca, neppure i miei dottori sanno spiegarmelo. Probabilmente è perché in quel momento la mia concentrazione sulla partita è maggiore e più forte della sindrome di Tourette».

Lo stereotipo standard del paziente affetto da sindrome di Tourette – una malattia neurologica, caratterizzata dal produrre suoni e movimenti involontari e ripetitivi, di cui è affetta una percentuale della popolazione che va dall’1 a 3 per cento – è l’immagine di una persona che impreca senza controllo. Ma soltanto il 10 per cento dei malati della sindrome di Tourette manifesta quel sintomo, e Howard non è tra quelli. «Non mi è mai uscita un’imprecazione così, senza controllo», disse.

E cosa gli “esce”, senza controllo? Tic e contrazioni. Lo hanno accompagnato per tutta la vita. I tic facciali cominciarono a manifestarsi quando aveva 10 anni e viveva in New Jersey. Le situazioni poco familiari lo rendevano ansioso e cominciò a sviluppare comportamenti ossessivo-compulsivi. Le cose non erano mai abbastanza diritte. Abbastanza ordinate. Abbastanza raggruppate. Toccava compulsivamente tutte le fessure tra le piastrelle del pavimento e tra i mattoni nei muri. «Doveva seguire un certo modello, una certa routine», raccontò la madre, Esther Howard, al New Yorker. «Doveva indossare i suoi vestiti ogni giorno allo stesso modo».

I tic arrivarono tutti insieme. «Dai 9 ai 15 anni ci fu questa esplosione di tic vari e incontrollati, e tutti piuttosto forti», spiegò Howard a Neurology Now. «Non avevo neppure il tempo di prendere le misure rispetto a un tic del mio corpo, che, BAM, sei mesi o un anno più tardi, ne spuntava fuori uno nuovo». Ma presto Howard trovò uno sfogo: il calcio. Le sue doti avevano un senso, per sua madre.

«Credo che ci sia un certo yin e yang nelle cose», disse lei al New Yorker. «Se hai una malattia del genere, allora hai anche un talento che ti è stato donato e che stai giusto cercando di scoprire. Il calcio era il suo talento. Rappresentò una via di fuga dalla sindrome di Tourette – assorbì quell’energia».

Howard fece benissimo nelle giovanili del campionato di calcio americano, cominciò a viaggiare in tutto il paese e, quando aveva appena 18 anni, passò ai professionisti con i MetroStars di New York. Fu lì che attirò l’interesse del Manchester United, che nel 2003 lo mise sotto contratto e lo portò nel Regno Unito, dove cominciò a costruirsi la reputazione di portiere tra i migliori al mondo – ma dove la sua malattia fu oggetto di maggiori attenzioni.

La stampa britannica, non nota per la sua magnanimità, fu particolarmente dura. Il Mirror titolò: “È vero: il Manchester sta trattando l’acquisto del malato di Tourette”. “Il Manchester vuole l’americano con la malattia neurologica”, scherzò il Guardian. “Il Manchester United sta cercando di mettere sotto contratto un portiere disabile”, l’Independent. Un giornale olandese lo definì “handicappato” e alcuni riportano di un altro giornale che lo definì addirittura “ritardato”.

I tifosi ci andarono giù ancora più pesante. Ogni volta che faceva una parata, i tifosi del Manchester cantavano – “Tim-timminy, tim-timminy, tim-tim, te-roo, We’ve got Tim Howard and he says, ‘F— you!’”.

Nella sua seconda stagione al Manchester fece alcuni errori gravi, uno dei quali costò alla squadra l’eliminazione dalla Champions League al 90esimo di una partita. La stampa scrisse che era “sotto esame” e “al di sotto degli standard” e si chiese se la sua sindrome fosse peggiorata. «Fu terribile», raccontò Howard al New Yorker. «Sembrava che volessero la mia rovina».

Alla fine si rifece una carriera altrove, e oggi detiene un record che condivide con pochi altri giocatori americani: ha già giocato otto partite nei Mondiali, come portiere della nazionale statunitense. Non è chiaro, tuttavia, se Howard giocherà ancora in un Mondiale. Ha 35 anni. Il Mondiale è un torneo pieno di ventenni o quasi, e la prossima volta lui di anni ne avrà quasi 40.

Ma lui intanto dice di essere più orgoglioso del fatto di «non aver permesso alla Tourette di limitarmi». E oggi «una delle cose migliori che posso fare [per la Tourette] è stare in pubblico», ha detto a Neurology Now. «Mi faccio vedere in televisione, coi tic e le contrazioni. Penso sia figo, in un certo senso».

© Washington Post