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  • Lunedì 11 febbraio 2013

Il dibattito tv tra i candidati in Kenya

Si terrà stasera, per la prima volta nella storia del paese: si confronteranno sei candidati, e tutti sperano che il voto sia meno movimentato di quello del 2008

People stand behind pulpits during a presidential debate rehearsal on February 10, 2013 in the Kenyan capital Nairobi. Kenya's six presidential aspirants are expected to face-off in the country's first ever pre-election presidential debate amid fears of likely violence during the upcoming national elections. The risk of political violence in Kenya is "perilously high" ahead of next month's election, the first since bloody post-poll violence five years ago, Human Rights Watch (HRW) warned. AFP PHOTO / TONY KARUMBA (Photo credit should read TONY KARUMBA/AFP/Getty Images)
People stand behind pulpits during a presidential debate rehearsal on February 10, 2013 in the Kenyan capital Nairobi. Kenya's six presidential aspirants are expected to face-off in the country's first ever pre-election presidential debate amid fears of likely violence during the upcoming national elections. The risk of political violence in Kenya is "perilously high" ahead of next month's election, the first since bloody post-poll violence five years ago, Human Rights Watch (HRW) warned. AFP PHOTO / TONY KARUMBA (Photo credit should read TONY KARUMBA/AFP/Getty Images)

Lunedì sera milioni di kenyani potranno seguire il primo dibattito televisivo della storia del paese tra sei degli otto candidati alla presidenza, nelle elezioni che si svolgeranno il prossimo 4 marzo. Il confronto sarà trasmesso da otto canali televisivi e 34 stazioni radio a copertura nazionale, oltre che dalla BBC, dalla CNN e da Al Jazeera e sul canale ufficiale delle elezioni su Youtube.

I sei candidati che si confronteranno nel primo dibattito (un secondo è previsto per il 25 febbraio) sono Martha Karua della Coalizione dell’alleanza nazionale arcobaleno (NARC); Peter Kenneth dell’Alleanza dell’Aquila; James Ole Kiyapi del “Restore and Build Kenya Party”; Uhuru Kenyatta, figlio del “padre fondatore” del Kenya e alla guida dell’Alleanza del Giubileo; Musalia Mudavadi, attuale vice primo ministro; Raila Odinga della Coalizione per le riforme e lo sviluppo. L’attuale presidente, Mwai Kibaki, è in carica dal 2002, quando la Coalizione dell’alleanza nazionale arcobaleno sconfisse il partito dell’Unione nazionale africana del Kenya, al potere dal 1963. Durante il suo mandato il paese ha beneficiato di una forte crescita economica, ma si sono inaspriti gli scontri etnici e gli attentati degli estremisti islamici.

Per la prima volta da agosto 2010, quando con un referendum vennero approvate la nuova costituzione e una serie di modifiche istituzionali che decentravano il potere (con la creazione di una Camera alta in Parlamento e col rafforzamento dell’Assemblea nazionale), i kenyani dovranno eleggere oltre al nuovo presidente anche 47 governatori, 47 senatori, 47 rappresentanti donne, 290 membri del parlamento e 1.450 rappresentanti di contea. Questo comporterà la creazione e la distribuzione di nuovi posti di governo soprattutto nelle zone rurali, col rischio di aumentare le tensioni etniche.

Nel 2008 i risultati delle elezioni furono contestati da Raila Odinga, del Movimento democratico arancione, che accusò di brogli l’attuale presidente Mwai Kibaki. Le polemiche tra i due candidati causarono scontri e violenze nel paese, con più di mille morti e mezzo milione di persone costrette a lasciare le proprie case. Alla fine fu raggiunto un accordo tra il presidente Kibaki e Odinga, il quale diventò primo ministro e nominò la metà dei ministri. La Corte Penale Internazionale dell’Aia incriminò 6 persone per gli scontri del 2008, tra cui Uhuru Kenyatta, attuale candidato ed ex ministro delle Finanze, e il suo vice William Ruto. Gli avvocati di Uhuru Kenyatta nel frattempo hanno chiesto che il processo venga rinviato. Il 5 febbraio il presidente Barack Obama, il cui padre era cittadino kenyano, ha inviato un messaggio al popolo kenyano invitandolo a “respingere la violenza e consentire un voto libero ed equo.