Cosa vogliono a Hong Kong
Che cosa chiede il referendum non ufficiale a cui hanno partecipato quasi 800.000 persone, secondo gli organizzatori, e di cui la Cina non intende tenere conto
Negli ultimi dieci giorni a Hong Kong si è tenuto un referendum non ufficaile per chiedere maggiore autonomia al governo centrale della Cina. Il voto si è concluso ieri, ha votato circa un quinto degli aventi diritto. Il referendum è stato organizzato da un gruppo di attivisti; il governo di Pechino lo ha dichiarato «illegale e invalido». Ma di cosa si tratta esattamente? Perché Hong Kong vuole più autonomia rispetto al governo centrale? E come è andato il referendum?
Primo, cos’è Hong Kong?
Honk Kong è una città stato e una provincia autonoma del sud della Cina, in cui vivono circa 7 milioni di persone. Per ragioni storiche Hong Kong gode di una certa autonomia rispetto all’amministrazione centrale, secondo il principio noto come “una nazione, due sistemi”: è una delle zone più libere della Cina e gode di diverse esenzioni fiscali. Il motivo dello statuto speciale è che dalla prima metà del Diciannovesimo secolo, e fino al 1997, Hong Kong è stata una colonia inglese: quindi ha goduto di libertà e condizioni di vita diverse da quelle diffuse nel resto della Cina. Quando nel 1997 l’Inghilterra cedette la sovranità di Hong Kong alla Cina, il governo centrale cinese decise di lasciare alla città – che nel frattempo era diventata uno dei centri finanziari più importanti al mondo – alcune delle libertà di cui aveva sempre goduto: in particolare la regione ha un sistema giuridico indipendente, basato sul modello britannico, e un sistema politico indipendente da quello centrale.
Perché si è votato?
Gli abitanti di Hong Kong da diversi anni chiedono maggiori autonomia dal governo cinese. In primo luogo la possibilità di eleggere il loro governatore (il chief executive), che ora è nominato dal governo centrale. In risposta alle richieste di autonomia, che negli ultimi anni si sono concretizzate in alcune manifestazioni anche piuttosto partecipate, il governo cinese ha promesso che dal 2017 permetterà che ci siano elezioni locali per l’amministrazione della provincia ma che i candidati saranno scelti da una commissione di 1200 persone nominate dal governo. I proponenti del referendum vogliono che questo passaggio venga cancellato e che le candidature siano libere: questo è il punto centrale intorno a cui si è tenuto il referendum.
Il referendum chiedeva ai votanti di scegliere fra tre diverse possibilità, presentate da associazioni di cittadini e partiti, per selezionare i candidati alle future elezioni provinciali. La prima proposta è stata presentata dall'”Alleanza per la vera democrazia” e prevede che si possa candidare chiunque riceva il sostegno di almeno 35.000 elettori, e chi sia sostenuto da un partito che alle elezioni precedenti abbia ottenuto almeno il 5 per cento dei voti. La proposta prevede anche l’esistenza di una commissione governativa che possa presentare dei propri candidati. Le altre due proposte, presentate rispettivamente dall'”Unione degli Studenti” e da “Potere del Popolo”, prevedono con sfumature diverse che a nominare i candidati siano solo gli elettori e non la commissione governativa.
Quando e come si è votato?
Per il referendum si è potuto votare dal 20 fino al 29 di giugno. Le modalità di voto sono state due: solo il 20 di giugno sono stati aperti 22 seggi per poter votare di persona in modo tradizionale, diciamo; per tutto il resto del periodo di voto, invece, si poteva votare online su un sito appositamente creato. Proprio questo punto ha creato alcuni problemi agli organizzatori, poiché il sito del referendum è stato oggetto di diversi e massicci attacchi informatici che ne hanno reso difficoltoso l’utilizzo e ne hanno in certa misura inficiato i risultati.
È stato un vero referendum?
No. Il referendum è stato promosso da “Occupy Central”, un gruppo di attivisti fondato nel 2013 da Benny Tai Yiu-ting, professore di legge dell’università di Hong Kong. Il referendum non è stato riconosciuto né governo centrale né da quello della provincia di Hong Kong, che lo hanno definito “illegale e invalido”. Il referendum, dunque, ha un valore esclusivamente simbolico: i proponenti sperano che un’ampia mobilitazione della popolazione mandi un segnale al governo sulla necessità di cambiare i piani sull’autonomia di Hong Kong.
Come sono andate le cose?
Secondo gli organizzatori hanno votato 792.808 persone su circa 3,5 milioni di aventi diritto. Il 42 per cento dei voti è andato a favore della prima proposta, quella dell'”Alleanza per la vera democrazia”. La proposta dell'”Unione degli Studenti” ha ottenuto il 38 per cento dei voti, mentre quella di “Potere del Popolo” ha avuto circa il 10 per cento dei voti.
Secondo gli organizzatori il risultato e l’affluenza sono stati un successo; il referendum è stato definito un «segnale molto incoraggiante» da Chen Jianmin, uno dei fondatori di “Occupy Central”. Durante i giorni del voto ci sono state anche alcune manifestazioni di gruppi che invece sostengono una maggiore integrazione con il governo centrale cinese, e che hanno organizzato una marcia per chiedere ai loro concittadini di non votare per il referendum.
E adesso?
Già da diversi mesi la situazione tra i gruppi autonomisti di Hong Kong e il governo di Pechino si è fatta piuttosto tesa. Secondo BBC, che ha parlato con alcuni esponenti di “Occupy Central”, è piuttosto diffuso il timore che la protesta diventi violenta se le richieste non verranno ascoltate dal governo cinese. Secondo alcuni è anche possibile che in segno di protesta si arrivi alla sospensione di tutte le attività finanziarie di Hong Kong. Il Guardian scrive che domani, anniversario del passaggio di sovranità dall’Inghilterra alla Cina, ci sarà una grande manifestazione per presentare i risultati del referendum e che gli organizzatori si aspettano che partecipino almeno 500.000 persone.
Il governo di Hong Kong ha confermato che non riconoscerà i risultati del referendum e un portavoce ha spiegato che la proposta di permettere candidature sostenute da 35.000 elettori non otterrà mai il sostegno ufficiale delle istituzioni. Michael Tien, esponente del consiglio provinciale di Hong Kong e contrario all’indipendenza, ha anche detto che il numero dei votanti non è stato poi così alto da costringere il governo centrale a tenerne conto.