Di cosa vergognarsi, su Lampedusa

Di non comportarsi seriamente, e di temere più i migranti vivi dei migranti morti, scrive Adriano Sofri

Migrants board a ship heading to Sicily, in Lampedusa, Italy, Friday, Oct. 4, 2013. A boat carrying African migrants toward Italy caught fire and capsized off the Sicilian island of Lampedusa Thursday, spilling hundreds of passengers into the sea. Over one hundred bodies were recovered but over 200 people are unaccounted-for. It was one of the deadliest accidents in recent times during the notoriously perilous crossing from Africa for migrants seeking a new life in the European Union. (AP Photo/Luca Bruno)
Migrants board a ship heading to Sicily, in Lampedusa, Italy, Friday, Oct. 4, 2013. A boat carrying African migrants toward Italy caught fire and capsized off the Sicilian island of Lampedusa Thursday, spilling hundreds of passengers into the sea. Over one hundred bodies were recovered but over 200 people are unaccounted-for. It was one of the deadliest accidents in recent times during the notoriously perilous crossing from Africa for migrants seeking a new life in the European Union. (AP Photo/Luca Bruno)

Adriano Sofri su Repubblica ha commentato così il naufragio di Lampedusa e quello che dovrebbe dire a chi è “rigorosamente contrario all’immigrazione”.

Ci si può commuovere tutti i giorni, o c’è bisogno di una pausa, una tregua –non so, una settimana, almeno un paio di giorni- fra una tragedia e l’altra? O commuoversi comunque, quando la cifra dei morti è così esorbitante, e ci sono i bambini (le donne incinte ci sono sempre), e c’è ogni volta un dettaglio nuovo. Questa volta è il fuoco acceso dentro una carretta con 500 persone, come accendere un falò in un autobus all’ora di punta, con le porte che non si aprono. Riescono sempre a procurarsi un dettaglio nuovo, queste disgrazie. A Catania è in rianimazione il migrante eritreo scampato a tutto, anche alla spiaggia di Sampieri coi cadaveri allineati dei suoi compagni, e investito da un’auto. I dettagli di ieri saranno troppi per raccoglierli, i soccorritori pensano a soccorrere, magari piangendo, e i superstiti, una volta rifocillati e sbattuti in qualche Centro di Indifferenza ed Espulsione, non saranno più interessanti, coi confini spinati e i deserti e i mari che hanno attraversato, i cadaveri che hanno urtato, le preghiere che hanno pregato. Non avranno voglia di raccontarlo, e non troveranno chi abbia voglia di starli a sentire. Guarderanno l’Isola dei famosi, la sera, e capiranno tutto.

Dunque si è quasi offesi, da una giornata simile: centinaia di morti, l’ennesima, più lunga fila di sacchi da monnezza, non si può pretendere che ci commuoviamo ogni giorno che Dio manda, perbacco, e all’indomani di un allegro rilancio del governo, che prima era di necessità e ora è d’amore e d’accordo. Che c’entra il governo con la strage della barcaccia? Niente, appunto. Niente e nessuno, c’entra. E’ stata una disgrazia. Cioè: il cinismo degli scafisti, l’imprudenza dei passeggeri, il panico di tutti. I superstiti non presentavano problemi molto gravi, ha detto un bravissimo medico, qualcuno aveva bevuto, con l’acqua salata, parecchia nafta. Non c’entra nessuno, accusare, inventarsi dei colpevoli, è un lusso da salotto. (I leghisti sanno di chi è la colpa: di due signore). Però il papa ha detto: E’ una vergogna. Allora bisogna che qualcuno si vergogni, o che ci vergogniamo tutti. Di che cosa? Di tutto: della guerra civile in Siria, del mattatoio somalo, della violenza nigeriana che ricaccia indietro i ghanesi. Ah, va bene, campa cavallo! Vediamo più da vicino, allora. Controllare meglio quel tratto di mare? Ci sono occhi meccanici cui non sfugge un branco di sardine. Chi se ne intende dice che il lavoro che fanno la nostra capitaneria, la marina militare, i pescherecci e anche i mezzi mercantili e da diporto è ammirevole, che i radar non bastano a vedere tutto, soprattutto con imbarcazioni piccole e mare mosso e sottocosta. Bene: eppure qualcosa occorre fare. Perché ieri non eravamo solo commossi fino alle lacrime, ma anche esasperati e furiosi. Perché anche piangendo, si pensa. Si pensa che in Giordania, in Libano, in Turchia, in Iraq, ci sono oggi un paio di milioni di profughi siriani, e da noi ne sono arrivati due o tremila; cui vanno sottratti -250, 300?- quelli di ieri. Si pensa che due giorni fa sono state pubblicate le nuove cifre sugli immigrati in Italia, e quattro su dieci si propongono di tornare a casa o andare altrove, e molti l’hanno già fatto. Si pensa che in Grecia, tanto più povera di noi, e tanto sorella nostra –“stessa faccia, stessa razza”- gli immigrati dall’Europa orientale e dall’Asia e dall’Africa entrano per terra e per mare in numero assai superiore ai nostri, e poi ci restano chiusi, in omaggio a Dublino, in balia dei nazisti di Alba Dorata.

(continua a leggere sulla pagina Facebook di Adriano Sofri)

foto: AP Photo/Luca Bruno