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  • Mercoledì 15 maggio 2013

La mentalità dell’alveare

L'anteprima del nuovo romanzo di Vincenzo Latronico, che racconta di un movimento nuovo che diventa partito e vince le elezioni...

di Vincenzo Latronico

Leonardo Negri e Camilla Ottolenghi si unirono in matrimonio il 10 giugno 2013, di fronte a un dipendente dei cittadini della Repubblica Italiana. Questa storia parla di loro due, di quel matrimonio e di quella repubblica.

Si erano conosciuti una decina d’anni prima, quando erano al secondo anno di Giurisprudenza lei e al primo di Scienze politiche lui. Leonardo stava attraversando il grande atrio dell’Università Statale di Milano, inondato dalla luce polverosa che filtrava dalla vetrata sul cortile, opaca per l’età e l’incuria; era iscritto da poche settimane e stava andando a comprare i libri per i corsi del primo semestre. A pochi passi dall’ingresso della libreria c’era un banchetto autogestito, in cui una decina di studenti più grandi offriva alle matricole la possibilità di fotocopiare gratuitamente tutti i testi in programma. Leonardo, appena atterrato in Lombardia dalla Maremma con un accento ineludibile e poche centinaia di euro sulla Postepay, calcolò che avrebbe risparmiato due mesi d’affitto della sua stanza, e accettò immediatamente.

Il manuale di Diritto costituzionale che si mise a fotocopiare apparteneva a una delle ragazze al banchetto, una militante di Rifondazione Comunista. Mentre si affaccendava alla fotocopiatrice, lei si mise a spiegargli il significato delle sue sottolineature – doppie per gli articoli, singole per i commentari, una gerarchia stratificata di frecce e asterischi a segnalare l’importanza di questo o quel passaggio. Mentre discutevano furono fotografati da un cronista freelance avvertito dell’iniziativa dal collettivo studentesco della Statale.
La foto mostrava un ragazzo massiccio e sorridente come un rugbista, goffamente piegato a disincagliare la carta da una Xerox arcaica – i ricci biondi che sfioravano il piatto di plexiglas, un loden chiaramente del padre che spazzava il pavimento con un lembo sfrangiato. Accanto a lui si teneva rigida e ancora più esile per il contrasto quella che pareva una quattordicenne travestita da strega – calze a rete nere, minigonna nera, cardigan nero aperto su una maglietta bianca lacerata ad arte, ma coperta sin quasi alla vita da una liscissima chioma rosso acceso. Guardava l’obiettivo a occhi sgranati, girata di un quarto, come colta di sorpresa da un paparazzo o da un killer.
La foto uscì il giorno seguente sull’edizione locale del “Corriere della Sera”, con la didascalia Studenti contro il copyright. Con un romanticismo di cui avrebbero sorriso spesso negli anni a venire, l’incontro di Leonardo e Camilla fu quindi documentato presso la pubblica opinione. Lo sarebbe stato anche il loro divorzio.

Il 3 marzo 2014 Leonardo e Camilla Negri uscirono avvinghiati e felici da un condominio in piazzale Segrino, nella zona nord di Milano – in quella che era stata periferia e ora splendeva come “fulcro creativo”, di valore in ascesa, agghindata da un mercato a chilometri zero e una fermata della metropolitana aperta da poco. Era solo il quarto appartamento che visitavano, ma non avevano avuto dubbi: la suddivisione permetteva di sfruttare al meglio i sessantacinque metri quadri, il quinto piano senza ascensore aiutava a contenere il prezzo e la zona era quella in cui vivevano da anni, prima separatamente e poi insieme. L’avevano capito non appena erano entrati – e al primo commento ammirato di Leonardo lei gli lanciò un’occhiata intimandogli di non tradire troppo entusiasmo nella negoziazione.

