Chiude un pezzo di Gibellina

La crisi delle Orestiadi, la celebrata fondazione culturale di una città distrutta 45 anni fa dal terremoto del Belice e ricostruita da decine di artisti di fama mondiale: le foto

di Mercedes Auteri

Gibellina è un comune siciliano in provincia di Trapani, distrutto dal terremoto del Belice del 1968. L’allora sindaco della città, Ludovico Corrao, decise di far partecipare alla ricostruzione decine di artisti, letterati e architetti di fama mondiale – tra questi Pietro Consagra, Alberto Burri, Mario Schifano, Andrea Cascella, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Alighero Boetti, Bob Wilson, John Cage, Carla Accardi, Giulio Turcato, Fausto Melotti, Emilio Isgrò, Joseph Beyus, Richard Long, Franco Angeli, Francesco Venezia, Ludovico Quaroni, Alessandro Mendini, Leonardo Sciascia, Giovanni Treccani, Damiano Damiani, Sergio Zavoli, Carlo Levi, e l’elenco è parziale – facendo diventare Gibellina un posto eccezionale. Un vero museo a cielo aperto che soltanto negli ultimi anni ha meritato per i suoi progetti educativi il premio dell’International Council of Museums nel 2011 e un premio dall’Associazione Nazionale Critici per il teatro nel 2012. Gibellina è tornata sulle pagine dei giornali nell’estate del 2011, quando Corrao è stato ucciso a coltellate dal suo badante filippino. E ci è tornata nelle ultime settimane per via della chiusura del museo e della biblioteca della Fondazione Orestiadi, fondata da Corrao nel 1992.

Negli ultimi tre anni il contributo della regione Sicilia che serviva a pagare il museo e il Festival delle Orestiadi, le mostre, le residenze, la didattica, la sede distaccata di Tunisi, il funzionamento delle strutture, la manutenzione delle opere, gli stipendi ai dipendenti, è passato da 650mila a 300mila euro. E anche quelli tardano ad arrivare, nonostante un recentissimo interessamento del neo presidente della regione Sicilia, Rosario Crocetta, che ancora non ha avuto sviluppi.

Achille Bonito Oliva, uno dei più importanti critici d’arte italiani, ha definito la fondazione “una delle realtà più importanti della Sicilia” e ha denunciato il mancato pagamento degli stipendi di nove persone “a causa delle lentezze politico burocratiche, della crisi”. Alessandra Mottola Molfino, museologa e storica dell’arte, già direttore centrale della Cultura e Musei del comune di Milano e presidente di Italia Nostra, ha detto che la fondazione “è un centro di contatti artistici contemporanei ormai conosciuto nel mondo” e che “l’allestimento, le collezioni e il percorso del museo sono davvero unici ed estremamente originali: è una proposta continua di riflessioni e di provocazioni sulla nostra identità mediterranea che mai privilegia l’aspetto cronologico, geografico o tipologico”. Poche settimane fa il Guardian aveva raccontato in un video la storia di Gibellina e del suo patrimonio.

È ironico che la crisi delle Orestiadi avvenga a pochi giorni dal quarantacinquesimo anniversario del terremoto che il 15 gennaio del 1968 distrusse interamente Gibellina Vecchia e gran parte della Valle del Belice. Dal punto di vista culturale, in Sicilia si sta assistendo a un altro terremoto. Solo nell’ultimo mese, oltre alla Fondazione Orestiadi, si sono dichiarati a rischio chiusura la casa museo e parco del poeta Lucio Piccolo a Capo D’Orlando (Messina); la Biblioteca Ursino Recupero di Catania, tenuta in piedi da una sola persona senza stipendio da un anno, di cui fu bibliotecario onorario Federico De Roberto, che conserva più di duecentomila volumi (pergamene medievali trascritte dai monaci benedettini, incunaboli, cinquecentine, una Bibbia miniata del XIV secolo) e che accoglie parecchi fondi privati di catanesi illustri.

L’anno scorso, invece, il già chiuso Museo Regionale di Arte Contemporanea RISO, a Palermo, ha riaperto in tono minore, con una nuova gestione – cancellando quindi ogni ipotesi di consequenzialità con quanto fatto prima – e stavolta intitolato a Renato Guttuso, al quale però è intitolato un altro storico museo a Bagheria, sua città natale, poco distante da Palermo. Piccole storie esemplari del disastro dei beni culturali in Sicilia: le istituzioni chiudono, si fermano, tagliano, muoiono, poi magari rinascono, in un altro modo e con un altro nome, finché non si fermano di nuovo. Impedendo così loro di radicarsi e impedendo al pubblico di abituarsi alla loro presenza e alla loro frequentazione, di comprenderne l’importanza e di crescere insieme al proprio patrimonio.