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  • Domenica 14 luglio 2013

La storia di Ottavio Quattrocchi

Un uomo d'affari quasi sconosciuto in Italia, morto ieri a Milano, è stato per 20 anni al centro di uno dei più grandi scandali indiani

È morto ieri a Milano Ottavio Quattrocchi. Aveva 76 anni e in Italia quasi nessuno sapeva chi fosse, ma in India era un uomo celebre e la notizia della sua morte ha avuto grandi attenzioni. Era amico intimo della famiglia Gandhi, uomo d’affari, mediatore e intermediario: ed è stata la figura centrale di uno dei più gravi scandali politici della storia indiana recente. Venne inseguito in tutto il mondo dalle autorità indiane per quasi vent’anni, prima che le accuse contro di lui venissero archiviate nel 2005.

Ottavio Quattrocchi era nato a Mascali, in provincia di Catania, nel 1938. Arrivò in India la prima volta negli anni ’60, come rappresentante della Snamprogetti, la società di ingegneria dell’ENI. Nel 1974 Quattrocchi e la sua famiglia cominciarono a frequentare la famiglia Gandhi, la dinastia che domina la politica del paese da prima ancora che il paese nascesse. In poco tempo divennero amici di Rajiv Gandhi, di sua madre Indira, all’epoca primo ministro dell’India, e della moglie italiana di Rajiv, Sonia: come scrisse un giudice indiano, «cibo italiano e altri regali venivano spesso scambiati tra le due famiglie. Quattrocchi divenne molto vicino a Rajiv e sua moglie». Lui stesso disse in un’intervista: «Sono orgoglioso di essere amico dei Gandhi».

Ma questa amicizia aveva anche altri risvolti, oltre ai regali, almeno secondo alcuni giornalisti, politici e magistrati indiani. Vishwanath Pratap Singh, ministro delle finanze sotto il governo di Rajiv e poi suo successore, disse che lo stesso Rajiv era intervenuto per spingerlo a concedere un appuntamento a Quattrocchi e che negli accordi che riusciva a ottenere c’era l’ombra dei suoi legami «con funzionari e politici». Alcuni giornali indiani scrissero che l’influenza di Quattrocchi sul primo ministro era così elevata che quando entrava in un ufficio «i funzionari si alzavano in piedi».

Secondo alcuni giornalisti, Quattrocchi in diversi anni di attività sarebbe riuscito a far ottenere dal governo indiano circa 60 progetti alla Snam. Per quanto in molti abbiano sollevato sospetti sul metodo con cui questi appalti venivano assegnati, Quattrocchi non venne mai indagato. Almeno fino allo scandalo Bofors.

Nel 1984 il ministero della Difesa indisse una gara per assegnare una fornitura di nuovi cannoni all’esercito indiano. Il cannone prodotto dalla francese Sofma venne giudicato il prodotto più adatto. Nei test aveva dimostrato di essere in grado di sparare fin quasi a 30 chilometri, una delle condizioni che l’esercito indiano aveva richiesto per la fornitura. L’ordine, nonostante le proteste dell’esercito, venne invece assegnato all’azienda svedese Bofors, che produceva un cannone con una gittata massima di poco più di 20 chilometri.

Lo scandalo cominciò nel 1987, quando una radio svedese trasmise un’inchiesta in cui si accusava la Bofors di aver pagato tangenti per vendere i propri cannoni. In poco tempo i giornalisti indiani pubblicarono alcuni brani dei diari dell’amministratore della Bofors in cui era scritto: «Il coinvolgimento di Q. potrebbe essere un problema per via della sua vicinanza a R.». Per l’opposizione e per molti giornalisti Q. non poteva che essere Quattrocchi e R. il suo amico e allora primo ministro Rajiv Gandhi.

Lo scandalo costò a Rajiv le elezioni del 1989, che vennero vinte dal suo ex ministro delle finanze Singh – che nel frattempo era stato cacciato dal governo ed espulso dal partito, secondo alcuni proprio perché aveva cominciato ad indagare sugli appalti per la difesa, tra cui quello per i cannoni Bofors. Le elezioni del 1989 furono una delle peggiori sconfitte nella storia del Congresso Nazionale Indiano, il partito di Rajiv ora al governo e presieduto dalla sua vedova Sonia.

Le indagini sullo scandalo intanto procedevano lentamente e soltanto nel 1993 una banca svizzera rivelò il nome del titolare del conto sul quale gli investigatori ritenevano fossero passate le tangenti: si trattava di Ottavio Quattrocchi. Il Central Bureau of Investigation indiano chiese il permesso di interrogarlo e che gli venisse sospeso il passaporto. Poco prima di venire interrogato, la notte tra il 29 e il 30 luglio 1993, Quattrocchi partì da Nuova Delhi e raggiunse Kuala Lumpur, in Malesia.

Da quel giorno cominciò una specie di gara intorno al mondo tra Quattrocchi e la CBI. Quattrocchi rimase per alcuni anni in Malesia, poi tornò in Italia e quindi si spostò in Argentina. Quasi ovunque andasse la CBI cercava di ottenere la sua estradizione, ma senza mai riuscirci. Ad esempio, nel 2003, non riuscì a presentare i documenti per l’estradizione entro i termini fissati perché non aveva preso in considerazione una settimana di vacanza dei tribunali malesi. Quando in Argentina Quattrocchi venne arrestato per un mandato di cattura dell’Interpol, la CBI non riuscì a ottenere l’estradizione perché aveva presentato alcuni documenti sbagliati. Il giudice argentino condannò l’agenzia a pagare le spese del processo. Alcuni giornalisti indiani hanno sostenuto che spesso la CBI agì di proposito con lentezza e inefficienza nel presentare le varie richieste.

Il caso Bofors continuò a rientrare nel dibattito politico indiano ogni volta che nuovi documenti venivano pubblicati o quando la CBI o qualche altra autorità investigativa tentava un procedimento legale. Nel 2005 se ne tornò a parlare perché il nuovo governo guidato dal partito di Sonia Gandhi scongelò due conti bancari di Quattrocchi su cui erano depositati diversi milioni di dollari. La CBI era contraria allo scongelamento, ma prima che la Corte Suprema potesse decidere il denaro era già stato ritirato. All’epoca, Sonia Gandhi e il governo vennero duramente criticati dall’opposizione.

Dopo 24 anni dall’inizio dello scandalo e quasi più di 20 dall’apertura delle prime indagini nei confronti di Quattrocchi, il caso venne chiuso il 4 marzo del 2011, quando un tribunale archiviò tutte le accuse. Nell’ordinanza lunga 73 pagine, il giudice scrisse che la CBI, nonostante avesse speso parecchie energie per circa 21 anni, «non è stata in grado di produrre una qualunque prova legalmente solida per dimostrare le sue accuse. Inoltre, per le indagini sul caso di Quattrocchi – che avrebbe ricevuto tangenti per 640 milioni di rupie – la CBI ha speso fino al 2005 circa 2,5 miliardi di rupie, il che è un incredibile spreco di denaro pubblico».