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  • Mercoledì 30 gennaio 2013

Grande Hotel Beira

La storia e le gran foto di uno degli edifici occupati più grandi del mondo, un ex albergo di lusso del Mozambico

L’Atlantic ha pubblicato ieri un articolo sul Grande Hotel di Beira, in Mozambico, un luogo che da anni è celebre per essere diventato “la più grande comunità di squatter del mondo”. Quando venne aperto, in epoca coloniale, era uno degli alberghi più lussuosi della regione: negli ultimi decenni, abbandonato, è diventato un simbolo del destino drammatico della sua città e del suo paese, oltre che delle disuguaglianze economiche di uno dei paesi con la crescita economica più rapida del mondo.

L’hotel, un’elegante struttura di quattro piani in stile art déco, venne costruito negli anni Cinquanta, durante la colonizzazione portoghese del Mozambico, un paese di 23 milioni di abitanti sulla costa sudorientale dell’Africa. È un’enorme struttura in riva al mare che, al momento della sua apertura nel 1954, era una delle più lussuose in tutta l’Africa meridionale. Nonostante questo e la sua posizione nella città di Beira, un porto molto attivo fondato dai portoghesi e una delle mete turistiche preferite dai bianchi di lingua inglese della vicina Rhodesia, le spese di gestione dell’hotel si rivelarono troppo alte e dopo nove anni di attività i gestori furono costretti a chiudere.

Poi iniziarono gli anni della lotta di indipendenza contro il Portogallo, all’inizio degli anni Settanta, a cui seguì una guerra civile che devastò il paese e che durò fino al 1991. Il passato violento del paese è ben visibile anche nella bandiera del Mozambico, l’unica al mondo in cui è raffigurato un Kalashnikov.

La storia dell’hotel seguì da vicino quella del paese: la struttura, abbandonata dai suoi proprietari, venne usata inizialmente dai militari che lottavano contro il Portogallo, che usarono i sotterranei come prigione e alloggiarono le famiglie nelle stanze. Ma negli stessi anni il Grande Hotel cominciò a diventare una sorta di campo profughi e, dopo l’abbandono della struttura da parte dei soldati (che continuano però ad avere il controllo di fatto della struttura e richiedono pagamenti per occuparne gli spazi), alcune migliaia di persone si stabilirono nelle stanze dell’albergo, spesso mantenendosi vendendo gli arredi e i materiali delle lussuose finiture.

Dai primi anni Duemila il Grande Hotel diventò proprietà della città di Beira, anche se le condizioni dei suoi residenti – stimati oggi in un numero variabile tra i 2.500 e i seimila – non sono migliorate: la struttura non ha acqua né elettricità, parti della struttura sono crollate e tutti i materiali rivendibili, dagli ascensori ai vetri delle finestre alle porte e perfino alle tubature nei muri, sono stati rivenduti da tempo. Alcuni degli abitanti lavorano a Beira, ma la maggior parte passa tutto il suo tempo nella gigantesca struttura, dove si sono sviluppati mercati e attività economiche più o meno legali. Quasi tutti sono rifugiati della guerra civile e loro discendenti che, a distanza di molti anni, vorrebbero tornare alla loro terra d’origine, ma la mancanza di lavoro e di denaro li costringe a rimanere al Grande Hotel.

I residenti cercano di tenere in piedi un meccanismo di autogoverno degli spazi e di divisione dei compiti per mantenere la pulizia e per rimuovere i rifiuti: anche se rimane un luogo potenzialmente pericoloso, il Grande Hotel si può visitare e negli ultimi anni ha attirato l’attenzione anche per un documentario che venne girato al suo interno nel 2010 dalla regista belga Lotte Stoops. Un altro progetto sul Grande Hotel è stato un reportage del fotografo spagnolo Héctor Mediavilla, che ha girato anche un breve cortometraggio, visibile qui.