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  • Mercoledì 25 giugno 2014

La Corte europea ha condannato l’Italia per tortura

Il caso riguarda un uomo che nel 2010 fu arrestato dai Carabinieri e arrivò in carcere con lesioni e fratture; ora dovrà essere risarcito

Foto Spada/ LaPresse
20-06-2014 Bergamo 
Caso Yara Gambirasio - Procura di Bergamo 
Conferenza stampa degli inquirenti in seguito alla decisione del giudice per le indagini preliminari di non confemare il fermo per Massimo Giuseppe Bosetti presunto omicida ma di disporre la custodia cautelare 
Nella foto Polizia nei pressi del Tribunale
Foto Spada/ LaPresse 20-06-2014 Bergamo Caso Yara Gambirasio - Procura di Bergamo Conferenza stampa degli inquirenti in seguito alla decisione del giudice per le indagini preliminari di non confemare il fermo per Massimo Giuseppe Bosetti presunto omicida ma di disporre la custodia cautelare Nella foto Polizia nei pressi del Tribunale

La Corte euro­pea dei diritti dell’uomo ha con­dan­nato l’Italia per vio­la­zione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che proi­bi­sce la tor­tura e ogni forma di trat­ta­mento inu­mano e degra­dante. Il caso riguarda Dimi­tri Alberti, che nel 2010 fu arrestato dai carabinieri in pro­vin­cia di Verona e che quando arrivò in car­cere aveva tre costole frat­tu­rate e lesioni ai testicoli: sarà risarcito con 15 mila euro. Secondo i giudici europei, sull’episodio la magistratura non ha avviato una “inchiesta effettiva” per determinare le responsabilità dei carabinieri coinvolti.

L’Italia con­dan­nata nuo­va­mente per trat­ta­menti inu­mani o degra­danti dalla Corte euro­pea dei diritti dell’Uomo. Il caso pur­troppo non è raro, come le cro­na­che ci rac­con­tano: un uomo viene pic­chiato dai cara­bi­nieri dopo essere stato arre­stato. Ma que­sta volta ai giu­dici di Stra­sburgo, a cui l’uomo – Dimi­tri Alberti, cit­ta­dino ita­liano – si è rivolto, non è sfug­gito il fatto che nep­pure la magi­stra­tura è inter­ve­nuta ade­gua­ta­mente. Nes­suno, in pro­cura, evi­den­te­mente si è preso la briga di con­durre un’inchiesta appro­fon­dita sulla causa delle gravi lesioni che, a detta dei cara­bi­nieri, l’uomo si sarebbe pro­cu­rato da solo. Una giu­sti­fi­ca­zione che, incre­di­bil­mente, con­ti­nua a fun­zio­nare quasi sem­pre in un Paese dove la tor­tura sarà «pec­cato mor­tale» ma non è reato.

Alberti, classe 1971, viene arre­stato dai cara­bi­nieri l’11 marzo 2010 davanti al Cafè Tif­fany, un bar di Cerea, comune in pro­vin­cia di Verona, dove l’uomo risiede. Quat­tro ore dopo Alberti giunge al car­cere di Verona con tre costole frat­tu­rate e un ema­toma al testi­colo sini­stro, secondo quanto rico­struito dai giu­dici euro­pei. I giu­dici ita­liani invece si sono limi­tati, secondo la Cedu, ad accer­tare che durante la fase dell’arresto non ci sia stato un uso ille­git­timo della forza da parte dei cara­bi­nieri. Ma senza pro­ce­dere con «un’inchiesta effet­tiva» per veri­fi­care i fatti, par­tendo dalla denun­cia di mal­trat­ta­menti pre­sen­tata da Alberti e da quelle lesioni che ad occhi euro­pei – e chissà per­ché no a quelli ita­liani – appa­iono incom­pa­ti­bili sia con una con­dotta legale dei cara­bi­nieri che con la tesi, soste­nuta dai mili­tari, che Alberti se le fosse inflitte da solo.

E così ancora una volta l’Italia è stata con­dan­nata per la vio­la­zione dell’articolo 3 della Con­ven­zione euro­pea dei diritti umani che proi­bi­sce i trat­ta­menti inu­mani o degra­danti. Lo Stato dovrà risar­cire Alberti con 15 mila euro per danni morali.

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