Un paese a pezzi

In tutti i sensi: fatto di "corporazioni e camarille, ordini e collegi, correnti giudiziarie e sindacali, che si disputano il terreno palmo a palmo", scrive Michele Ainis sul Corriere, chiedendo alla politica di cambiare corso

Nell’editoriale di oggi del Corriere della Sera il giurista Michele Ainis torna sull’eccesso di frammentazioni e “tribù” della società e della politica italiana, chiedendo a quest’ultima interventi di semplificazione ed esempi nuovi.

Questa legislatura si era consegnata al mondo sventolando una bandiera: semplificazione. Cinque soli partiti in Parlamento, quando il governo Prodi ne riuniva 11 attorno al proprio desco. Fuori le estreme, dalla Destra di Storace a Rifondazione comunista, ghigliottinate dalla soglia di sbarramento. Fusione in un unico cartello di An e Forza Italia (il Pdl), Ds e Margherita (il Pd). Un’idea di riforma costituzionale condivisa, per sfoltire i ranghi (mille parlamentari), per recidere i doppioni (due Camere gemelle). All’epoca venne persino inventato un ministro per la Semplificazione: Calderoli, buonanima.
Forse non dovremmo mai voltarci indietro, perché la vita è un treno che corre dritto sul binario. Ma sta di fatto che adesso la locomotiva attraversa un paesaggio di città fortificate, l’una contro l’altra. L’unità del Pdl è come un ricordo dell’infanzia: bene che vada, gli subentrerà una federazione con due gambe, o magari con tre. Nel Pd Renzi e Bersani non incarnano una sfida tra diverse esecuzioni d’uno stesso spartito; no, suonano musiche opposte, il rock and roll e il liscio romagnolo. C’è insomma lo spartito, non c’è più il partito. O meglio ce ne sono troppi, dalla sinistra di Vendola al movimento di Grillo, che ovviamente non ha nessuna voglia di mescolare le sue truppe con quelle guidate da Di Pietro. E senza contare i nuovi commensali: Italia futura, la lista dei sindaci, quella di Giannino.

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