Le armi “intelligenti”

È entrato in commercio negli Stati Uniti uno dei primi modelli in grado di sparare solo se impugnato dal suo proprietario: costa molto e fa discutere

L’Armatix iP1 è probabilmente la prima pistola messa in commercio a richiedere un accessorio obbligatorio per funzionare: un orologio digitale nero. Al suo interno c’è un chip elettronico, che “sblocca” la pistola, una calibro .22, rendendola utilizzabile. Senza l’orologio, una luce sul manico rimane rossa e non è possibile sparare.

È il primo modello commerciale di una cosiddetta “arma intelligente” (smart gun), che cioè usa la tecnologia per garantire che solo il proprietario possa utilizzarla. Come racconta il Washington Post, l’Armatix iP1 – prodotta da una società tedesca – è comparsa di recente in una grande armeria della California, il primo negozio a venderla in tutti gli Stati Uniti. Al di là del successo commerciale di questo primo modello, la sua comparsa «è vista come un punto di svolta negli sforzi per ridurre la violenza causata dalle armi, i suicidi e i ferimenti accidentali. Chi la promuove paragona le armi intelligenti agli air bag delle auto, un’aggiunta che trasforma il prodotto e che i proprietari di armi richiederanno. Ma i sostenitori del diritto a possedere armi si stanno già difendendo, chiedendo che cosa succede se la tecnologia non funziona proprio all’arrivo di un intruso».

Le ricerche sulle cosiddette “armi intelligenti” esistono da parecchi anni: sistemi di controllo per ridurre i danni causati da colpi accidentali sono sempre esistiti. L’idea di utilizzare la tecnologia in questo campo si è diffusa in particolare a partire dai primi anni Novanta. In quel periodo, le grandi case produttrici di armi come Colt svilupparono i primi modelli e trovarono politici molto interessati alla novità. L’amministrazione Clinton fece un accordo con Smith & Wesson per fare ricerche nel settore, poi finito in nulla per la forte opposizione della potente lobby americana delle armi NRA, e nel 2000 l’allora governatore democratico del Maryland, Parris Glendening, provò – senza riuscirci – a far passare una legge che rendeva obbligatorie le “armi intelligenti” nello stato.

Molte altre iniziative seguirono negli anni successivi. Nel 2004, lo stato del New Jersey annunciò di essere in corsa per un finanziamento federale di 1,1 milioni di dollari per sviluppare una tecnologia sulle “armi intelligenti” al New Jersey Institute of Technology (NJIT): in quella università il professor Michael Recce sviluppava da tempo un sistema di riconoscimento basato sull’impugnatura del manico, anche grazie a fondi dello stato, che nel dicembre 2002 aveva approvato una legge molto discussa secondo cui, tre anni dopo l’introduzione di modelli commerciali di armi intelligenti, tutti gli altri tipi tradizionali di arma sarebbero stati messi al bando.

L’attenzione per i progetti di armi intelligenti ritorna periodicamente sulla stampa americana negli ultimi quindici anni. La strage in una scuola elementare di Newtown, il 14 dicembre 2012, è stato l’ultimo episodio che ha fatto tornare di attualità il tema, a margine delle feroci battaglie politiche per arrivare a una nuova legislazione sulle armi negli Stati Uniti. A novembre 2013, un famoso investitore della Silicon Valley, Ron Conway, ha annunciato un concorso con un premio di un milione di dollari per una tecnologia utilizzabile per le armi intelligenti.

Le critiche
Ci sono due sistemi principali sviluppati di recente per rendere un’arma riconoscibile solo al suo possessore. L’Armatix utilizza un chip RFID (Radio Frequency IDentification) e associa alla pistola un altro oggetto che deve essere indossato dal possessore dell’arma, come un anello o un orologio. La strada seguita dal NJIT nel New Jersey si basa invece su una serie di sensori che sono in grado di registrare il modo in cui il proprietario impugna abitualmente l’arma. Altri modelli, come Intelligun di Kodiak Arms – attualmente in fase di preordine – utilizza invece le impronte digitali, ma sono in via di sviluppo sistemi che usano il controllo vocale o perfino una applicazione per smartphone.

Uno dei problemi principali dell’Armatix iP1, il primo modello messo in commercio, è il costo piuttosto elevato: il prezzo è di 1.399 dollari, a cui bisogna aggiungerne altri 399 per l’orologio. Il totale è tra il doppio e il triplo del prezzo dei modelli più diffusi negli Stati Uniti. Ancora più importante, molti appassionati di armi sembrano non fidarsi di questi sistemi: il Washington Post riporta opinioni espresse sui forum secondo cui non sarebbe una scelta intelligente affidare la propria sicurezza a un “gadget elettronico.”

Da parte sua, la potente NRA (National Rifle Association) è decisamente contraria a tutte le tecnologie di questo tipo, perché ci vede la possibilità di una maggior intrusione del governo nella vita dei cittadini – in accordo con la forte retorica antigovernativa, vicina alle frange più estreme del partito repubblicano, che contraddistingue la NRA almeno dagli anni Sessanta – e disapprova esplicitamente l’introduzione (addirittura obbligatoria) di “caratteristiche costose e inaffidabili” che potrebbero “fondersi con l’agenda degli oppositori delle armi”.

Ma le “armi intelligenti” ricevono critiche anche da associazioni per la riduzione della violenza legata alle armi. Secondo alcune di queste, gran parte degli omicidi avviene tra persone che si conoscono e la “personalizzazione” delle armi avrebbe quindi pochi effetti. Oltre a questo, il vero problema sono le oltre 300 milioni di armi già in circolazione negli Stati Uniti e non le modalità di sviluppo dei nuovi modelli. Infine, armi presentate come più affidabili, più sicure e in grado di evitare incidenti – come quelli che riguardano i bambini – potrebbero portare in fin dei conti a un aumento delle vendite di armi e alla possibilità che gli oppositori ammorbidiscano la loro opinione contraria.

Foto: un prototipo di “arma intelligente” della Armatix a una fiera di produttori di armi a Norimberga, Germania, 12 marzo 2010.
(JOERG KOCH/AFP/Getty Images)

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