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  • Giovedì 10 aprile 2014

Un altro Bush?

Il fratello minore di George W. Bush, Jeb, ha detto che sta pensando a una candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, ma molti repubblicani non sembrano entusiasti

Il governatore dela Florida Jeb Bush fa un discorso a sostegno del fratello, il presidente George W. Bush, a una conferenza dei repubblicano al Fontainebleau Hilton Resort, Miami Beach, Florida, 16 aprile 2004
(Joe Raedle/Getty Images)
Il governatore dela Florida Jeb Bush fa un discorso a sostegno del fratello, il presidente George W. Bush, a una conferenza dei repubblicano al Fontainebleau Hilton Resort, Miami Beach, Florida, 16 aprile 2004 (Joe Raedle/Getty Images)

Da qualche settimana negli Stati Uniti si è tornati a discutere della possibilità che Jeb Bush, 61 anni, secondo figlio del 41esimo presidente degli Stati Uniti George H. W. Bush e fratello minore del 43esimo presidente, George W. Bush, si candidi alle prossime elezioni presidenziali, nel 2016. Domenica 6 aprile Jeb – che non è il suo vero nome, ma è la composizione delle iniziali del suo nome all’anagrafe, John Ellis Bush – ha detto alla stampa che ci sta pensando e che deciderà entro la fine dell’anno. Jeb Bush è stato governatore dello stato della Florida dal 1999 al 2007, l’unico repubblicano a ricoprire questo incarico per due mandati consecutivi. Viene considerato un moderato – negli anni della presidenza di George W. Bush alcuni lo chiamavano sarcasticamente “il fratello intelligente” – e negli ultimi anni ha basato la sua retorica politica sulla critica delle posizioni più estreme e conservatrici del suo partito.

L’annuncio di una sua possibile candidatura è stato accolto con relativo scetticismo dal suo stesso partito e da una parte della stampa statunitense, ma anche con molta curiosità, innanzitutto visto il suo essere un Bush – gli americani hanno parecchi precedenti in fatto di dinastie politiche: si pensi solo che il cognome della candidata considerata oggi favorita per il 2016 è Clinton – e poi per via delle sue posizioni poco “ortodosse” in merito ad alcune questioni centrali come l’immigrazione e l’istruzione. Uno degli aspetti in cui Jeb Bush ha promesso di distinguersi dal resto dei repubblicani è lo stile: Bush ha spiegato di non volere che il confronto tra le parti finisca sempre «nel vortice di una lotta del fango», ma che si sviluppi su un messaggio «di speranza». Durante il discorso di domenica, che si è tenuto al George Bush Presidential Library and Museum (Texas) in occasione del 25esimo anniversario della presidenza di Bush padre, Jeb Bush ha detto come il partito dovrebbe affrontare la competizione per le presidenziali:

«Abbiamo bisogno di eleggere candidati che abbiano una visione più grande e ampia, che si siano organizzati per vincere le elezioni e non solo per segnare un punto a loro favore. Le nostre campagne elettorali devono servire ad ascoltare, imparare e migliorare. Invece in questi anni abbiamo perso la nostra strada. Non voglio criticare il mio partito, ma le campagne elettorali stesse devono riflettere la nuova America»

La critica più diffusa che viene mossa a Jeb Bush è essere stato lontano dalla competizione politica nazionale da troppo tempo (sono passati 12 anni dalla sua campagna per la rielezione a governatore della Florida). Ben Smith, direttore di Buzzfeed ed ex giornalista di punta a Politicoha scritto che in tutto questo tempo Bush si è perso un sacco di cose, come l’ascesa del tea party e di una nuova generazione di politici – Marco Rubio, Paul Ryan, Scott Walker e Ted Cruz, tra gli altri – che si sono formati nel nuovo contesto politico nazionale e hanno modellato le posizioni del partito in tempi più recenti. Il problema, scrive Smith, è che Jeb Bush ha centrato finora il suo discorso politico sull’opposizione al partito repubblicano, avvicinandosi a posizioni più centriste su diversi temi (come l’istruzione, che Bush vorrebbe fosse controllata dal governo federale) e alienandosi l’appoggio di ampie fette della politica conservatrice statunitense.

Tra le posizioni più “eterodosse” di Bush rispetto a quelle del suo partito ci sono quelle legate alle leggi sull’immigrazione, probabilmente condizionate anche da un’esperienza di studio in Messico durante gli anni dell’adolescenza (in quel periodo conobbe anche la sua futura moglie, Columba Garnica Gallo, di origine messicana). Jeb Bush vorrebbe garantire un qualche status riconosciuto agli immigrati che sono entrati negli Stati Uniti illegalmente: «Si, violano la legge, ma non è un reato; è un atto d’amore».

Jeb Bush è anche molto vicino all’ex sindaco di New York, Mike Bloomberg, moderato, laico e centrista, eletto con il partito repubblicano ma diventato prima democratico e poi indipendente. L’amicizia con Bloomberg è un altro aspetto che potrebbe non piacere per niente al suo partito: tra gli obiettivi della fondazione di Bloomberg ci sono la chiusura delle centrali elettriche alimentate a carbone, l’imposizione di nuove tasse sul “junk food” (“cibo spazzatura”), la cui introduzione a New York aveva fatto infuriare la destra, e soprattutto la restrizione delle leggi che regolano la vendita delle armi.

Anche all’interno della stessa famiglia Bush c’è chi ha pensato che la candidatura di Jeb non sia una buona idea: come racconta il New York Times, lo scorso anno Barbara Bush, madre di Jeb, aveva pubblicamente detto che il paese non aveva bisogno di un altro Bush alla Casa Bianca. Lo scorso mese, per la verità, Barbara Bush aveva smorzato la sua dichiarazione, dicendo che Jeb sarebbe «la persona più qualificata del paese» per ricoprire il ruolo di presidente.