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  • Venerdì 27 dicembre 2013

5 aggiornamenti sulla crisi in Turchia

Erdoğan ha minacciato di nuovo la magistratura; un suo alleato lo ha mollato; la lira turca è arrivata al minimo storico: le cose da sapere sul grande scandalo di questi giorni

Turkey's ruling Justice and Development Party (AKP) MP and former Minister of Culture and Tourism Ertugrul Gunay announces his resignation from the AKP party during a press conference in Ankara December 27, 2013. Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan replaced nearly half his cabinet in a dramatic reshuffle after a spreading graft scandal forced the resignation of three top ministers and threatened the premier's own hold on power. AFP PHOTO / ADEM ALTAN
Turkey's ruling Justice and Development Party (AKP) MP and former Minister of Culture and Tourism Ertugrul Gunay announces his resignation from the AKP party during a press conference in Ankara December 27, 2013. Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan replaced nearly half his cabinet in a dramatic reshuffle after a spreading graft scandal forced the resignation of three top ministers and threatened the premier's own hold on power. AFP PHOTO / ADEM ALTAN

La crisi politica che coinvolge da due settimane la Turchia – considerata la più grave degli ultimi dieci anni e della carriera politica del potente primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdoğan – ha avuto nuovi sviluppi nelle ultime 24 ore. Un riassunto delle puntate precedenti si può leggere qui: in sintesi, un’inchiesta per corruzione e appalti ha colpito un pezzo importante del partito di governo, avvicinandosi anche allo stesso Erdoğan; ha messo contro la politica e la magistratura e ha evidenziato una spaccatura senza precedenti nel partito di governo, l’AKP, e nei movimenti politici islamisti.

1 – Il Consiglio di Stato ha annullato un controverso regolamento che obbligava la polizia giudiziaria a informare il governo dello stato delle indagini. La decisione è particolarmente attuale perché pochi giorni fa il procuratore a capo dell’inchiesta ha ordinato una “seconda ondata” di arresti che la polizia non ha mai eseguito. Secondo alcune voci riprese dalla stampa, non confermate, tra gli arrestati ci sarebbero stati anche i due figli di Erdoğan. Il procuratore ha detto che l’inchiesta ormai non è più nelle sue mani e che, disobbedendo agli ordini, la polizia di Istanbul «ha commesso un reato e ha dato modo ai sospettati di prendere contromisure e inquinare le prove a loro carico». Stamattina è circolata una voce, non confermata, secondo cui i procuratori avrebbero chiesto alla gendarmeria militare di effettuare i nuovi arresti.

2 – L’esercito turco ha fatto sapere di non voler essere coinvolto in questa “crisi politica”. È un fatto molto rilevante perché l’esercito turco storicamente ha spesso interferito nella vita politica turca, facendo valere la sua grande influenza e arrivando più di una volta a rimuovere dal potere un governo democraticamente eletto o costringerlo alle dimissioni. L’esercito in Turchia è storicamente il garante della laicità dello Stato, e per questo si è sempre opposto al conservatore Erdoğan e al suo partito filo-islamico: il fatto che oggi non voglia intervenire è visto come la dimostrazione che lo scontro in corso stia avvenendo tutto dentro il campo dei religiosi: non è uno scontro tra islamisti e laici ma è uno scontro tra due diversi movimenti islamisti.

3 – Un’altra notizia di oggi conferma la tesi di cui sopra: tre parlamentari dell’AKP – la formazione politica di Erdoğan – hanno lasciato il partito. Nei giorni scorsi erano stati rinviati a un organismo disciplinare del partito dopo aver espresso pubblicamente delle critiche all’atteggiamento di Erdoğan nei confronti della polizia e dell’indagine. Uno dei tre deputati, l’ex ministro della Cultura Ertuğrul Günay, lo scorso giugno si era anche detto solidale con i manifestanti che a Istanbul protestavano contro la distruzione del parco Gezi. Altri parlamentari dell’AKP in questi giorni hanno criticato Erdoğan e alcuni gli hanno chiesto di dimettersi, altro fatto senza precedenti nei suoi dieci anni di governo.

4 – Il primo ministro Erdoğan per il momento non sembra avere intenzione di cambiare approccio. Dopo aver giudicato l’inchiesta praticamente un golpe – opera di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” con l’obiettivo di creare “uno stato nello stato” – oggi ha detto che se avesse il potere di farlo, metterebbe subito sotto indagine la magistratura. Ha detto anche che “se questo attacco avrà successo, tutti i governi futuri saranno ricattabili” e che “faremo quello che sarà necessario, lo vedrete quando sarà necessario”. Erdoğan fa riferimento soprattutto a Fethullah Gulen, influente studioso residente negli Stati Uniti e fondatore di un movimento politico con molti aderenti nella polizia e nella magistratura.

5 – Intanto la lira turca continua a risentire dello scandalo e delle sue conseguenze politiche: la moneta turca ha toccato un nuovo livello minimo nel cambio con il dollaro e gli indici di borsa sono scesi al livello minimo degli ultimi 17 mesi.

foto: Ertuğrul Günay. (AFP PHOTO / ADEM ALTAN)