Perché Khalid Chaouki protesta a Lampedusa

Un deputato del PD di origini marocchine si trova da domenica nel centro di soccorso dove i migranti dovrebbero stare pochi giorni e invece trascorrono anche tre mesi

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse
08-10-2013 Roma
Politica
Camera - proposta di legge PD su flussi migratori
Nella foto: Khalid Chaouki PD
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
08-10-2013 Rome
Politics
Chamber of Deputies - PD proposal on immigration
In the picture: Khalid Chaouki PD
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 08-10-2013 Roma Politica Camera - proposta di legge PD su flussi migratori Nella foto: Khalid Chaouki PD Photo Mauro Scrobogna /LaPresse 08-10-2013 Rome Politics Chamber of Deputies - PD proposal on immigration In the picture: Khalid Chaouki PD

Khalid Chaouki è un giornalista e un parlamentare del Partito Democratico, nato in Marocco nel 1983. Da domenica 22 dicembre si trova nel centro di soccorso di Lampedusa, di cui i media – non solo italiani – si sono occupati negli scorsi giorni: il 18 dicembre, infatti, il TG2 ha trasmesso un video girato con un telefonino da uno dei migranti in cui si vedevano alcune persone al centro del cortile senza vestiti, in fila, pronte a essere sottoposte alla disinfestazione da scabbia. I responsabili del centro sono stati rimossi dal loro incarico ma, come spiega Chaouki in un articolo scritto dal centro e pubblicato oggi sulla Stampa, le condizioni di vita dei migranti all’interno del centro restano critiche e, in molti casi, la loro permanenza risulta semplicemente illegale.

Quello di Lampedusa infatti non è un CIE, un Centro di Identificazione ed Espulsione, ma un Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (CPSA). I CIE, chiamati così con il decreto legge 92 del 23 maggio 2008, sono gli ex Centri di Permanenza Temporanea ed assistenza (CPT): strutture in cui, grazie alla convalida di un giudice di pace, gli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione vengono trattenuti. Questi centri hanno l’obiettivo di «evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari». In base alla legge n. 129 del 2011, il termine massimo di permanenza degli stranieri in questi centri va dai 180 giorni ai 18 mesi complessivi.

Oltre ai CIE ci sono i cosiddetti Centri di Accoglienza (CDA) istituiti dalla legge n. 563/1995, due dei quali sono stati definiti Centri di Primo Soccorso e Accoglienza (CPSA) con un decreto interministeriale emanato il 16 febbraio 2006. I Centri di Primo Soccorso e Accoglienza, come quello di Lampedusa, e i Centri di Accoglienza sono strutture «destinate a garantire un primo soccorso allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale. L’accoglienza nel centro è limitata al tempo strettamente necessario per stabilire l’identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l’allontanamento». Chaouki spiega quindi che «per legge, le persone possono rimanervi per un massimo di 96 ore, non uno, due o addirittura tre mesi».  

Non avrei mai immaginato di passare una notte insieme ai tanti profughi in questo centro, che pure, negli ultimi anni, ho visitato altre volte. La decisione forte – lo ammetto – che ho preso volendomi rinchiudere qui dentro, è nata dopo aver visto il volto dei sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre. Sette giovani tra cui una ragazza, eritrei, salvi per miracolo e oggi ancora rinchiusi qui dentro. Dopo aver salutato alcuni dei superstiti di quel tragico 3 ottobre, ho voluto conoscere «Khalid», nome di fantasia del giovane siriano che ha documentato le scene vergognose di qualche giorno fa rilanciate dal Tg2. Era pallido, seduto all’angolo di una piccola stanza.

La prima cosa che mi ha detto è stata «Grazie per la tua visita». Mi ha fatto accomodare di fianco a lui. Siamo quasi coetanei e parliamo entrambi l’arabo. Era pallido perché da due giorni è in sciopero della fame. «Non ce l’ho con gli operatori di questo centro. Ci hanno sempre trattato nel miglior modo possibile. Voglio solo uscire di qui perché non ce la facciamo più!». Khalid, insieme ai suoi compagni siriani, è trattenuto qui dal 3 novembre. In teoria sarebbero bloccati per testimoniare contro il trafficante messo sotto indagine.

(Continua a leggere sulla Stampa)