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  • Mercoledì 19 marzo 2014

La teoria dell’incendio sul volo scomparso

È circolata molto online nelle ultime ore e spiegherebbe credibilmente diverse cose sul volo MH370, ma non tutta la ricostruzione regge

Tra le teorie più discusse sul volo MH370 di Malaysia Airline, scomparso nelle prime ore dell’8 marzo mentre stava sorvolando il Golfo di Thailandia in viaggio verso Pechino (Cina) da Kuala Lumpur (Malesia), da alcune ore c’è quella di Chris Goodfellow, un pilota statunitense con 20 anni di esperienza secondo il quale il Boeing 777 non sarebbe stato dirottato, ma avrebbe subìto un incendio a bordo. È la teoria che è circolata di più online in questi giorni e ha il pregio di essere credibile e realistica: non prevede colpi di scena assurdi, manovre complicatissime, complotti, piani elaborati. Goodfellow l’ha pubblicata e spiegata in un lungo post su Google+, successivamente ripreso dal sito di Wired, che ha contributo a farlo circolare e a fare aprire un confronto molto interessante online, fino a essere smontato da Jeff Wise di Slate, che da giorni segue con articoli molto efficaci la storia senza precedenti del volo MH370.

La teoria di Goodfellow
Goodfellow spiega che la chiave per capire che cosa è successo all’aereo è l’improvvisa virata che fu compiuta sul Golfo di Thailandia. Stando alla rotta, il volo doveva procedere verso nord-est, raggiungere le coste del Vietnam, sorvolare il paese e poi continuare verso la Cina. Le cose invece andarono diversamente, almeno stando alle rilevazioni dei radar militari malesi (quelli primari, che rilevano la presenza di oggetti in volo senza ricevere informazioni dagli stessi): il volo MH370 virò improvvisamente a ovest, seguendo una nuova rotta che in poco tempo lo portò sopra lo Stretto di Malacca, a centinaia di chilometri di distanza da dove si sarebbe dovuto trovare per raggiungere il Vietnam.

Langkawi
Il pilota del Boeing 777, Zaharie Ahmad Shah, era un pilota esperto con oltre 18mila ore di volo. Secondo Goodfellow, Shah aveva in testa un pensiero costante e comune a tutti i piloti che trasportano centinaia di persone da una parte all’altra: qual è l’aeroporto più vicino? Dove vado lungo la rotta se qualcosa va storto? I piloti spesso si vantano di sapere in qualsiasi momento qual è l’aeroporto più vicino al posto in cui si trovano. “Aeroporti dietro di noi, aeroporti da incrociare, aeroporti davanti a noi. Sono sempre nella nostra testa. Sempre. Se succede qualcosa, non vuoi metterti a pensare che cosa dovrai fare: sai già che cosa devi fare”, scrive nel suo post Goodfellow.

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Secondo Goodfellow, Zaharie stava cercando di raggiungere l’aeroporto di Palau Langkawi, che ha una pista lunga circa quattro chilometri, accesso dal mare ed è praticamente senza ostacoli intorno. Avrebbe scelto quel luogo, su un’isola a ovest delle coste della Malesia, perché per tornare a Kuala Lumpur avrebbe dovuto affrontare un viaggio più lungo e, soprattutto, sorvolare un’area montuosa con picchi intorno ai 2400 metri. Tagliando in orizzontale da est a ovest dal Golfo di Thailandia a Langkawi, il terreno era più amichevole e dava meno preoccupazioni considerata l’emergenza che si era creata a bordo. Insomma, nel punto in cui si trovava, era l’aeroporto più vicino e facile da raggiungere.

Incendio
Il volo MH370 smise di comunicare a terra a causa di un grave incendio a bordo, ipotizza Goodfellow. Quando si verifica questa condizione e si teme che alcune strumentazioni possano essere state danneggiate, di solito pilota e primo ufficiale disattivano buona parte dei dispositivi e procedono a riavviarli uno per uno, in modo da evitare ulteriori cortocircuiti o il danneggiamento di altri strumenti. È possibile che nella difficile fase di emergenza in cui si trovavano, i piloti non abbiano riavviato da subito gli strumenti di comunicazione a terra. La priorità in casi simili è mantenere l’aereo in volo e governare la sua direzione. (C’è un detto in inglese che usano spesso i piloti e che riassume efficacemente le priorità a bordo: “aviate, navigate and lastly communicate”.)

Goodfellow spiega che su un aereo si possono sviluppare due tipi di incendio. Il primo può essere causato dal surriscaldamento di uno dei dispositivi elettronici. In questo caso le fiamme si sviluppano lentamente e in cabina di pilotaggio difficilmente si accumula fumo a tal punto da rendere ingestibile la situazione. Il secondo tipo di incendio si sviluppa a causa di problemi meccanici ed è molto più difficile da gestire. Un’ipotesi per il volo MH370 è che si sia surriscaldato uno pneumatico del carrello anteriore durante il decollo, che sia esploso e abbia iniziato a bruciare lentamente. A circa 40 minuti dal decollo il molto fumo prodotto dalla gomma e accumulato nel vano del carrello avrebbe raggiunto la cabina di pilotaggio, mettendo a dura prova la capacità dei piloti di continuare a governare il Boeing 777. Non potendo usare le maschere a ossigeno, pericolose se c’è un incendio a bordo, i piloti avrebbero forse potuto usare delle mascherine per respirare, ammesso che ce ne fossero in cabina.

