La genetica di chi dorme poco

Due nuovi studi hanno cercato di capire perché alcune persone per natura hanno bisogno di dormire solo poche ore per notte

UNITED STATES - CIRCA 1950s: Woman in bed yawning. (Photo by George Marks/Retrofile/Getty Images)
UNITED STATES - CIRCA 1950s: Woman in bed yawning. (Photo by George Marks/Retrofile/Getty Images)

Un lungo articolo del Wall Street Journal torna sulla questione dei cosiddetti short sleepers – le persone che per natura e senza soffrire di particolari disturbi riescono a dormire molto poco – raccontando gli studi di due ricercatori dell’Università della California.

Ying-Hui Fu si sta occupando del primo caso: ossia di quelle persone che hanno bisogno di meno di sei ore di sonno, che vanno tipicamente a dormire dopo mezzanotte e che riescono a svegliarsi poche ore dopo come se nulla fosse, senza risentire del fenomeno dell’inerzia del sonno, cioè della difficoltà a sentirsi lucidi e attivi immediatamente dopo il risveglio (si tratta di meno dell’1 per cento della popolazione degli Stati Uniti). Louis Ptáček sta studiando invece le persone che dormono in media sette-otto ore per notte, come adulti normali, ma che hanno bisogno di andare a letto insolitamente presto (intorno alle 20:30) e di alzarsi altrettanto presto la mattina (prima delle 5:30): questa categoria, chiamata delle “allodole”, interessa più o meno il 3 per cento della popolazione ed è contrapposta a quella delle “civette”, di coloro cioè che vanno a letto tardi e faticano a risvegliarsi. La maggior parte delle persone appartiene a una delle due categorie (quella dei mattinieri o quella dei nottambuli, potremmo dire), ma la ricerca del dottor Ptáček si concentra sulla fascia più estrema delle “allodole”.

Ying-Hui Fu e Louis Ptáček sono moglie e marito e sono entrambi professori presso l’Università della California, San Francisco, dove condividono un laboratorio. La dottoressa Fu ha lavorato nel campo della biologia molecolare e della genetica, il dottor Ptáček è un neurologo che si interessa di genetica e neuroscienze molecolari. Il loro interesse per il sonno è nato per caso nel 1996, quando una donna di 69 anni si presentò in una clinica del sonno lamentando la necessità di dover andare a dormire molto presto la sera e di doversi svegliare alle prime ore del mattino. Nel processo di studio delle “allodole”, la dottoressa Fu e il dottor Ptáček incontrarono poi il fenomeno degli short sleepers, avviando su di loro un progetto di ricerca indipendente.

Il gruppo di lavoro di Louis Ptáček comprende circa 100 famiglie, quello di Ying-Hui Fu 50 persone. I numeri non sono molto alti, vista la bassa percentuale di popolazione che rientra nelle due categorie. Uno dei principali problemi della ricerca è proprio individuare i potenziali soggetti di studio: è una fase che richiede molto tempo e che prevede una serie di esami per l’estrazione dei campioni di DNA da ogni potenziale partecipante («è come trovare l’ago in un pagliaio», scrive il Wall Street Journal).

Entrambi i ricercatori stanno lavorando per individuare le variazioni genetiche comuni per ciascuna categoria e cercare di capire come agiscano nella regolazione dei ritmi circadiani. I cicli del sonno e della veglia sono principalmente regolati dai ritmi circadiani, che influiscono sulla frequenza cardiaca, sulla temperatura corporea, sui livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e in generale su qualunque funzione biologica. Suzanne Sadedin su Slate ha spiegato come funziona:

Gli occhi contengono alcune speciali cellule fotosensibili (in aggiunta ai bastoncelli e ai coni per la visione normale) che sono collegate al vostro ipotalamo. Quando la luce raggiunge gli occhi, queste cellule allertano l’ipotalamo, che utilizza l’informazione per decidere quando è giorno in base a un ciclo di circa 24 ore. Nei momenti in cui l’ipotalamo decide che è notte, manda un comando all’epifisi affinché produca melatonina. E la melatonina innesca la sensazione di torpore.

La luce artificiale notturna confonde l’ipotalamo. Pensa “Oops, sono fuori di un paio d’ore”. Quindi prova a correggere la cosa facendo dormire di più al mattino. Anche la luce del mattino coperta da tende o tapparelle tende a confondere ulteriormente l’ipotalamo. La notte successiva, l’ipotalamo adotta il nuovo orario sfasato, così si ha sonno più tardi, si tengono le luci accese più a lungo e l’ipotalamo decide di spostare il ciclo sonno-veglia ancora più avanti.

Una serie di studi ha dimostrato che interrompere o alterare questi ritmi può interferire con diverse attività a livello genetico. Questo vale per esempio per chi lavora di notte e che corre un maggior rischio di sviluppare malattie croniche come il cancro, l’obesità e varie sindromi legate al metabolismo.

Louis Ptáček – che ha finora scoperto diverse variazioni genetiche nel gruppo delle “allodole” – intende trovare un farmaco in grado di alterare i ritmi circadiani del corpo che potrebbe essere utile per curare il jet lag, la condizione di chi lavora di notte o di chi si sottopone a trattamenti contro il cancro: a causa dei ritmi circadiani vi è infatti un tempo ottimale durante il quale la chemioterapia è più efficace, ma di questo solitamente non si tiene molto conto. Alterando con un farmaco il ritmo circadiano, i malati di cancro sarebbero in grado di regolare il loro orologio biologico in base ai tempi della chemioterapia per ottenere dalla cura il massimo beneficio.

Ying-Hui Fu – che ha scoperto tre particolari variazioni genetiche presenti negli short sleepers – intende invece sviluppare una terapia farmacologica in grado di ridurre la quantità di sonno di cui abbiamo bisogno, «qualcosa che sia meglio della caffeina» e che non danneggi la salute. Gli short sleepers hanno inoltre caratteristiche comuni molto positive: sono ottimisti, energici, intraprendenti, hanno un metabolismo molto veloce e quindi di solito sono magri e hanno una forte resistenza al dolore fisico: uno dei partecipanti al gruppo di ricerca non ha ad esempio bisogno di anestesia dal dentista, un’altra ha detto di aver sentito poco dolore durante il parto anche senza un antidolorifico. Per iniziare a sviluppare un farmaco ci vorranno almeno 10 anni.