Che cosa succede con lo spread

Tre risposte sulla questione, ora che per la prima volta dal 2011 è sceso sotto i 200 punti

Alle 17.30 di venerdì 3 gennaio, lo spread, ossia la differenza tra il rendimento dei titoli di stato decennali italiani e tedeschi, ha chiuso a 197 punti base: è la prima volta che scende sotto i 200 punti base dal luglio del 2011. «È una grande notizia», ha commentato venerdì sera il presidente del consiglio Enrico Letta. Che sia una notizia positiva non c’è dubbio, ma diversi commentatori hanno espresso dubbi su “quanto” lo sia davvero.

Perché si è abbassato?
Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha spiegato venerdì 3 gennaio che lo spread si stava abbassando perché i mercati «apprezzano l’operato del governo, il suo impegno per il mantenimento della stabilità dei conti e per l’avvio delle riforme». È probabile che questi fattori siano stati d’aiuto, ma ci sono anche altre cause meno dipendenti dall’operato del governo per giustificare l’abbassamento di questi giorni.

Ad esempio: l’uscita dalla recessione e la ripresa economica un po’ in tutta Europa che, in un modo o nell’altro, avrà degli effetti anche in Italia. Oppure le grandi immissioni di liquidità che negli ultimi mesi hanno compiuto le banche centrali di Stati Uniti e Giappone. Questi due istituti, soltanto nel 2013, hanno immesso sul mercato circa 1.500 miliardi di dollari. Molti investitori, alla ricerca di titoli che offrissero un buon rendimento, hanno deciso di investirli proprio nel debito di paesi come Italia e Spagna.

A questo proposito bisogna notare che lo spread dei titoli spagnoli (che venerdì è sceso fino a 192 punti base) si sta abbassando ancora più velocemente di quello italiano. Secondo Saccomanni questa differenza deriva dalla maggiore incertezza che ci sarebbe sulla tenuta del governo italiano rispetto a quello spagnolo. Quest’ultimo, infatti, gode di una maggioranza parlamentare molto più solida di quella che c’è in italia.

Quali saranno gli effetti?
Che lo spread si abbassi, in realtà, non conta molto: quello che è importante è che si abbassino i rendimenti, cioè quanto lo stato paga di interesse sui titoli di stato. Non sempre spread e rendimenti si abbassano contemporaneamente. Lo spread, infatti, essendo la “differenza” tra due valori può diminuire perché uno dei due valori scende o perché l’altro sale. In altre parole: lo spread può diminuire perché il rendimento sui titoli di stato italiani si abbassa, oppure perché si alza quello sui titoli tedeschi. Al momento, comunque, non sembra sia questo il caso. Ci sono altre incertezze (le vedremo tra poco) ma il rendimento dei titoli di stato italiani è effettivamente sceso sotto il 4 per cento (ed è questa la cosa importante).

Un altro fatto significativo è che l’abbassamento dello spread fa diminuire il rendimento dei titoli di stato collocati sul mercato a partire dal giorno dell’abbassamento. Sui titoli collocati in precedenza lo stato continua a pagare i vecchi tassi di interesse. Per ottenere un risparmio, quindi, è necessario che lo spread (e quindi i rendimenti) restino bassi per un certo lasso di tempo. O almeno che i titoli collocati quando i rendimenti sono bassi siano a lunga scadenza. In questo modo non dovranno essere rinnovati nel breve periodo, quando potenzialmente i rendimenti potrebbero essere tornati a crescere. Per farsi un’idea basta pensare che in un anno il ministero dell’Economia rinnova circa 450-500 miliardi di debito pubblico, cioè più o meno un quarto del totale (quindi: per pagare i nuovi e bassi rendimenti su almeno un quarto del debito pubblico, lo spread dovrebbe rimanere così basso per almeno un anno).

Un altro degli effetti potenziali dell’abbassamento dello spread, ha sottolineato Saccomanni, è quello sulle banche: con uno spread più basso gli istituti di credito dovrebbero essere facilitati nel fare prestiti. Il meccanismo è piuttosto complicato, ma, in poche parole, funziona così: le banche italiane hanno i portafogli pieni di titoli di stato italiani. Più i titoli di stato che possiedono sono ritenuti rischiosi, più le banche saranno costrette a finanziarsi a un tasso elevato (perché percepite “in bilico” come i titoli di stato che ne costituiscono il portafoglio). Quando invece quegli stessi titoli cominciano ad essere percepiti come meno rischiosi (e quindi il loro rendimento si abbassa), allora per le banche diviene più facile finanziarsi e quindi, in teoria, dovrebbe diventare più facile prestare denaro e ad un tasso più basso ad imprese e famiglie.

E il “tesoretto”?
Saccomanni e Letta hanno parlato della possibilità che l’abbassamento dello spread produca un “tesoretto”, cioè un risparmio di alcuni miliardi di euro (che non hanno quantificato con precisione). Questo capitale potrebbe essere utilizzato per intraprendere misure a favore della crescita, come ad esempio un abbassamento delle tasse. Diversi commentatori, però, sono piuttosto scettici sull’entità (e se veramente ci sarà un qualche tipo di risparmio significativo). Tra i più critici, l’analista finanziario Mario Seminerio, che ha partecipato ieri alla puntata del programma Focus Economia, su Radio 24.

Il primo motivo di scetticismo è che, come ha ricordato lo stesso Saccomanni, la legge di stabilità approvata a dicembre metteva già in conto un abbassamento dello spread sotto i 200 punti base e quello dei rendimenti sotto il 4 per cento. Non ci sono quindi sorprese o arrivi di denaro inaspettato. Sarebbe stato grave il contrario: se lo spread non si fosse abbassato i conti della legge di stabilità sarebbero risultati sballati.

Nella legge di stabilità, inoltre, l’economia italiana è prevista in crescita dell’1,1 per cento, quasi il doppio delle stime di tutti gli organismi internazionali e dell’ISTAT, secondo cui la crescita si fermerà allo 0,6-0,7 per cento (qui potete trovare un grafico con tutte le varie previsioni di crescita). Se le previsioni del governo dovessero rivelarsi troppo ottimistiche, allora l’ipotetico “tesoretto” difficilmente potrà essere utilizzato per fare manovre sulla crescita. Piuttosto finirebbe con l’essere utilizzato per compensare i buchi nella manovra causati dalla crescita inferiore alle aspettative.

Infine c’è da considerare l’inflazione, che in questo periodo ha raggiunto un minimo storico, lo 0,7 per cento. Più l’inflazione è alta, meno pagare gli interessi sul debito è oneroso (vengono ripagati con denaro che “vale di meno”, rispetto a quando si è ricevuto il prestito). Un anno fa l’inflazione era tra il 2 e il 3 per cento, quindi molto più alta di oggi. A parità di tassi di interesse, quindi, era meno costoso ripagare il debito un anno fa rispetto ad oggi. Per capire se davvero l’abbassamento dello spread porterà anche ad un risparmio nella spesa per interessi bisognerà quindi vedere come andrà l’inflazione nel prossimo anno e fare un po’ di matematica, per vedere se l’abbassamento dei rendimenti compenserà quello dell’inflazione.