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  • Mercoledì 11 settembre 2013

La Cina contro i microblogger, ancora

Il nuovo governo è sempre più aggressivo contro gli utenti che lo criticano online, soprattutto se sono molto letti e seguiti: tra le sanzioni c'è anche il carcere

Il governo cinese sta adottando con sempre maggiore frequenza misure piuttosto dure per contrastare la diffusione di informazioni e opinioni critiche contro il governo sui siti di microblogging, soprattutto il famoso Sina Weibo che raccoglie 500 milioni di utenti. Queste misure, che arrivano anche alla detenzione carceraria, sono rivolte soprattutto ai cosiddetti “Big V”, come vengono definiti genericamente i commentatori più influenti dei siti di microblogging. “Big V” stava inizialmente per “account verificato” – tipo come su Twitter – ma da tempo si usa questa definizione anche per gli account particolarmente seguiti e popolari che non sono ufficialmente “verificati”.

Le politiche della nuova nuova leadership del Partito Comunista, guidata da Xi Jinping, sembrano mostrare come il governo di Pechino voglia rendere ancora più difficile la vita dei “Big V”, rafforzando le pene detentive in caso di “calunnia online” e cancellandone i profili nei casi di critiche eccessive. Non sempre però la definizione di “calunnia online” è chiara, e questa finisce per essere usata come un pretesto per arrestare i microblogger che criticano le politiche del governo o raccontano di episodi di corruzione che coinvolgono i funzionari di partito.

L’ultimo importante microblogger arrestato è Charles Xue, investitore statunitense di origini cinesi che scrive sotto il nome di Xue Manzi. Il 23 agosto scorso Xue è stato fermato dalle autorità con l’accusa di avere fatto sesso con una prostituta (in Cina la prostituzione è illegale). Xue potrebbe essere rilasciato giovedì, ma la polizia potrebbe anche decidere di prolungare la sua detenzione per svolgere ulteriori indagini. Secondi diversi esperti, l’arresto di Xue è il più significativo colpo alla libertà di espressione dei “Big V”: da due settimane i media cinesi hanno iniziato a screditare pubblicamente Xue, trasmettendo servizi per lo più indignati relativi al reato di prostituzione per cui è accusato.

Che il governo cinese stia usando degli espedienti per frenare le critiche al Partito Comunista è un fatto che inizia a essere riconosciuto – più o meno esplicitamente – anche da personaggi che normalmente si adeguano alle posizioni del partito. Un esempio è Hu Xijin, direttore del giornale filo-governativo Global Times, che ha scritto sul suo account su Sina Weibo: «l’uso dello scandalo sessuale, dell’evasione fiscale e di altri espedienti simili per contrastare i nemici politici è una regola nascosta e comune tra tutti i governi del mondo». Il commento, comunque, è stato rimosso poco dopo la sua pubblicazione, dice il New York Times.

Lunedì la più alta corte della Cina ha diffuso delle linee guida che danno una definizione di “calunnie online” e ne stabiliscono le pene. Queste nuove regole, sebbene garantiscano un po’ di protezione in più ai cittadini che accusano i funzionari cinesi di corruzione, hanno anche stabilito che se un messaggio viene condiviso più di 500 volte, e letto più di 5mila volte, allora il suo autore rischia fino a tre anni di carcere.

Bill Bishop, sinologo che contribuisce al blog “DealBook” del New York Times, ha detto, riferendosi ai microblogger della categoria Big V: «Alcuni di loro sono diventati più influenti di certi organi di stampa statali». Bishop ha spiegato che la rapida diffusione del microblogging in Cina è stata sfruttata anche per altri fini, e ha contribuito alla diffusione un tipo particolare di attività illegale: molte aziende hanno iniziato a offrire a politici e imprenditori servizi per screditare i loro avversari, grazie alla diffusione di messaggi falsi sui social network. Le autorità cinesi hanno detto di voler combattere questo tipo di reato e diverse persone sono state arrestate negli ultimi mesi con l’accusa di diffondere false informazioni: dai recenti sviluppi, tuttavia, si capisce come questo impegno possa risultare dannoso per la libertà di espressione dei microblogger.