Funzionò solo in parte: benché Camilla facesse di tutto per evitare che parlasse, Leonardo annuì concitatamente agli accenni dell’agente immobiliare, senza trovare altre domande da porre che un patetico: “Ed è davvero libera subito?” Forse, pensò Camilla, con quella sincerità si erano giocati uno sconto sulla commissione; ma, si disse poi, sentendo la mano del marito stretta sulla spalla a coprirla dalla pioggia sottile, forse no.
Lasciarono la banca con un prospetto delle opportunità di finanziamento e si sedettero in un bar poco distante. Un trio di jazzisti stava allestendo un palchetto in previsione del concerto della sera, e la loro discussione fu costretta a un volume variabile a seconda del rumore di fondo – prova microfoni, silenzio, giro di contrabbasso, stridore di sedie.
L’appartamento, deprezzato dalla crisi economica, costava poco più di duecentomila euro; ventimila li avrebbero messi i genitori di Camilla. Le loro entrate mensili complessive – il poco che Camilla guadagnava in un centro di assistenza legale alle vittime di violenza sessuale, e lo stipendio di ricercatore in Storia delle dottrine economiche di Leonardo – ammontavano a duemila e seicento euro. Avevano rispettivamente trentadue e trentun anni, e bevevano entrambi Campari con ghiaccio.
Il direttore della filiale in cui entrambi avevano il conto non era stato ottimista. L’anno prima, con l’ascesa al governo della Rete dei Volenterosi, era entrato in vigore il divieto di pignoramento sulla prima casa; da un giorno all’altro il tasso d’interesse offerto dalle banche ai giovani in cerca di mutuo senza garanzie era salito al 9%, per compensare l’aumento di rischio; la rata mensile su vent’anni sarebbe stata di poco superiore ai mille e seicento euro.
“Non ce li abbiamo, Leo.”
“No, non ce li abbiamo.”
Sia Leonardo che Camilla erano stati d’ac
cordo con la legge antipignoramento: era stata sin dall’inizio nel programma della Rete dei Volenterosi, per cui entrambi avevano votato. Camilla era attiva nel movimento da quando era stato fondato, credendo nella democrazia partecipativa molto più di quanto avesse mai creduto agli slogan che urlava al liceo e all’università; Leonardo, senza mai impegnarsi in prima persona (in quella come in molte altre cose, avrebbe pensato lei a volte) era entrato di riflesso nell’orbita dell’RdV.

A ogni modo, l’effetto del provvedimento sul costo della prima casa non era stato così drastico: i mutui erano sì più cari, ma avevano fatto diminuire le compravendite, provocando un abbassamento del prezzo degli immobili. Lo avevano ammesso anche “Corriere” e “Repubblica”, ostili alla Rete dei Volenterosi sin dall’inizio: le loro previsioni negative erano state smentite dai fatti. L’aumento dei tassi e l’abbassamento dei prezzi si erano controbilanciati, annullandosi, così che i costi degli immobili erano rimasti invariati – con la differenza che, una volta acquistata la prima casa, adesso c’era la certezza che non sarebbe stata minacciata dai capricci di un capoufficio o dalle bizze della finanza internazionale. Una legge simile era già stata approvata in Francia e in Polonia, ed era in discussione in Germania. Era stata una grande vittoria della RdV – di cui avevano gioito anche Leonardo e Camilla. Comunque, mille e seicento euro erano troppi.
Ripeterono per l’ennesima volta il conto di ciò che potevano permettersi. Leasing per l’auto, costo della vita nella città più cara d’Italia, un aiuto per integrare la pensione di reversibilità della madre di Leonardo: ne rimanevano mille per il mutuo. Con un breve calcolo (a cui lui, economista, era più abituato) giunsero alla conclusione di potersi permettere al massimo una casa da centoventimila euro, pagandola in vent’anni. Questo significava un monolocale – ma la prospettiva dei figli era, agli occhi di entrambi, molto vicina; oppure significava l’hinterland. Ma durante gli studi Camilla aveva sputato sangue in un pub (non solo metaforicamente: una volta un cliente le aveva lanciato un boccale addosso, colpendola sul viso) per tirarsi fuori il prima possibile dalla Brianza provinciale e leghista; e a ogni modo il trasferimento avrebbe richiesto abbonamenti dei treni, o una seconda macchina, o più benzina: quindi altri conti, altri tagli, altri problemi.
“Piuttosto andiamo a vivere in un box auto, ma io in Brianza non ci torno,” aveva posto come condizione Camilla mesi prima, quando il marito aveva vinto il concorso in università.
“In un box auto non ci vivo io,” era stata la condizione di Leonardo.
Mentre il secondo Campari addolciva, accelerava il crollo dell’entusiasmo di poche ore prima, Leonardo e Camilla ripensarono in silenzio a quelle condizioni.
Fu allora che Leonardo ebbe un’idea. Compose il numero della banca senza neppure spiegare a Camilla cosa stesse facendo; si fece passare il direttore, ringraziandolo mentalmente per essere ancora in ufficio alle cinque e cinquanta, e gli chiese a quanto ammontasse il tasso d’interesse su un mutuo per acquistare una seconda casa.
La situazione, in quelle circostanze, era molto diversa: una seconda casa, naturalmente, poteva essere pignorata, e quindi rappresentava per la banca un’operazione meno rischiosa. Sorridendo in tralice alla moglie, Leonardo cancellò il 9 dal prospetto che avevano di fronte e annotò: 3,5%.

