Britten per Britten

Il più grande compositore britannico del Novecento era nato cento anni fa: Repubblica lo ricorda con un suo testo sul proprio lavoro

In occasione del centenario della nascita del compositore, pianista e direttore d’orchestra Benjamin Britten, oggi Repubblica ha pubblicato un passaggio del libro “La musica non esiste nel vuoto”, che riporta il testo del discorso tenuto da Britten alla cerimonia di ricevimento del Premio Aspen nel 1964 tradotto per la prima volta in italiano. Spiega che la musica deve entrare in relazione con le persone e con la società per essere “lo specchio del mondo”.

Britten è considerato il più importante compositore britannico del Novecento. Non faceva parte delle avanguardie, anche se mantenne un rapporto con parte delle loro scelte stilistiche, ispirandosi tra gli altri ad Alban Berg e a Dmitrij Dmitrievič Šostakovič. Tra le sue opere più importanti ci sono “Peter Grimes”, “Sogno di una notte di mezza estate” e il “War Requiem” del 1961.

Certo, scrivo musica per gli esseri umani, in modo deciso e diretto. Prendo in considerazione le loro voci: l’estensione, la potenza, la sottigliezza e le potenzialità di colore. Esamino gli strumenti che essi suonano: le loro sonorità più espressive e più adatte, se ho inventato uno strumento (ad esempio le tazze da tè a percussione di
Noye’s Fludde), l’ho fatto avendo in mente il piacere che i giovani esecutori ne avrebbero potuto ricavare. Prendo anche in esame le circostanze umane della musica, del suo ambiente e le loro convenzioni. Ad esempio, cerco di scrivere musiche che abbiano efficacia drammatica per il teatro: certo non penso che un’opera sia migliore perché non funziona in scena (c’è chi pensa che l’effetto sia per forza superficiale).

E sono sicuro che la musica migliore da ascoltare in una grande chiesa gotica sia la polifonia che è stata scritta per essa, e calcolata per la sua risonanza. Questo è stato il mio approccio nel War Requiem:l’ho pensato per un’acustica grande e piena di riverbero e là è dove il lavoro suona meglio. Il fatto è che io credo nella creazione su commissione, anche se ammetto che ci sono occasioni che possono intimidire. Non invidio Purcell quando componeva la sua Ode to Celebrate King James’s Return to London from Newmarket. D’altra parte quasi ogni brano che io abbia scritto è stato creato con un’occasione precisa, e di solito per interpreti precisi, per consuetudineesseri umani. Forse vi chiedete: fino a dove un compositore può ascoltare le domande delle persone, dell’umanità?

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