I soprannomi dei criminali

'A carogna, 'o Lemon, Pavesino, e gli altri nomignoli che fanno felici i giornali, elencati da Roberto Saviano

Su Repubblica di martedì 13 maggio Roberto Saviano si chiede quanti titoli di giornali sarebbero stati dedicati a Gennaro De Tommaso – il tifoso del Napoli che aveva discusso con le forze dell’ordine prima dell’inizio della finale di Coppa Italia (quello con la maglietta “Speziale libero”, per capirci) – se non fosse stato conosciuto con il soprannome di “Genny ‘a carogna”. E spiega perché nel mondo criminale gli appellativi, spesso ridicoli e feroci, siano così diffusi e così importanti: «decifrarli – dice Saviano – è una strada maestra per conoscere la realtà del nostro paese».

Se Genny ‘a carogna fosse stato soltanto Gennaro De Tommaso, quanti titoli avrebbero fatto i giornali su di lui? Privo del suo truce soprannome avrebbe suscitato lo stesso clamore? Certo, i giornali avrebbero scritto quel tanto che bastava a riportare la notizia. Si sarebbero senza dubbio descritte nel dettaglio la sua funzione e le sue parentele, ma è quell’epiteto portato come una bandiera ad aver moltiplicato la sua sinistra fama.

I soprannomi accorciano le distanze: raccogliendo una biografia in una parola, in un attimo fanno sembrare vicine persone mai conosciute. Si nasce con il proprio nome e cognome dal ventre materno. All’anagrafe sei iscritto con il nome scelto dalla famiglia e che determina il santo che ti proteggerà.

Ma in società nasci davvero quando un soprannome ti battezza. È un’usanza antica ancora fondamentale in paesi e quartieri dove i nipoti prendono il nome dei nonni. Quando tutti hanno gli stessi nomi e cognomi, solo i soprannomi rendono unici. La modernità non ha affatto distrutto questa abitudine, anzi, i soprannomi hanno anticipato i nickname usati sul web, con la differenza che il nick te lo scegli e può garantirti l’anonimato. Un soprannome invece lo subisci e ti assicura il massimo dell’identificazione. Se non ti piace raramente riesci a modificarlo.

Senza, nel mondo criminale non esisti. Ed è incredibile come si accettino i soprannomi più ridicoli, feroci e offensivi. Un soprannome è in qualche modo un destino. Dai grandi capi di camorra ai piccoli gregari, tutti hanno soprannomi, o meglio, tutti hanno “contro-nomi”. Possono nascere nel modo più casuale, come accadde al piccolo boss Antonio Di Vicino che una volta chiese al bar una “lemon”. Una che? Una lemon. E da allora divenne Antonio ‘o lemon. Luigi Guida, invece di chiedere un Fernet Branca, un giorno chiese “un drink”, e fu per sempre Giggino ‘o drink. Altri soprannomi arrivano per abitudini singolari: prima delle esecuzioni Antonio Di Biasi non consumava un pasto completo, per evitare il rischio di setticemia in caso fosse stato colpito all’addome a stomaco pieno. Ma siccome poi il nervosismo gli faceva venire crampi allo stomaco, portava con sé biscotti per bambini, e per questo era detto Pavesino. Ogni ragione di soprannome è leggenda e racconto, è storiografia e casellario giudiziario. Un dettaglio è sufficiente e se suona bene e passa la selezione naturale dei soprannomi, si attacca per sempre a chi lo porta.

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