I saluti telefonici furono complicati dalla disattenzione di Leonardo, preso da calcoli che produssero la cifra, scribacchiata subito accanto: RATA=1040€ In quell’istante riattaccò, e Camilla gli disse, con un sarcasmo che probabilmente mascherava la paura della delusione: “Non sapevo che avessi un’altra casa. Com’è la seconda moglie?”
“Non la conosco,” rispose pronto Leonardo, “ma di certo mai bella come te.”
Ci fu un terzo Campari.
Una settimana più tardi, Leonardo Negri acquistò da Libera Cavaccioni in Negri una quota minuscola del trilocale a Rosignano Solvay dove era cresciuto, e dove lei continuava a vivere. Con l’inchiostro ancora fresco sul rogito si presentò in anagrafe, dove il padre di una sua fiamma delle elementari fu felice di scoprire che Leonardo avrebbe ripreso la residenza a Rosignano, nella sua nuova prima casa. Non era ancora iniziato aprile che sottoscrisse insieme alla moglie un mutuo al 3,5% per l’acquisto della seconda, un appartamento affacciato su piazzale Segrino, nella zona nord di Milano.

Ne discussero a lungo – dopo l’acquisto, se non prima. L’espediente immaginato da Negri non era, da nessun punto di vista, una truffa. Non era una truffa allo Stato, dal momento che tecnicamente lui aveva, adesso, una prima casa. Non era neanche una truffa alla banca: il contratto del mutuo vietava esplicitamente che quell’appartamento in piazzale Segrino diventasse la prima residenza della famiglia Negri, e se ciò fosse accaduto sarebbero stati costretti a pagare una penale superiore a quanto avevano risparmiato. E cioè: Leonardo e Camilla rinunciarono, volontariamente, al diritto a non farsi pignorare l’appartamento, presentando come seconda casa quella che in pratica era una prima, in cambio di un prestito a condizioni più vantaggiose.
“Non c’è niente di paradossale, in fondo,” spiegava lui a lei, non perché ne fosse più convinto ma perché, spontaneamente, si dividevano le parti in ogni discussione, inscenando in due il dibattito interiore che si svolgeva in ognuno di loro. “La non-pignorabilità è un diritto giusto, ed è importante che tutti lo abbiano: ma noi, anche se ne riconosciamo l’importanza, abbiamo comunque la facoltà di rinunciarci.”
“Be’, un po’ ipocrita, no?”
“Ma no, Cami. Pensaci: da quando ti conosco fai campagna per il diritto al matrimonio omosessuale. Ma questo significa che vorresti costringere ogni coppia gay a sposarsi? No: vuoi che ne abbiano la possibilità. Lo stesso vale per noi.”
Conversazioni di questo tenore si svolsero con una certa frequenza in quel trilocale ancora odoroso di bianco, nei primi mesi dopo l’acquisto. A volte, ma di rado, le parti si invertivano. Immancabilmente finivano con l’accordo di entrambi per la posizione che li assolveva (e con del sesso in piedi, in più occasioni, e con aloni di vernice candida sulla schiena di lei); la questione della coerenza politica sembrava in effetti risolta.