Cambio rotta
Il pilota sarebbe intervenuto sul computer di bordo e avrebbe inserito le coordinate per cambiare completamente rotta, sperando di raggiungere la pista più vicina e adatta per fare atterrare un aeroplano come un Boeing 777. E la pista più probabile, per Goodfellow, era quella di Palau Langkawi. Il fumo in cabina avrebbe però prevalso e l’aereo avrebbe continuato a volare, ormai senza controllo umano, ma solo con il pilota automatico per migliaia di chilometri verso l’oceano Indiano, prima di schiantarsi.

Dirottamento
Goodfellow dice di essere molto scettico sull’ipotesi di un dirottamento del volo MH370. Nell’ultima comunicazione vocale prima della sua scomparsa, viene inviato al centro di controllo del traffico aereo un normale “Buona notte”, un saluto visto che spostandosi dalla Malesia verso il Vietnam l’equipaggio avrebbe poi dovuto iniziare una nuova comunicazione con un altro centro di controllo, di un’altra area geografica. Quel messaggio indica che tutto stava procedendo nella norma a bordo, anche perché i piloti sanno bene che ci sono tantissimi modi per inviare segnali di emergenza o fare capire che qualcosa sta andando storto ai centri di controllo, se si trovano sotto la minaccia di un dirottamento.

È probabile che l’incendio fosse già in corso quando fu comunicato il “Buona notte”, ma che i piloti non se ne fossero ancora resi conto. Questo spiegherebbe anche la disattivazione dell’ACARS, il sistema che in automatico invia ai centri di manutenzione della propria compagnia aerea informazioni sullo stato dell’aereo, su eventuali anomalie o parametri da controllare quando sarà atterrato. Escludere l’ACARS dalla cabina di pilotaggio richiede diverse procedure e secondo Goodfellow è più probabile che si fosse semplicemente rotto, a causa dell’incendio.

Cambio di quota
A sostegno della teoria del dirottamento si è parlato molto del fatto che il volo MH370 abbia cambiato repentinamente quota, passando da circa 10mila metri a circa 13.500 metri in poco tempo, indice di un intervento diretto da parte di chi stava pilotando. Il dato è stato ottenuto analizzando le rilevazioni dei radar primari, quindi non è molto attendibile. Ipotizzando che le cose siano comunque andate così, Goodfellow spiega che il cambio di quota potrebbe essere stato giustificato dalla necessità di raggiungere in breve tempo un’altitudine in cui l’ossigeno è più rarefatto, nel tentativo di fare spegnere più facilmente l’incendio. Ma un Boeing 777 non è fatto per volare stabilmente a quote molto più alte e questo potrebbe avere provocato uno stallo, causando una rapida discesa dell’aeroplano, ristabilizzato a fatica dai piloti intorno agli 8mila metri.

Pochi dubbi
Allo stato delle conoscenze, Goodfellow dice di non avere dubbi: “Il capitano Zaharie Ahmad Shah era un eroe alle prese con una situazione impossibile e stava cercando di portare l’aeroplano a Langkawi”. Per questo motivo, conclude dicendo di essere rimasto sorpreso dal comportamento dei media, che per giorni hanno identificato nell’equipaggio la possibile causa della sparizione dell’aereo, anche senza avere grandi elementi a sostegno di questa teoria.

Che cosa non torna?
Anche grazie a Wired, il post di Goodfellow è stato condiviso migliaia di volte ed è al centro di numerose discussioni, con confronti accesi e stimolanti come quello realizzato dagli iscritti a Reddit. Tra i molti commenti e le analisi alla versione di Goodfellow c’è un articolo di Jeff Wise pubblicato su Slate nel quale spiega perché la versione del pilota non regge.

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Stando alle rilevazioni dei radar militari, dopo essersi diretto dal Golfo di Thailandia verso ovest, superando la Malesia e raggiungendo più o meno la zona di Langkawi, l’aeroplano ha cambiato rotta almeno un altro paio di volte, spostandosi verso nord-est e poi per un lungo tratto verso nord-ovest. Questi cambiamenti di rotta, spiega Wise, non possono essere spiegati con la teoria di Goodfellow secondo cui l’aereo avrebbe continuato a volare da solo con l’autopilota, dopo che il fumo aveva fatto perdere i sensi e forse causato la morte dei piloti.

Inoltre, le deboli tracce sull’attività dell’aereo rilevate da un satellite puntato sulla zona hanno permesso di identificare due possibili traiettorie seguite dall’aeroplano. Sono due archi di migliaia di chilometri: il primo punta verso nord e raggiunge quasi il Kazakistan, l’altro va verso sud e si spinge molto al largo sull’oceano Indiano. Entrambe le direzioni sono diverse dall’ultima rotta che secondo Goodfellow il pilota di Malaysia Airlines avrebbe inserito per raggiungere Langkawi. Senza un intervento umano, l’aereo avrebbe continuato a spingersi verso ovest, non verso nord o sud come suggeriscono i due archi identificati con i dati satellitari.