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  • Venerdì 5 luglio 2013

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Un lungo ritratto di Francesco Totti, con molte domande

AS Roma's captain Francesco Totti reacts during his team's Serie A football match against Cagliari at Rome's Olympic Stadium on December 14, 2008. AS Roma defeated Cagliari 3-2. AFP PHOTO / FILIPPO MONTEFORTE (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
AS Roma's captain Francesco Totti reacts during his team's Serie A football match against Cagliari at Rome's Olympic Stadium on December 14, 2008. AS Roma defeated Cagliari 3-2. AFP PHOTO / FILIPPO MONTEFORTE (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

La nuova rivista online L’Ultimo Uomo ha pubblicato un lungo articolo di Daniele Manusia sulla carriera di Francesco Totti, calciatore, capitano della Roma, considerato uno dei giocatori italiani più forti di sempre. Totti ha quasi 37 anni, nell’ultima stagione ha giocato 37 partite segnando 12 gol, oggi è il calciatore in attività ad aver segnato più gol in Serie A nonché il secondo nella classifica di tutti i tempi. Ma è anche molto di più, a cominciare da un pezzo di storia di Roma e della Roma, e inizia ad avvicinarsi il momento dei bilanci sulla sua carriera.

Quando ho pensato per la prima volta di scrivere di Francesco Totti la stagione 2012-2013 non era ancora finita e la Roma aveva ancora la possibilità di qualificarsi per l’Europa League arrivando quinta e soprattutto la finale di Coppa Italia da giocare contro la Lazio. Totti era in uno splendido momento. Il diciassette marzo aveva segnato il suo duecentoventiseiesimo gol in Serie A contro il Parma, superando Nordahl e prendendosi in solitaria il secondo posto della classifica marcatori all time del campionato. Si parlava dell’inseguimento al record assoluto di Piola e ci si chiedeva quanto ci avrebbe messo a segnare i 47 gol restanti. Totti diceva di non ricordare nessun italiano più forte di lui perché «i numeri parlano chiaro» e si parlava addirittura di un possibile ritorno in Nazionale, del Mondiale brasiliano della prossima estate. Le sue azioni erano così in alto che si poteva permettere di essere scettico dicendo che se le cose fossero andate male avrebbero saputo con chi prendersela: «Hanno portato un vecchio, hanno portato quello che ha rovinato il gruppo». Nel derby dell’otto aprile aveva realizzato il suo nono gol in totale alla Lazio, raggiungendo Marco Delvecchio e Dino Da Costa in cima alla classifica dei marcatori, sempre all time, della stracittadina: «Il mio record più bello». Lo aveva festeggiato a lungo e per un attimo sembrava si fosse fermato il tempo, anche se in realtà le lancette correvano e quello di Totti era il gol dell’1-1 di una partita che la Roma, proprio per quelle ambizioni non ancora sopite, avrebbe dovuto provare a vincere. Poco dopo il New York Times gli aveva dedicato un bel pezzo, in cui le dichiarazioni di Totti, secondo il quale solo Messi faceva cose che lui non immaginava di poter fare, venivano interpretate come mancanza di «false modesty» anziché, secondo la lettura italiana, semplice arroganza. Totti a quel punto voleva raggiungere il record di Piola (lontano quarantasette gol) ma non dipendeva solo da lui. Con un solo anno di contratto (scadenza giugno 2014) sarebbe stato difficile, anzi impossibile, ma lui si diceva fiducioso, sicuro di poter trovare un accordo con la società.

Il mio rapporto da tifoso con Totti è sempre stato all’insegna dell’ambiguità. Sono nato nel 1981 e mio padre è laziale, non avevo nessuno che mi portasse allo stadio da piccolo e se la Roma era nata grande (o se lo era stata nella prima metà degli anni ottanta come mio zio materno raccontava) io non lo potevo ricordare. La prima Roma di cui ho piena coscienza è quella che ho seguito durante gli ultimi anni del liceo. Quella dello scudetto laziale del 2000 e, solo tre giorni dopo, dell’addio di Giuseppe Giannini con l’aereo passato sopra l’Olimpico con la scritta “Lazio Campione” e il saluto amaro al Principe finito in invasione di campo e le porte e il manto erboso distrutti come per dire che basta, il calcio era finito, in questo stadio, in questa città, non ha più senso giocare. Ma anche la Roma capace di risorgere dalle sue ceneri e vincere lo scudetto nel 2001, il terzo della storia romanista, scucendolo direttamente dall’odiata maglia celeste. In quel periodo seguivo con così grandi speranze la Roma (speranze rafforzate dalla vittoria per 3-0 sulla Fiorentina in Supercoppa) e credevo così tanto che potesse diventare una delle migliori squadre europee, che sono andato allo stadio a vedere Roma-Real Madrid l’11 settembre (la mia prima partita di Champions League, la prima della Roma dopo la finale tremenda del 1984) e nonostante un tipo seduto affianco a me con in testa una bandana americana e il clima poco festoso, devo ammettere che mi sono emozionato. Per la cronaca: abbiamo perso 1-2, una punizione al bacio di Figo da trenta metri, un cross al bacio di Figo per la testa di Guti, poi Totti su rigore.

(continua a leggere sull’Ultimo Uomo)

foto: GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images