Così sembrò anche a Filippo Barbarelli e Alice Terracina, due colleghi di Camilla nella Rete dei Volenterosi (lo strano termine “colleghi” era stato preferito, dopo una discussione piuttosto accesa sul blog di riferimento di tutti gli iscritti, ai più connotati “militanti” e “compagni”). Alice lavorava nell’ufficio grafico del “Sole 24 Ore”, e si era occupata dei volantini e dei manifesti per le attività quando la RdV, a Milano, consisteva appena di nove studenti idealisti e squattrinati (fra cui, appunto, Camilla); Filippo era stato per un anno cittadino-eletto al Consiglio comunale dopo una formidabile campagna contro la speculazione edilizia dell’Expo portata avanti in quanto membro del Consiglio di Zona 9. A Camilla e ad Alice non pesava il fatto che quella posizione fosse andata a lui, benché iscritto da minor tempo: in fondo, non vedevano alcun prestigio nell’essere un dipendente dei cittadini (e vedevano, invece, gli sforzi costanti, la pazienza che quella posizione richiedeva). Quando uscivano a cena con tutti i membri del TreffPunkt di Milano Isola, il circolo locale, si pagava rigorosamente alla romana; ma la grappa che da anni bevevano loro tre prima di tornare a casa, la offriva quasi sempre lui.
Fu di fronte a una di quelle grappe che Camilla disse loro del mutuo. Erano straordinariamente al secondo giro; festeggiavano il fatto che Camilla e Leonardo fossero riusciti a comprare casa restando in zona, evitando così di privare il TreffPunkt di “un terzo del suo cuore”, brindò Filippo Barbarelli con una metafora un po’ impacciata. (Valvola dell’aorta e ventricolo sinistro? si chiese astrattamente Alice Terracina. Entrambi gli atri e un tratto di vena cava? Quant’era esattamente un terzo di cuore?)
Alle domande dei due, Camilla espose i dettagli dell’appartamento, includendo sia le informazioni che si chiedono solo per gentilezza (“Il parquet è in rovere spazzolato”) sia quelle che per garbo non si chiedono. “Costava pochissimo,” disse, “era la casa del portinaio, messa male e al quinto piano, ma per noi va bene. Il mutuo sarebbe stato comunque stellare,” e ci furono due mugugni sulla moralità delle banche, “però abbiamo trovato una soluzione.”

