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  • Giovedì 22 maggio 2014

Cinque calciatori italiani che giocano all’estero e non avete mai sentito nominare

Qui si barcamenavano nelle serie minori, in posti come il Paraguay o l'Estonia sono diventati delle piccole celebrità

SSC Napoli's (L-R) Swiss midfielder Goekhan Inler, defender Gianluca Grava, Argentinian midfielder Mario Santana, Slovakian midfielder Marek Hamsik, Argentinian defender Federico Fernandez, Argentinian defender Hugo Campagnaro and striker Massimiliano Ammendola run during a training session on November 1, 2011 at the Munich stadium, southern Germany, on the eve of their Group A Champions League football match against Bayern Munich. AFP PHOTO / CHRISTOF STACHE (Photo credit should read CHRISTOF STACHE/AFP/Getty Images)
SSC Napoli's (L-R) Swiss midfielder Goekhan Inler, defender Gianluca Grava, Argentinian midfielder Mario Santana, Slovakian midfielder Marek Hamsik, Argentinian defender Federico Fernandez, Argentinian defender Hugo Campagnaro and striker Massimiliano Ammendola run during a training session on November 1, 2011 at the Munich stadium, southern Germany, on the eve of their Group A Champions League football match against Bayern Munich. AFP PHOTO / CHRISTOF STACHE (Photo credit should read CHRISTOF STACHE/AFP/Getty Images)

Davide Coppo ha scritto per Studio un ritratto di cinque calciatori italiani che giocano in campionati stranieri ma non sono affatto famosi in Italia, dove giocavano in Lega Pro o in Serie D. Una volta andati in posti come Armenia, Paraguay, Indonesia, Filippine o Bulgaria, diventano qualcosa di simile a delle “celebrità” e possono arrivare a giocare anche i preliminari di Champions League – e guadagnando meglio.

Uno dei procuratori di questi calciatori, Alessandro Magni, racconta: «quello che io dico sempre ai giocatori è questo: Se domani partiamo, e andiamo a giocare in Serie A in Bulgaria, poi dalla Bulgaria in Serie A in Grecia, dalla Grecia andiamo in Paraguay, dal Paraguay alla Svizzera, che ne sai poi che dalla Svizzera non ti si aprano i mercati di Francia e Germania? Perché mai poi rimarresti [in Italia], per fermarti e supplicare di entrare in Lega Pro a un quarto di quanto guadagni all’estero?».

Il primo nome che ho incontrato nella mia ricerca di questi italiani con la valigia e le scarpe con i tacchetti, esploratori singolari ed esportatori di quello che in Italia si dovrebbe iniziare a vedere meno come un verbo divino e più come un lavoro normale in tutto e per tutto (soluzione: il calcio) è quello di Simone Quintieri, trentadue anni, nato a Cosenza a marzo nel 1982, una carriera tra Lega Pro e Serie D, poi la scelta drastica e rivoluzionaria, a ventotto anni nel 2010, di accettare l’offerta del Semarang United di Semarang, quattro milioni di abitanti sull’isola di Giava, Indonesia, una storia ricca e complicata fatta di invasioni cinesi, sultanati musulmani, acquisizioni olandesi e britanniche, e una forte – un tempo – presenza comunista. Da Barcellona Pozzo di Gotto, città sede della sua ultima squadra italiana, l’Igea Virtus, quarantamila anime sul mar Tirreno in provincia di Messina, è un salto lungo, complicato, acrobatico e difficilissimo. Simone deve averlo eseguito perfettamente se quando lo chiamo mi dice con una voce malinconica: «A Semarang ho lasciato il cuore, per me è una casa». C’è una domanda che ho fatto a tutti i ragazzi e calciatori con cui ho parlato per questo articolo: cosa hai pensato quando hai realizzato che stavi per partire e vivere in una parte del mondo completamente sconosciuta? Per Simone, che aveva quasi trent’anni e avrebbe voluto chiedere molto di più a una carriera che non l’ha mai portato dove si aspettava di andare, l’Indonesia è stata la grande opportunità. Con paure iniziali: «Mi ricordo che c’era mia sorella a Roma che piangeva perché diciamo è stato un cambio drastico, non sapevo cosa mi aspettava, non sapevo niente» dice.

«L’arrivo in aeroporto è un giorno che non scorderò mai, sono stato bloccato in aeroporto al mio arrivo, non lo dimenticherò fino all’ultimo giorno della mia vita» dice ancora, dopo avermi confessato che tutto quello che sapeva dell’Indonesia l’aveva imparato grazie a delle vaghe ricerche su Google, e adesso mi sembra davvero che abbia la voce rotta dall’emozione. «Duecento persone, tutte le transenne, me lo ricordo ancora come se fosse oggi, poi i canti degli ultrà, poi quelli fuori a seguire la macchina, insomma sono scene che…», sta parlando per immagini e per ricordi, si ferma, poi prosegue, «per me che non ho mai vissuto grandi palcoscenici, che non avevo mai visto stadi di 60 mila persone pieni… Mi sono detto: qui mi sta cambiando la vita».

C’è un altro Quintieri che fa il calciatore, è un altro che dopo (pochi) anni di Serie B e D ha scelto di andare a Tallinn, in Estonia, a vincere il campionato e a giocare la Champions League e l’Europa League. Si chiama Damiano, e non è parente di Simone, ed è il numero 9 del Nõmme Kalju. Lui è partito dall’Italia invece giovane, a 21 anni, lasciando il Valle Grecanica, provincia di Reggio Calabria, per la più settentrionale delle repubbliche baltiche. In Champions League (cioè nei preliminari: però la musica prima dell’inizio, quella epica che dice «the champions!» la mettono comunque, e vuoi mettere con Valle Grecanica?) ha giocato quattro partite e segnato tre volte, la prima nella vittoria, in casa, contro l’HJK Helsinki, il goal decisivo per vincere 2-1 e passare il turno. Poi una doppietta a Plzeň contro il Viktoria, nella sconfitta del Nõmme per 6-2. «All’inizio è stata dura», mi dice quando gli chiedo di raccontarmi l’arrivo a Tallinn.

(leggi l’articolo intero su Studio)

foto: Massimiliano Ammendola mentre si allena con il Napoli, nel 2011: è il primo da destra.
(CHRISTOF STACHE/AFP/Getty Images)