L’impianto che fa muovere le gambe ai paralitici

Uno stimolatore del midollo spinale ha permesso a tre persone paralizzate di muoversi di nuovo (ma per camminare è ancora molto presto)

Tre persone con paralisi alle gambe, dovuta a un trauma al loro midollo spinale, hanno recuperato parzialmente la capacità di muovere le loro gambe per la prima volta ad anni di distanza dal trauma che le aveva portate a vivere su una sedia a rotelle. Il risultato è stato raggiunto grazie a una lunga e complicata ricerca condotta dall’Università della California-Los Angeles, e dall’Università di Louisville, Kentucky, negli Stati Uniti. Ai tre pazienti è stato applicato un dispositivo che simula gli impulsi elettrici che partono dal cervello e attraverso il midollo spinale raggiungono il sistema nervoso periferico. In precedenza un risultato simile era stato raggiunto con un altro paziente, sempre grazie allo studio dei ricercatori dei due centri universitari, come spiega il loro studio pubblicato sulla rivista scientifica Brain.

Semplificando, in condizioni normali il midollo spinale, che si trova all’interno del canale vertebrale, funziona come via di comunicazione per fare passare gli impulsi nervosi dal cervello al resto del corpo. Se a causa di un incidente o di una malformazione la via si interrompe, il messaggio che arriva dal cervello non riesce più a passare e si verifica una paralisi da quella parte in giù, perché la terminazione nervosa interessata non riceve più le istruzioni.

I ricercatori hanno impiantato nei tre pazienti alcuni stimolatori, che si applicano direttamente al midollo spinale, e li hanno sottoposti a otto mesi particolarmente intensi di fisioterapia e ginnastica per far recuperare il tono muscolare delle loro gambe, che si era sensibilmente ridotto in due anni di sostanziale inattività. A pochi giorni dall’inizio delle stimolazioni tutti e tre i pazienti sono riusciti a muovere nuovamente e volontariamente le loro gambe. Secondo il gruppo di ricerca, l’applicazione degli stimolatori facilita il passaggio degli impulsi dal cervello alle terminazioni nervose, consentendogli di superare il punto dove di solito la trasmissione del messaggio si interrompe a causa del danno spinale.

I tre pazienti ora riescono a controllare con relativa precisione i movimenti delle loro gambe e sono anche in grado di esercitare diversi livelli di forza, e di carico, a seconda dei compiti che devono svolgere durante la riabilitazione. Tre anni fa i ricercatori avevano sostenuto di avere raggiunto un risultato simile con un altro paziente, un giocatore di baseball che era rimasto paralizzato dopo un incidente d’auto. Due dei quattro pazienti dopo l’incidente avevano conservato un certo grado di sensibilità alle gambe, ma non le potevano comunque muovere. Gli altri due volontari che si sono sottoposti al trattamento non avevano alcuna sensibilità sotto la vita.

Per ora le quattro persone con l’impianto spinale non hanno la capacità di reggersi da sole e di camminare in autonomia, ma secondo i ricercatori potranno ottenere nuovi progressi proseguendo con la fisioterapia e gli esercizi. La possibilità di muovere autonomamente l’arto è fondamentale per rendere nuovamente tonici i muscoli e gli altri tessuti.

I risultati ottenuti dai ricercatori dovranno essere verificati e approfonditi da nuove ricerche scientifiche. Se confermati, dimostrano che qualche nervo continua a funzionare, seppure meno efficacemente, quando si verifica un danno spinale. Sulla base di questo studio e di altri simili si potrebbero sviluppare nuovi sistemi da innestare a monte e a valle del danno nel midollo spinale per ripristinare, almeno in parte, il passaggio delle informazioni dal cervello alle terminazioni nervose. I pazienti hanno recuperato parzialmente la capacità di controllare alcune funzioni sessuali e della vescica. I medici ricordano che non si tratta comunque di una cura, ma di una soluzione per ridurre le difficoltà che deve affrontare quotidianamente una persona con paralisi.

La ricerca è costata circa 2 milioni di dollari ed è stata finanziata dagli Istituti Nazionali di Sanità statunitensi, dalla fondazione di Dana e Christopher Reeve (l’attore che interpretò Superman in una serie di film degli anni Settanta e Ottanta, rimasto paralizzato dopo una caduta da cavallo e morto nel 2004) e da alcune organizzazioni senza scopo di lucro. Entro fine anno dovrebbe essere avviata una nuova ricerca che coinvolgerà altri otto pazienti.