Filippo e Alice, che contavano di acquistare presto, non dovettero consultarsi per sapersi concordi. Ascoltarono le parole di Camilla in silenzio, e alla fine dissero, quasi con la stessa espressione, che secondo loro non c’era problema – lui perché ci aveva pensato, lei perché si era resa conto che era la risposta che Camilla si aspettava. Quella conversazione non la appassionava molto (per invidia? per spirito antiborghese? per un ostinato attaccamento all’idea di sé come adolescente, che alla prima conversazione sui mutui scompare come un ghiacciolo sotto il sole di agosto? Tutte e tre, probabilmente).
“Ma no, che non è un problema di coerenza,” disse Filippo. “Al massimo è un problema pratico per voi, se mai vi trovate nei guai col lavoro. Ma Leo,” aggiunse poi, e non lo aveva mai chiamato così, ma si sentiva in qualche modo partecipe della familiarità della discussione, “Leo ha un posto fisso, no?” Ci fu un momento di imbarazzo; nemmeno la carriera accademica era più quella di una volta.
“Comunque,” proseguì Filippo, “secondo me nessuno dovrebbe farvi storie per una cosa del genere. Mi sembra molto pulito – e anzi, davvero intelligente. Potrebbe persino essere utile parlarne ai giornali, magari capirebbero quanto era faziosa tutta la campagna che hanno montato contro la legge antipignoramento.”
Camilla annuì enfaticamente.
“L’hanno già capito quando l’ha fatta la Francia,” commentò Alice, schiacciando fra i denti il chicco di caffè che galleggiava nella grappa come una mosca. “Li ha presi per il culo persino ‘Le Monde’,” che nessuno dei tre leggeva, non sapendo il francese, ma di certe cose erano al corrente comunque.

Filippo insisté sull’idea che fosse opportuno parlarne in pubblico. A Milano quello della casa era effettivamente un problema, “specialmente per i giovani” (e Camilla rise un po’ a sentirsi inclusa nella categoria da parte di un suo coetaneo, ma comunque annuì con convinzione); e se l’amministrazione comunale della Rete dei Volenterosi avesse offerto quel servizio alla cittadinanza? Poteva essere “una piattaforma per le prossime amministrative, una prova della vicinanza dei cittadini-eletti a…”
“Ma sono fra due anni!”
“Due anni sono pochissimi, Cami.”
Nel giro di qualche minuto Filippo aveva
già elaborato un possibile slogan, presentando la strada scelta da Leonardo e Camilla come una via parallela per il mutuo – “Diversi gradi di tutela, diversi costi: come l’assicurazione kasko per la macchina!”
Per ragioni diverse, ma simili, Camilla e Alice si dissero d’accordo, seppure pensando che come slogan faceva un po’ pena.

*****

Vincenzo Latronico, scrittore di cui il Post ha già presentato il precedente romanzo La cospirazione delle colombe, descrive così l’idea e la genesi del suo nuovo libro La mentalità dell’alveare, che immagina le storie di alcuni giovani milanesi intorno a un nuovo movimento politico ispirato evidentemente al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Il libro esce oggi e l’ebook è in offerta per un giorno a 99 centesimi.

Questo libro è stato scritto di getto in seguito alle elezioni politiche del febbraio 2013. Vivendo in Germania mi trovavo spesso a discutere con amici stranieri, interessati alla situazione italiana e speranzosi per la “ventata di cambiamento” che sembrava spazzare il nostro paese. Non condividevo affatto il loro entusiasmo; ma quando provavo a motivare il mio pessimismo ero confuso, mi scaldavo, a stento riuscivo a spiegarmi. Come mai? Avevo paura.
La mattina del 3 marzo, dopo una discussione simile, ho cercato di capire a cosa fosse dovuta questa paura; quattro giorni dopo avevo una bozza di questo libro. È una storia, anziché un testo saggistico: perché non volevo parlare di principi generali, ma dell’effetto che questi principi potrebbero avere nel particolare, sulla vita di chi li applica o di chi li subisce. Siamo, o saremo, o potremo essere noi.
La rilevanza dell’argomento mi ha spinto a sacrificare tutto ciò che avrebbe reso la scrittura meno chiara o immediata; questo, insieme all’urgenza, ha determinato la forma del libro. Più che un romanzo è quindi un pamphlet di intervento politico in forma narrativa, o una fiction TV il cui argomento è un’idea. L’idea, nello specifico, è quella della democrazia digitale: l’idea cioè che la trasparenza e l’orizzontalità di Internet rappresentino il futuro della democrazia. La tesi che ho cercato di illustrare qui è che quel futuro potrebbe essere nero.

Berlino, 12 aprile 2013